artemisia gentileschi
31 Maggio 2010 Share

artemisia gentileschi

 

Una delle poche figure femminili della Storia dell’arte europea è Artemisia Gentileschi (Roma 1593 – Napoli 1652/3). Protagonista di una torbida vicenda “caravaggesca”, infarcita di elementi a dir poco sentimentali, erotici, patetici e fantastici, in una brillante fusione romanzesca:  infatti molti romanzi si sono ispirati alla sua vita.

La carriera artistica è stata pressoché impraticabile per le donne, costrette nei limiti che la società dell’epoca imponeva loro; limiti di natura culturale data l’assenza pressoché di totale formazione scolastica, e famigliare in quanto, nella famiglia patriarcale, la donna era preposta all’accudimento di tutti i numerosi componenti.

Artemisia Gentileschi, che ebbe modo di far fruttare il suo talento, è stata una delle donne “sfuggite” alle maglie di questo rigidissimo sistema sociale. Tuttavia la sua sofferta vicenda privata si è spesso sovrapposta a quella di pittrice, generando molte ambiguità. Negli anni Settanta del secolo trascorso la sua popolarità ha raggiunto il vertice per via dello stupro subìto: non ebbe timore di accusare il suo violentatore, al punto di sottoporsi allo schiacciamento dei pollici per confermare l’attendibilità, cosa che per lei, pittrice, non dovette essere solo un dolore fisico.

Artemisia è divenuto così il simbolo del femminismo e del desiderio di ribellarsi al potere maschile: spostare l’attenzione sulla vicenda personale dello stupro, ha messo in ombra i suoi meriti professionali, ormai ampiamente riconosciuti dalla critica, a partire da Roberto Longhi e dal suo articolo del 1916 Gentileschi padre e figlia.

Giuditta e Oloferne

Riguardo al dipinto più celebre di Artemisia, la Giuditta e Oloferne degli Uffizi, Longhi scrive: “Chi penserebbe che sopra un lenzuolo studiato di candori e ombre diacce degne di un Vermeer a grandezza naturale, dovesse avvenire un macello così brutale ed efferato […] Ma – vien voglia di dire – ma questa è la donna terribile! Una donna ha dipinto tutto questo?” ed aggiunge: “… che qui non c’è nulla di sadico, che anzi ciò che sorprende è l’impassibilità ferina di chi ha dipinto tutto questo ed è persino riuscita a riscontrare che il sangue sprizzando con violenza può ornare di due gocciole a volo lo zampillo centrale! Incredibile vi dico! Eppoi date per carità alla signora Schiattesi – questo è il nome coniugale di Artemisia – il tempo di scegliere l’elsa dello spadone che deve servire alla bisogna! Infine non vi pare che l’unico moto di Giuditta sia quello di scostarsi al possibile perché il sangue non le brutti il completo nuovissimo di seta gialla? Pensiamo ad ogni modo che si tratta di un abito di casa Gentileschi, il più fine guardaroba di sete del 600 europeo, dopo Van Dyck”  (Roberto Longhi, Gentileschi padre e figlia,in”L’Arte”,1916).

La lettura del dipinto sottolinea che cosa significhi saperne “di pittura e di impasto”: sono evocati i colori squillanti della tavolozza di Artemisia, le luminescenze seriche delle vesti (con quel suo giallo inconfondibile), la perfezione attenta per la realtà dei gioielli e delle armi. A partire dallo stupro subìto, la forza espressiva del suo linguaggio pittorico assume caratteri  precisi, soprattutto quando i soggetti sono le famose eroine bibliche, che pare vogliono manifestare la ribellione alla condizione in cui le condanna il loro sesso. In un saggio contenuto nel catalogo della mostra “Orazio e Artemisia Gentileschi” del 2001, Judith W. Mann prende le distanze, mostrandone i limiti, da una lettura strettamente femminista: “[Una lettura di questo tipo] avanza ipotesi che la piena potenza creativa di Artemisia si sia manifestata soltanto nel raffigurare donne forti e capaci di farsi valere, al punto che non si riesce ad immaginarla impegnata nella realizzazione di immagini religiose convenzionali, come una Madonna con Bambino o una Vergine che accoglie sottomessa l’Annunciazione; e, inoltre, si sostiene che l’artista abbia rifiutato di modificare la propria interpretazione personale di tali soggetti per adeguarsi ai gusti di una clientela che si presume maschile. Lo stereotipo ha avuto un doppio effetto restrittivo: inducendo gli studiosi sia a mettere in dubbio l’attribuzione dei dipinti che non corrispondono al modello descritto, sia ad attribuire un valore inferiore a quelli che non rientrano nel cliché”.

La critica più recente ha inteso dare una lettura meno riduttiva restituendo la figura di un’artista che ha lottato con determinazione contro i pregiudizi che si esprimevano nei confronti delle donne pittrici.☺

jacobuccig@gmail.com

 

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