a quando il piano sociale?
18 Aprile 2010 Share

a quando il piano sociale?

 

Tutti affermano che stiamo vivendo un “passaggio epocale” in cui tutto sembra che cambi rapidamente. Pensiamo ai “mezzi” della scienza e della tecnologia che arrivano nelle nostre mani  i quali promuovono nuove  possibilità e alleviano da tante fatiche fisiche. Eppure c’è la sensazione che qualcosa di più profondo stia mutando, qualcosa che non sappiamo dire cosa sia, eppure avvertiamo che ci manca, non è più base solida su cui poggiare il nostro accelerato cammino.

Alcuni dicono, e la chiesa con essi, che siamo di fronte ad un cambiamento antropologico ovvero una nuova visione di uomo e di umanità che nessuno crea ma che tutti ci porta e non verso territori più tranquilli, come i mezzi in possesso ci farebbero sperare, ma verso territori “liquidi” su cui non ci si può poggiare (ma l’uomo cammina con i piedi per terra), territori o spazi in cui, invece, si è costretti a nuotare, con fatica, con l’angoscia sottesa e continua di non arrivare  alla riva e di naufragare nel tragitto.

Non so se mai si sia avuta l’esperienza, come si dice in gergo, “dell’uomo in mare”. In una simile evenienza la Capitaneria ha potere assoluto di convocare tutti i mezzi navali necessari: pescherecci, mercantili, mezzi militari, ovvero, chiunque si trovi nelle vicinanze deve sospendere il proprio operare e confluire per salvare le vite in mare.

Cambiamento di orizzonte

Confluire sul luogo del naufrago a rischio vita, per salvarlo, mi sembra l’immagine forte che possa descrivere il cambiamento di orizzonte e di metodo che la comunità italiana si è data con la legge 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione delle prestazioni e dei servizi sociali) ed altri dispositivi collegati, per rifondare i servizi sociali e coordinarli con i servizi sanitari. Da essa vengono indicate alcune scelte di fondo, seguite da indicazioni di metodo e da creazione di strumenti che devono “confluire”, con persone e mezzi su colui che è fragile perchè sia liberato o sostenuto nella sua fragilità. La costituzione degli organismi nuovi necessari (Distretti, Ambiti territoriali, ecc..) sono stati istituiti perché si realizzasse «un passaggio da un sistema assistenziale ad un sistema di protezione attiva, ossia, da un sistema centrato su risposte calate dall’alto e quindi non necessariamente rispondenti al bisogno dei cittadini ad un sistema fondato sulla programmazione e l’attivazione di risposte dal basso attraverso l’impegno degli stessi cittadini e della comunità civile»… un «nuovo sistema… non può non essere promozionale più che riparativo, e non può non essere centrato sulla persona e sul suo bisogno, più che sulla prestazione».

Il primo piano sociale 2003-2006, fu redatto nel 2004 – con il solito ritardo del Molise – in fretta e con metodi di scarsa consultazione; si sta predisponendo il nuovo piano sociale 2007-2010, ma di consultazione, tavoli di concertazione di base tra Enti, associazioni di volontariato, terzo settore, Istituzioni quali Regione e province neppure l’ombra: ancora tutto cala dall’alto con un prevalente peso delle ASL, divenute unica ASREM, ancora in termini di quantificazione di prestazioni e lotta per la spartizione e gestione dei finanziamenti.

Base muta, vertici sordi

Anche dalla “base”, vero soggetto dei nuovi piani sociali, poco emerge come impegno di lettura, interpretazione e proposizione dei bisogni, delle priorità, delle urgenze; e quel poco che esiste non serve a nessuno perché ancora gli “amministratori” continuano a decidere in modo univoco. Si richiedono passaggi di mentalità e di obiettivi.

«A fronte della crisi attuale del sistema assistenziale si delinea un sistema di protezione e sicurezza sociale centrato sulla promozione di legami di solidarietà e reciprocità e sull’attivazione di risposte integrate e globali corrispondenti ai reali bisogni… La comunità rappresenta un potenziale sociale prodotto proprio dalle relazioni che nascono negli ambienti di vita delle persone che ne fanno parte» (Piano sociale 2003-2006, p. 12).

La scommessa della legge 328/ 2000 – asseriva la presentazione del piano sociale del Molise a cura del Formez (p 89) è quella di «costruire comunità locali che progressivamente divengano soggetti attivi della programmazione di politiche sociali adeguate ai bisogni locali.

E’  infatti proprio nella costruzione della funzione di una pianificazione diffusa a livello di comunità locale che si gioca buona parte del successo della riforma. … E’ necessario, infatti, costruire e sviluppare un costante dialogo tra i diversi soggetti, che crei progressivamente relazioni significative tali da poter via via divenire forme efficaci e durevoli di partecipazione… Si tratta infatti di un nuovo approccio che richiede, obbligatoriamente, una nuova metodologia di lavoro… in un’ottica di valorizzazione e di incentivazione di questa funzione programmatoria a livello locale».

Incontri di comunità

Il 24 luglio scorso, ad un mese dal suo ingresso a Downing 

Street, il primo ministro inglese Gordon Brown, in un discorso in cui celebra l’opera del volontariato inglese da lui incontrato in un lungo giro del Regno Unito, affermava:

             «Viviamo in un tempo in cui molte delle strutture tradizionali della società sono in declino, in cui si tengono sempre meno incontri di comunità nelle nostre chiese e nei nostri municipi. Ma in ogni angolo del Regno Unito ho visto con i miei occhi nuove, e vibranti, forme di impegno civile e tecnologie che stanno cambiando la natura e la missione dell'azione sociale al punto che la parola “volontariato” non basta più per definire e rendere giustizia a tutte le modalità d'azione che i cittadini si stanno inventando per esprimere la loro volontà di costruire una società migliore. … La mia idea della società inglese, e dell'essere inglesi oggi, è questa: non l'individuo isolato che basta a se stesso, ma l'individuo con un senso di appartenenza forte che cresce man mano che si passa dalla dimensione della famiglia a quella della scuola, del lavoro, degli amici e del vicinato fino a superare i confini della propria città e a definire la nostra nazione come una società».

A quando i tavoli di confronto tra Comuni, Terzo Settore ed Associazioni, Cooperative Sociali, Ambiti territoriali, non sporadici per vedersi consegnare un nuovo malloppo di carte in cui tutto è deciso, ma come luoghi in cui camminare alla pari, a partire dal basso, per leggere la  situazione, interpretare i bisogni, fissare le priorità a breve e lungo termine distribuire i servizi, ecc.. in un processo lungo e continuo che rigeneri un passaggio da comunità soggetto di risposte e scardini il sistema di rapporto inidividuo – istituzioni attraverso l’unico strumento delle  “prestazioni”? A quando la realizzazione e l’attivazione funzionante della “banca dati” della provincia a disposizione e fruibile da tutti gli operatori del sociale? ☺

 

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