“Decentrare” i servizi erogati per i cittadini dal controllo diretto di un apparato di Stato Centrale, determinandone la parcellizzazione sul territorio e attuando di fatto, nonché costituzionalmente, l’autonomia, altrimenti detto federalismo; favorire la razionalizzazione, suscitando responsabilità autonome e “adeguandolie a direttive europee; agevolare ed indicare processi di aggiornamentiofunzionalmente collegati alla qualità dei servizi e dei ruoli. Sono atti che “includono e determinano” assunzioni di responsabilità e qualità del servizio politico, ma potrebbero consentire la legittimazione del potere di sempre ed il “luogo comune” che si stia cambiando in meglio… comunque sono rivoluzionari (!) “se” ciascuno – il cittadino in generale e, per la scuola, lo studente/studentessa, il genitore/cittadino, il lavoratore cittadino/detentore di saperi, i dirigenti/cittadini e le forze sociali/Sindacati/Associazioni, nell’attuale contesto storico, utilizzando le regole imposte e talvolta condivise – svolgesse il proprio ruolo e assumesse le proprie responsabilità, fuori dai confini dell’opportunismo soggettivo e di comodo. Ma l’attuale <separazione> dello Stato, struttura rappresentativa di un popolo, dal suo nucleo fondante, ovvero il popolo medesimo, nelle democrazie rappresentative, sostanzialmente oligarchiche e delegate, rappresenta una “degenerazione”, perché, nel governo dello Stato, il rappresentante eletto è diventato portatore di interessi non più delegati, ma auto-referenziali o funzionali al potere economico ed ideologico espresso da chi già controlla l’economia. “Questo”, rappresenta “la distanza” tra l’elettore/popolo e l’eletto/delegato, non già tra lo Stato, erogatore di servizi, il governo ed il cittadino. Diventa necessario, pertanto, perché la “degenerazio- ne” diventi un’opportunità, semplicemente riappropriarsi della delega concessa al delegato e del diritto ad esercitare il proprio ruolo di fruitore di servizi. La forza del delegante, ovvero del popolo, si trova nella condizione di libera scelta e comprensione del proprio ruolo, ma questo, “ieri ed oggi”, è necessario che faccia i conti con i condizionamenti indotti da uno Stato e da una società civile, rappresentati come se tutti gli uomini e le donne, fossero perfettamente uguali nella comunità democratica; ma tale rappresentazione è illusoria, perché la condizione reale invece configura una condizione di sfruttati e sfruttatori, ricchi e poveri, disoccupati ed occupati, garantiti e non garantiti, italiani e stranieri, europei ed extraeuropei, cristiani ed islamici…
Ancora una volta, la pratica (prassi), attuata dalla “scjrrate/ scompigliata” (mia madre), di pesare il pane comprato (verifica /critica), consente di riappropriarsi del valore scambiato per avere il “pattuito” e del diritto a non ritenere “assoluta o religiosa” l’azione dell’altro. Cioè, il “controllo scientifico e materiale” dei mezzi di produzione e scambio, dei processi economici conseguenti, nonché delle leggi approvate, dove il ruolo fondante non è rappresentato dall’istruzione e dai saperi posseduti, ma dalla propria dignità esistenziale e dalla consapevolezza che “quei soldi, quei diritti, quel voto sono miei e tu mi devi dare un corrispondente valore che è stato concordato”, costituisce la condizione per “esserci” a fare la storia, la cultura, l’economia, lo Stato e la vita, ma come cittadini del mondo e non del proprio orto.
Le democrazie hanno un merito: consentono di abbattere le barriere che separano il popolo dal potere ed i popoli tra di loro; cioè, se venisse consapevolmente esercitato il potere di votare e di rivendicare l’applicazione della norma, si consentirebbe di estendere la democrazia! E “Quanto più la democrazia è completa, tanto più vicino è il momento in cui essa diventa superflua” (Lenin, Stato e rivoluzione).
