Una pianta millenaria
4 Marzo 2015 Share

Una pianta millenaria

Nella piccola piazza del nostro paese, Bonefro, abbiamo il piacere di osservare da vicino una pianta ormai in via di estinzione: il tasso. Poiché si tratta di una specie dioica, un esemplare femminile si trova nell’aiuola circolare vicino allo zampillo, uno maschile dietro al monumento dei caduti. Molte regioni italiane lo hanno inserito nell’elenco delle specie protette. In Piemonte ne sono presenti due con una circonferenza superiore ai tre metri e mezzo e censiti fra gli alberi monumentali italiani. Altri esemplari si trovano nella Foresta Umbra nel Gargano e in poche altre zone montane, come l’area di Sos Nibberos in Sardegna, popolata da tassi millenari che raggiungono anche un metro di diametro e altezze sui 15 metri. L’habitat ideale per lo sviluppo del tasso è infatti la fascia montana temperata, con clima caratterizzato da inverni nevosi, ma non gelidi, ed estati relativamente tiepide e umide.

La pianta del tasso (Taxus baccata) appartiene all’ordine delle conifere e alla famiglia delle Taxacee. Se l’epiteto baccata allude ai frutti, simili alle bacche, il nome del genere deriva dal greco táxos = “freccia”, e l’appellativo di “albero della morte” nasce proprio dal suo impiego nella fabbricazione di dardi velenosi, intrisi con il veleno da esso prodotto, oltre che dal fatto che veniva utilizzato nelle alberature dei cimiteri. Ma già nell’antichità si fabbricavano archi e frecce con il suo legno anche per la sua elasticità, tenacità e resistenza.

Il tasso è un albero o arbusto sempreverde molto longevo (può vivere infatti circa 2000 anni) con una crescita inizialmente rapida, poi molto lenta, che può portarlo a superare anche i 20 metri di altezza.

I rami si sviluppano fin dalla base del tronco e sono così flessibili che in occasioni di abbondanti nevicate le loro punte si incurvano fino a toccare terra, per riprendere poi la loro naturale posizione allo scioglimento della neve.

Le foglie, lineari, persistenti, di colore verde scuro nella pagina superiore, più chiare inferiormente, sono molto velenose.

Il frutto, botanicamente un falso frutto, è detto arillo: è una escrescenza carnosa che ricopre il seme. Inizialmente verde, e rosso a maturità, contiene un solo seme, legnoso e molto velenoso; la polpa invece è innocua e commestibile. Gli uccelli mangiano gli arilli, e i semi, dopo aver attraversato intatti il processo digestivo vengono espulsi, originando, a contatto col terreno, una nuova pianta.

Pur essendo considerato di scarsa importanza forestale, il legno, duro, pesante e resistente, di color arancio bruno e ben lucidabile, è ricercato per incisioni, sculture e piccoli oggetti. Inoltre viene spesso utilizzato per lavori al tornio e nell’ebanisteria, ma più spesso viene coltivato per uso ornamentale o per formare siepi, perché tollera molto bene le potature. Già 5000 anni fa veniva utilizzato dall’uomo per la costruzione di archi, come dimostrano i ritrovamenti avvenuti sulle Alpi nel 1991. Infatti l’arco della famosa mummia di Similaun, conservata al Museo Archeologico dell’Alto Adige di Bolzano, era costruito proprio con i rami del tasso.

A causa della velenosità sia per l’uomo sia per il bestiame (in tutte le sue parti tranne che nella polpa del frutto), questa pianta è stata sempre accompagnata da una cupa fama, che si rispecchia, come già detto, nel nome “albero della morte”, e per questo è stata sempre estirpata dai pastori.

La sua velenosità è leggendaria: ne parla anche Giulio Cesare nel De Bello Gallico a proposito di un capo celtico (Catuvolco), il quale, piuttosto che arrendersi alle legioni romane, preferì togliersi la vita con il tasso. È inoltre ampiamente documentata nella letteratura. Nell’Amleto di Shakespeare, il padre del protagonista viene ucciso dal fratello proprio con questo veleno. Ancora un omicidio col veleno del tasso è alla base di uno dei racconti più famosi di Agatha Christie, Una tasca piena di avena.

Tutte le parti della pianta contengono tassina, una miscela di alcaloidi terpenici tossica per il cuore. Vari sono stati i casi di avvelenamento di animali domestici di grossa taglia. L’avvelenamento umano riguarda essenzialmente l’ingestione volontaria delle foglie a scopo suicida. Poche manciate di foglie sono letali e non esistono antidoti specifici. Ma negli anni Novanta, il tasso, simbolo di morte, è stato rivalutato dalla ricerca farmaceutica grazie al tassolo, un diterpene presente nella corteccia di una specie di tasso americano, utilizzato per il trattamento del tumore al seno.☺

 

eoc

eoc