All’inferno con amore
13 Gennaio 2023
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All’inferno con amore

“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori” (Fabrizio de André, Via del Campo). Mi sono venute in mente queste parole pensando ad alcuni personaggi che Dante pone all’Inferno e mi chiedevo: come mai si ricordano più facilmente e con simpatia questi piuttosto che quelli delle altre cantiche? Dal modo in cui sono descritti si vede la simpatia o l’empatia che Dante ha per loro. Dal punto di vista delle rigide regole morali del suo tempo e per evitare di incorrere nelle dure sanzioni religiose, il poeta non può non collocare determinati personaggi tra i dannati; tuttavia il modo in cui li descrive fa emergere non solo l’assenza di condanna ma persino una malcelata approvazione, dovuta al fatto che lui stesso si mette nei loro panni o, in alcuni casi, vede la persona e non la sua condizione.

Tra tutti i personaggi della prima cantica vorrei segnalare i più significativi da questo punto di vista: innanzitutto Paolo e Francesca; a seguire Pier della Vigna, Brunetto Latini, Ulisse e il Conte Ugolino. Ognuno di loro ha infranto qualche regola del sistema ma, o lo ha fatto perché la regola è sbagliata in quanto riduce la persona ad una definizione o ad un’etichetta (pensia- mo al suicida Pier della Vigna o all’ omosessualità di Brunetto Latini), oppure ha, come Paolo e Francesca, messo l’amore davanti alle convenzioni (pensiamo ai matrimoni combinati, che erano la regola nel nostro passato e lo sono tuttora in tante parti del mondo, come la vicenda di Saman ci ricorda) o chi, come Ulisse, ha sfidato i limiti umani in nome della conoscenza (ma potremmo pensare anche a Giordano Bruno o a Galileo) o, infine, chi come Caino mantiene nonostante il male compiuto una sua dignità, come Ugolino, che viene portato alla morte insieme con i figli innocenti, simbolo di tutti coloro che pagano per colpe non commesse (pensiamo alle morti collaterali di mafia e terrorismo, ai figli delle detenute costretti a stare in carcere). Ugolino avrà ripensato al male commesso guardando i suoi figli ma non gli è stata data la possibilità di fare ammenda perché il suo nemico (un vescovo!) voleva semplicemente vendetta e liberarsi non solo di un nemico ma persino della sua discendenza, per non correre il rischio a sua volta di vendetta. Nello strazio di quest’uomo costretto (forse) a nutrirsi dei cadaveri dei figli, vediamo la denuncia di chi infligge il supplizio al colpevole forse pensando di fare giustizia (la pena di morte comminata dalla democrazia più antica esistente ne è l’esempio) ma in realtà aumenta solo il male con la violenza gratuita commessa dallo Stato.

Tra tutti questi personaggi, ancora una volta, quello per cui Dante prova più affetto, entrando nei suoi panni, è Francesca: “Oh, lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!” dice Dante a Virgilio e poi, rivolgendosi a lei dice: “Francesca, i tuoi martiri a lacrimar mi fanno tristo e pio”. Dopo che lei descrive a Dante come si sono svolti i fatti, il poeta conclude descrivendo il pianto di Paolo ma anche il suo dolore solidale: “Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangea sì, che di pietade io venni men così com’io morisse e caddi come corpo morto cade” (si veda Inf. V, 116-142).

Mi piace evidenziare ora la delicatezza con cui Dante tratta Brunetto Latini, il suo maestro incontrato nel girone dei sodomiti. Proprio nell’atteggiamento di rispetto filiale di Dante emerge la denuncia nei confronti di chi discrimina per ogni forma di diversità, che sia l’orientamento sessuale o il colore della pelle o la non appartenenza al proprio gruppo. Dante non solo desidera parlare con lui, ma vuole stargli accanto: “E se volete che con voi m’asseggia, farol, se piace a costui che vo seco” (XV,35-36). Sedersi con lui, metaforicamente parlando, è come dirgli: sto dalla tua parte, non mi vergogno di farmi vedere con te. E, descrivendo il rientro di Brunetto nella schiera dei suoi compagni di punizione, dice parole che sembrano alludere a un sogno (come “I have a dream” di Martin Luther King), cioè un tempo in cui ogni discriminazione verrà sconfitta: “Poi si rivolse e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna, e parve di costoro quelli che vince, non colui che perde” (XV, 121-124).

Vorrei concludere con la tragica figura di Pier della Vigna, segretario di Federico II, morto suicida. Verso questa categoria Dante manifesta una grande delicatezza facendo dire a Piero, trasformato in un cespuglio arido (è questa la pena immaginata per i suicidi): “Perché mi scerpi? Non hai tu spirto di pietà alcuno? Uomini fummo e or siam fatti sterpi: ben do- vrebb’esser la tua man più pia se stati fossimo anime di serpi” (XIII, 35-39). Ai suoi tempi, e per molti secoli ancora, i suicidi erano esclusi dai riti religiosi di sepoltura ma Dante invoca pietà e rispetto per coloro che fanno la scelta estrema di rinunciare alla vita come anche per tutti quelli che scelgono di vivere al di fuori degli schemi, in ambito morale o intellettuale.

Chiudo ancora con alcuni versi del moderno poeta De André, tratti da Preghiera in gennaio, una canzone dedicata ai suicidi ma anche ad ogni forma di diversità: “Quando attraverserà l’ultimo vecchio ponte ai suicidi dirà baciandoli alla fronte: Venite in Paradiso, là dove vado anch’io perché non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio… Signori benpensanti, spero non vi dispiaccia se in cielo, in mezzo ai santi, Dio fra le sue braccia soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte che all’odio e all’ignoranza preferirono la morte”. Oso pensare che Dante avrebbe approvato e sottoscritto le parole di questo suo moderno collega. ☺

 

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