Nella modalità di “Governance” della Pubblica Amministrazione, oggi, ci sono spazi e condizioni per l’abolizione dei privilegi di tutti i funzionari pubblici, nonché degli stessi “parlamentari”; la politica di professione, che, comunque, non costituisce un pericolo, anzi, rappresenta una grande risorsa, è condizionata alla rielezione, ovvero alla scelta da parte dell’elettore; il mandato politico è sempre “a tempo determinato”, perché dopo diventa necessario essere rieletti; il parlamentarismo di professione sarebbe di fatto eliminato, se l’elettore non si facesse incantare dalle favole belle, ma valutasse con il metro dell’efficienza e della coerenza; lo stesso conflitto d’interesse, nonché la limitazione del numero e degli stipendi dei parlamentari, come dell’apparato burocratico, potrebbero essere rinegoziati, se l’elettore ne pretendesse l’inserimento nel programma elettorale ed altro ancora. Ovvero, perché una Democrazia si estenda, è sempre il tempo, non del critico che rimprovera, ma del poeta e del profeta che crea, afferma e denuncia, conservando quella piacevole e fondamentale capacità di “indignarsi” per un diritto omesso o per una finanziaria di tagli di risorse e posti… ma non solo per quelli funzionali al proprio interesse e alle proprie clientele di parte. ☺
polsmile@tin.it
“Decentrare” i servizi erogati per i cittadini dal controllo diretto di un apparato di Stato Centrale, determinandone la parcellizzazione sul territorio e attuando di fatto, nonché costituzionalmente, l’autonomia, altrimenti detto federalismo; favorire la razionalizzazione, suscitando responsabilità autonome e “adeguandolie a direttive europee; agevolare ed indicare processi di aggiornamentiofunzionalmente collegati alla qualità dei servizi e dei ruoli. Sono atti che “includono e determinano” assunzioni di responsabilità e qualità del servizio politico, ma potrebbero consentire la legittimazione del potere di sempre ed il “luogo comune” che si stia cambiando in meglio… comunque sono rivoluzionari (!) “se” ciascuno – il cittadino in generale e, per la scuola, lo studente/studentessa, il genitore/cittadino, il lavoratore cittadino/detentore di saperi, i dirigenti/cittadini e le forze sociali/Sindacati/Associazioni, nell’attuale contesto storico, utilizzando le regole imposte e talvolta condivise – svolgesse il proprio ruolo e assumesse le proprie responsabilità, fuori dai confini dell’opportunismo soggettivo e di comodo. Ma l’attuale <separazione> dello Stato, struttura rappresentativa di un popolo, dal suo nucleo fondante, ovvero il popolo medesimo, nelle democrazie rappresentative, sostanzialmente oligarchiche e delegate, rappresenta una “degenerazione”, perché, nel governo dello Stato, il rappresentante eletto è diventato portatore di interessi non più delegati, ma auto-referenziali o funzionali al potere economico ed ideologico espresso da chi già controlla l’economia. “Questo”, rappresenta “la distanza” tra l’elettore/popolo e l’eletto/delegato, non già tra lo Stato, erogatore di servizi, il governo ed il cittadino. Diventa necessario, pertanto, perché la “degenerazio- ne” diventi un’opportunità, semplicemente riappropriarsi della delega concessa al delegato e del diritto ad esercitare il proprio ruolo di fruitore di servizi. La forza del delegante, ovvero del popolo, si trova nella condizione di libera scelta e comprensione del proprio ruolo, ma questo, “ieri ed oggi”, è necessario che faccia i conti con i condizionamenti indotti da uno Stato e da una società civile, rappresentati come se tutti gli uomini e le donne, fossero perfettamente uguali nella comunità democratica; ma tale rappresentazione è illusoria, perché la condizione reale invece configura una condizione di sfruttati e sfruttatori, ricchi e poveri, disoccupati ed occupati, garantiti e non garantiti, italiani e stranieri, europei ed extraeuropei, cristiani ed islamici…
Ancora una volta, la pratica (prassi), attuata dalla “scjrrate/ scompigliata” (mia madre), di pesare il pane comprato (verifica /critica), consente di riappropriarsi del valore scambiato per avere il “pattuito” e del diritto a non ritenere “assoluta o religiosa” l’azione dell’altro. Cioè, il “controllo scientifico e materiale” dei mezzi di produzione e scambio, dei processi economici conseguenti, nonché delle leggi approvate, dove il ruolo fondante non è rappresentato dall’istruzione e dai saperi posseduti, ma dalla propria dignità esistenziale e dalla consapevolezza che “quei soldi, quei diritti, quel voto sono miei e tu mi devi dare un corrispondente valore che è stato concordato”, costituisce la condizione per “esserci” a fare la storia, la cultura, l’economia, lo Stato e la vita, ma come cittadini del mondo e non del proprio orto.
