Al di qua del massimalismo morale
4 Settembre 2024
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Al di qua del massimalismo morale

Volendo riprendere la riflessione sulle istanze propositive provenienti dal documento vaticano Dignità infinita dopo il predominio del tema della guerra in Israele e in Europa, mi pare necessario rientrare nel cuore del testo di Amoris Laetitia, (AL) in cui non vi è semplicemente una innovazione della pastorale matrimoniale e familiare, ma una profonda e accurata rilettura della tradizione morale della Chiesa cattolica.
Prima di mettere a fuoco uno dei punti più evidenti di recupero della tradizione che AL realizza con grande forza e con vera profezia, occorre chiarire un punto decisivo. Diversamente da quanto viene ripetuto da settori più restii ad accettare le proposte di papa Francesco, non si tratta di discontinuità che AL introduce nella tradizione morale della Chiesa. Bisogna piuttosto riconoscere apertamente il contrario. La discontinuità era stata introdotta dai documenti del XX secolo – da Casti connubi, a Humanae vitae a Veritatis splendor – introducendo un “massimalismo morale” – inedito fino ad allora – con una certa forzatura nella lettura delle fonti tradizionali e rispetto alle quali AL opera un vero e proprio atto di “riconciliazione con la tradizione”. Come era già avvenuto con il Concilio Vaticano II, seguendone le orme, anche AL va letta innanzitutto come servizio alla tradizione.
Per comprendere questo punto, in vista di una adeguata recezione di AL e del magistero di papa Bergoglio, occorre partire da uno dei punti chiave del suo magistero: dalla luminosa distinzione tradizionale tra “legge oggettiva” e “circostanze soggettive”. L’esortazione apostolica poggia, fin dai primi numeri sulla chiara coscienza della superiorità del tempo sullo spazio, con la conseguenza che “non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con l’intervento del magistero” (AL 3). Su questa onesta considerazione AL elabora, nel cap.8, una comprensione delle “ferite della famiglia”, in cui si propone una relazione tra “norme” e “discernimento” che recupera un’ antica sapienza ecclesiale, rispetto alla quale una “morale fredda e da scrivania” (AL 312) aveva preteso di prendere le distanze in modo drastico e massimalistico.
La sottolineatura che papa Francesco ha ripetuto, in molti contesti, afferma che non siamo in un’epoca di cambiamento, ma in un cambiamento d’epoca. Siamo in un mondo nuovo, in una antropologia nuova, in una umanità nuova che il Vat. II chiamava “unica famiglia umana” e che noi continuiamo a guardare come frantumata in regioni, nazioni, religioni, ecc. Che non ci accada come dopo il Vaticano II: seduti su comode poltrone come in uno stadio abbiamo tifato per i “conservatori” o “custodi della tradizione” o per gli “innovatori, rivoluzionari”… ma usciti dallo stadio e tornati alla nostra vita ci siamo dedicati con zelo ai nostri interessi, accaparrandoci, il “nostro Dio”, e cancellando dalla memoria che noi siamo di Dio, dono e segno del suo amore, chiamati a restituire il nostro amore, non a lui, perché subito verrebbero le classifiche, mentre Gesù Cristo ci ha semplificato la vita dicendoci che qualunque cosa avremmo fatto al più piccolo l’avremmo fatto a lui e che se proprio avessimo voluto dargli una mano sarebbe bastato collaborare a nutrire ogni vita e a rialzare chiunque è caduto, perché Lui è la vita, rigenera la vita, non la umilia, né la emargina, né tantomeno la spegne, arti in cui credenti e non ci siamo esercitati con zelo e con abbondanti risultati, purtroppo.
Perché la speranza non muoia occorre desiderare e operare per un nuovo mondo ospitale e umanizzato. I credenti pensano che questo compito divino sia stato affidato a tutti noi umani senza che nessuno sia escluso e supplicano che il Signore non si penta della sua scommessa.☺

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