Al contadino non far sapere …
10 Settembre 2020
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Al contadino non far sapere …

Il pero è una pianta che vanta delle origini molto lontane nel tempo. Il primo a citarlo fu addirittura Omero, che nell’Odissea lo definisce uno dei “doni degli Dei”.

Proviene dal continente asiatico dove veniva coltivato già 3000 anni fa. Ma il suo vero e proprio sviluppo colturale, di tipo industriale, viene fatto risalire al 1700, quando furono selezionate pregevoli cultivar, fra cui alcune di quelle ancora oggi maggiormente diffuse sia in Europa che nel resto del mondo, in particolare in quelle zone caratterizzate da un clima temperato fresco.

La chioma ha una forma tipicamente conica, che, se lasciata libera di crescere secondo i ritmi naturali, può raggiungere anche i 15 metri di altezza. Le foglie, dalla forma ovale, hanno una colorazione verde intensa, quasi brillante nella pagina superiore. I fiori presentano una corolla regolare di cinque petali bianchi, propri della famiglia delle Rosacee, e in questo caso, della sottofamiglia delle Pomoidee.

Pianta da frutto molto adatta per un orto familiare perché poco ingombrante, relativamente facile da governare e molto produttiva, il pero è uno di quegli alberi che per il suo sviluppo ha bisogno di essere innestato. Tra i vari portainnesti quello più utilizzato è il cotogno, perché impedisce che la pianta raggiunga una notevole vigoria e garantisce una precoce entrata in produzione. Un fattore negativo di questo portainnesto è tuttavia rappresentato dal fatto che si possono manifestare sintomi di clorosi (ingiallimento fogliare) nei terreni con un contenuto in calcare attivo superiore al 6-7%. In alternativa si possono utilizzare quali portainnesti il franco, cioè la piantina ottenuta dal seme di una pianta coltivata, e il selvatico, nato invece dal seme di una pianta selvatica. Entrambi conferiscono alla pianta una grande rusticità e longevità ma hanno un periodo improduttivo – all’inizio – abbastanza lungo. Si consiglia, nell’impianto di un pereto, di alternare i filari con varietà diverse o di mettere a dimora alcune piante impollinatrici. Per il fabbisogno di una famiglia media, l’ideale sarebbe acquistare una sola pianta per ciascuna varietà, in modo da avere una maturazione scalare: per esempio una o due varietà estive, due o tre autunnali e una o due invernali. Considerando una produzione variabile da 10 kg a 60 kg per pianta, in questo modo ci si può approvvigionare di pere per 6-8 mesi all’anno. Tra le avversità del pero, oltre ai fitofagi quali la psilla, gli afidi, la carpocapsa e gli acari, che si possono controllare con prodotti specifici reperibili in commercio, vanno ricordate quelle crittogamiche, come la ticchiolatura, e soprattutto il fuoco batterico, responsabile sia del disseccamento dei rami e delle foglie, che sembrano bruciati, sia della caduta anticipata dei frutti.

Il pero con la sua grande variabilità di caratteri ha sempre interessato i pomologi fin dal passato. In considerazione dell’elevato numero di cultivar esistenti, le caratteristiche del frutto, in particolare la sua forma, l’epoca di maturazione e l’uso del frutto medesimo hanno molto spesso influenzato i diversi tipi di classificazione. Tra le numerose specie quella di maggiore interesse colturale è il pero europeo (Pyrus communis). Questa specie è tuttora oggetto di vasti programmi di miglioramento genetico alla ricerca di nuove specie con sempre migliore rispondenza alle esigenze agronomiche e commerciali. In Italia cresce spontanea una sottospecie del Pyrus communis, il Pyrus communis pyraster (perastro) che viene utilizzato come portainnesto per l’elevata rusticità, la buona resistenza a diversi parassiti del pero e l’ottima affinità d’ innesto.

Ci piace qui ricordare alcune varietà presenti nel nostro territorio: ’u pére bbrutte e bbóne, ’u pére butirre, ’u pére cast’llucce, ’u pére chennèlle, ’u pére c’raše, ’u pére engèl’che,’u pére muschetèlle, ’u pére muschet’llóne, ’u pére ’ngannechefóne, ’u pére r’jale, ’u pére sande Merije, ’u pére sande Ròcche, ’u pére spedóne, ’u pére spine, ’u pére ’ustine. A questo elenco vorrei aggiungere ’u pére Ggennòtte, che porta il mio cognome perché ottenuto attraverso innesti e ibridazioni dai miei antenati, esperti di frutticoltura. Negli anni Quaranta, quando ero bambino, questa varietà (che i più anziani ancora oggi ricordano benissimo) era già estinta. Per questo, con mio grande rammarico, non mi è stato possibile fare nulla per la sua conservazione.

Tra le diverse curiosità relative al pero, si ricorda quella di Sant’Agostino, che nelle sue Confessioni dedica intense pagine di analisi introspettiva al furto di alcune pere: una ruberia adolescenziale fatta per amore di amicizia. Fino a non molto tempo fa nel cantone svizzero di Argovia si piantava un melo quando nasceva un maschietto e un pero quando nasceva una femminuccia: si diceva che crescessero o deperissero con il loro albero. Alle pere sono infine dedicati molti detti e proverbi: “Quando la pera è matura casca da sé” esorta ad attendere il naturale evolversi degli eventi, senza sforzi particolari per ottenere qualcosa; mentre “Una pera fradicia ne guasta un monte” simbolicamente allude alla facilità con cui si trasmettono vizi e corruzioni nella società. Il più celebre ammonisce infine: “Al contadino non far sapere quant’è buono il cacio con le pere!”.☺

 

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