Le democrazie hanno un merito: consentono di abbattere le barriere che separano il popolo dal potere ed i popoli tra di loro; cioè, se venisse consapevolmente esercitato il potere di votare e di rivendicare l’applicazione della norma, si consentirebbe di estendere la democrazia! E “Quanto più la democrazia è completa, tanto più vicino è il momento in cui essa diventa superflua” (Lenin, Stato e rivoluzione).
Nella modalità di “Governance” della Pubblica Amministrazione, oggi, ci sono spazi e condizioni per l’abolizione dei privilegi di tutti i funzionari pubblici, nonché degli stessi “parlamentari”; la politica di professione, che, comunque, non costituisce un pericolo, anzi, rappresenta una grande risorsa, è condizionata alla rielezione, ovvero alla scelta da parte dell’elettore; il mandato politico è sempre “a tempo determinato”, perché dopo diventa necessario essere rieletti; il parlamentarismo di professione sarebbe di fatto eliminato, se l’elettore non si facesse incantare dalle favole belle, ma valutasse con il metro dell’efficienza e della coerenza; lo stesso conflitto d’interesse, nonché la limitazione del numero e degli stipendi dei parlamentari, come dell’apparato burocratico, potrebbero essere rinegoziati, se l’elettore ne pretendesse l’inserimento nel programma elettorale ed altro ancora. Ovvero, perché una Democrazia si estenda, è sempre il tempo, non del critico che rimprovera, ma del poeta e del profeta che crea, afferma e denuncia, conservando quella piacevole e fondamentale capacità di “indignarsi” per un diritto omesso o per una finanziaria di tagli di risorse e posti… ma non solo per quelli funzionali al proprio interesse e alle proprie clientele di parte. ☺
“Decentrare” i servizi erogati per i cittadini dal controllo diretto di un apparato di Stato Centrale, determinandone la parcellizzazione sul territorio e attuando di fatto, nonché costituzionalmente, l’autonomia, altrimenti detto federalismo; favorire la razionalizzazione, suscitando responsabilità autonome e “adeguandolie a direttive europee; agevolare ed indicare processi di aggiornamentiofunzionalmente collegati alla qualità dei servizi e dei ruoli. Sono atti che “includono e determinano” assunzioni di responsabilità e qualità del servizio politico, ma potrebbero consentire la legittimazione del potere di sempre ed il “luogo comune” che si stia cambiando in meglio… comunque sono rivoluzionari (!) “se” ciascuno – il cittadino in generale e, per la scuola, lo studente/studentessa, il genitore/cittadino, il lavoratore cittadino/detentore di saperi, i dirigenti/cittadini e le forze sociali/Sindacati/Associazioni, nell’attuale contesto storico, utilizzando le regole imposte e talvolta condivise – svolgesse il proprio ruolo e assumesse le proprie responsabilità, fuori dai confini dell’opportunismo soggettivo e di comodo. Ma l’attuale <separazione> dello Stato, struttura rappresentativa di un popolo, dal suo nucleo fondante, ovvero il popolo medesimo, nelle democrazie rappresentative, sostanzialmente oligarchiche e delegate, rappresenta una “degenerazione”, perché, nel governo dello Stato, il rappresentante eletto è diventato portatore di interessi non più delegati, ma auto-referenziali o funzionali al potere economico ed ideologico espresso da chi già controlla l’economia. “Questo”, rappresenta “la distanza” tra l’elettore/popolo e l’eletto/delegato, non già tra lo Stato, erogatore di servizi, il governo ed il