accendere circuiti
17 Aprile 2010 Share

accendere circuiti

 

Ai miei tempi, ricordo, era possibile trovare dal tabaccaio o dal giornalaio cartoline illustrate con la veduta di un paesaggio naturale, boschivo o campestre, e in basso, a commento, la frase – credo di Guido Gozzano – “O beata solitudo, o sola beatitudo!”. Spedirne qualcuna, con la sola firma, durante una vacanza solitaria e ristoratrice, era una maniera sbrigativa, ma efficace, di comunicare ai lontani quel sentimento di gioiosa dilatazione di sé che si prova nel silenzio contemplativo della natura, come se il cuore, senza più confini, riuscisse a contenere il cielo, la terra e l’umanità intera. Una solitudine, questa, che non isola, ma, complice la bellezza della natura, ristabilisce il contatto con il cuore e con la gente che ami.

Tornando alla vita di ogni giorno, intessuta di relazioni non di rado faticose o interrotte da nodi di incomunicabilità che, irrisolti, conducono all’isolamento, saranno desiderabili – anzi necessarie – pause di solitudine gratuita, beata, da dedicare a se stessi per soddisfare le proprie esigenze spirituali e ritrovare la quiete interiore su cui poggia ogni armoniosa convivenza. E sarà un tempo per nulla vuoto, riempito di occupazioni congeniali: piccole attività di grande significato, da centellinare come nettare di cui si vuol conservare il sapore. Curare i fiori sul balcone, meditare su un libro che ci interroga, scrivere una poesia, pregare, lasciarsi andare ai ricordi saranno altrettanti sorsi d’aria pura che gonfiano l’anima.

La memoria… se ne nutre la solitudine di noi anziani. Ci riporta accanto le persone del nostro passato, creandoci l’illusione di una continuità, come riprendere un colloquio interrotto: una dolcezza che, tornando alla realtà, si muta in un senso di vuoto, di perdita. Quei compagni di viaggio non ci sono più. La morte ci ha privati di interlocutori significativi, ci ha chiuso orizzonti comunicativi. La scomparsa di una persona cara è una mutilazione: è una parte di sé che se ne va; un pezzo del proprio mondo – pensieri, ideali, emozioni, ricordi una volta condivisi – che ci lascia. Non abbiamo più nessuno che sa tante cose di noi; nessuno a cui dire “ti ricordi?”; nessuno che può colmare un vuoto della mente. E’ il deserto che con gli anni cresce dentro di noi; è la nostalgia della propria nicchia affettiva. E’ questa una solitudine legata alla nostra umana caducità, cui nessuno sfugge. Altre ancora sono le solitudini di cui soffriamo noi anziani.

Nella società di oggi, in continuo cambiamento, siamo figure spaesate in un mondo che non è più il nostro; personaggi quasi tragici nella impossibilità di comunicare quello che abbiamo imparato, quello che abbiamo capito della vita, perché non interessa a nessuno: altre sono le conoscenze, altri i valori… L’isolamento si combatte con la solidarietà.

E’ possibile, se vogliamo, intervenire nella nostra piccola comunità di vita: con passione e tenacia ricostruire legami di prossimità in uno scambio di disponibilità di tempo, di risorse, di affettività; creare luoghi dove incontrarsi fra anziani, adulti, giovani e giovanissimi significhi accendere circuiti di empatia e di simpatia.

E poi nella vita può anche accadere il miracolo che in un luogo come Assisi, dove la gente va da tutto il mondo a rifornirsi di bellezza, due vecchie compagne di collegio che non si erano mai riviste, si ritrovino e insieme rivivano gli anni meravigliosi dell’adolescenza. Ora nei momenti di reciproca nostalgia non hanno che da prendere in mano il telefono (beata tecnologia!) per rompere la solitudine dei ricordi. ☺

 

 

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