cittadino. Diventa necessario, pertanto, perché la “degenerazio- ne” diventi un’opportunità, semplicemente riappropriarsi della delega concessa al delegato e del diritto ad esercitare il proprio ruolo di fruitore di servizi. La forza del delegante, ovvero del popolo, si trova nella condizione di libera scelta e comprensione del proprio ruolo, ma questo, “ieri ed oggi”, è necessario che faccia i conti con i condizionamenti indotti da uno Stato e da una società civile, rappresentati come se tutti gli uomini e le donne, fossero perfettamente uguali nella comunità democratica; ma tale rappresentazione è illusoria, perché la condizione reale invece configura una condizione di sfruttati e sfruttatori, ricchi e poveri, disoccupati ed occupati, garantiti e non garantiti, italiani e stranieri, europei ed extraeuropei, cristiani ed islamici…
Ancora una volta, la pratica (prassi), attuata dalla “scjrrate/ scompigliata” (mia madre), di pesare il pane comprato (verifica /critica), consente di riappropriarsi del valore scambiato per avere il “pattuito” e del diritto a non ritenere “assoluta o religiosa” l’azione dell’altro. Cioè, il “controllo scientifico e materiale” dei mezzi di produzione e scambio, dei processi economici conseguenti, nonché delle leggi approvate, dove il ruolo fondante non è rappresentato dall’istruzione e dai saperi posseduti, ma dalla propria dignità esistenziale e dalla consapevolezza che “quei soldi, quei diritti, quel voto sono miei e tu mi devi dare un corrispondente valore che è stato concordato”, costituisce la condizione per “esserci” a fare la storia, la cultura, l’economia, lo Stato e la vita, ma come cittadini del mondo e non del proprio orto.
Le democrazie hanno un merito: consentono di abbattere le barriere che separano il popolo dal potere ed i popoli tra di loro; cioè, se venisse consapevolmente esercitato il potere di votare e di rivendicare l’applicazione della norma, si consentirebbe di estendere la democrazia! E “Quanto più la democrazia è completa, tanto più vicino è il momento in cui essa diventa superflua” (Lenin, Stato e rivoluzione).
Nella modalità di “Governance” della Pubblica Amministrazione, oggi, ci sono spazi e condizioni per l’abolizione dei privilegi di tutti i funzionari pubblici, nonché degli stessi “parlamentari”; la politica di professione, che, comunque, non costituisce un pericolo, anzi, rappresenta una grande risorsa, è condizionata alla rielezione, ovvero alla scelta da parte dell’elettore; il mandato politico è sempre “a tempo determinato”, perché dopo diventa necessario essere rieletti; il parlamentarismo di professione sarebbe di fatto eliminato, se l’elettore non si facesse incantare dalle favole belle, ma valutasse con il metro dell’efficienza e della coerenza; lo stesso conflitto d’interesse, nonché la limitazione del numero e degli stipendi dei parlamentari, come dell’apparato burocratico, potrebbero essere rinegoziati, se l’elettore ne pretendesse l’inserimento nel programma elettorale ed altro ancora. Ovvero, perché una Democrazia si estenda, è sempre il tempo, non del critico che rimprovera, ma del poeta e del profeta che crea, afferma e denuncia, conservando quella piacevole e fondamentale capacità di “indignarsi” per un diritto omesso o per una finanziaria di tagli di risorse e posti… ma non solo per quelli funzionali al proprio interesse e alle proprie clientele di parte. ☺
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