
Camille Claudel (II)
Ne L’âge mûr, l’inesorabile passaggio del tempo è evocato da tre figure: un uomo maturo viene trascinato dalla Morte, che ha il volto di una vecchia arcigna e grinzosa. Ai suoi piedi, in ginocchio, una giovane donna implora l’uomo di non andare. È la rappresentazione dell’abbandono subìto, i volti sono quelli di Rodin, Rose e Camille. Scrive il fratello Paul in una lettera: “Questa giovane donna è mia sorella! Mia sorella Camille. Lei così superba, così orgogliosa, è così che si rappresenta. Implorante, umiliata, in ginocchio e nuda! Tutto è finito. E sapete cosa le viene strappato davanti a voi tutti? Le viene strappata l’anima, la bellezza, la vita, il nome stesso, l’opera di mia sorella, quella che le conferisce il suo interesse unico e che nella sua interezza è la storia della sua vita”.
Bravo Paul! Peccato che sarà l’esecutore anche se non materiale della morte e della sparizione di Camille!
Il solo a mostrare misericordia è il padre, che di nascosto dalla moglie le invia soldi e vestiti. Non immagina che la figlia non li indosserà mai, il corpo esile di un tempo è solo un ricordo. In sovrappeso, gonfia, Camille dimostra il doppio dei suoi anni. I profondi occhi azzurri, “i più belli che abbia mai visto” come scriverà il fratello Paul, sono spiritati, fanno quasi paura. È in questa fase che il destino di Camille è segnato, oltre che dalla famiglia ostile e una relazione sentimentale tossica (diremmo oggi), da un’epoca lontana a qualsiasi espressione di emancipazione femminile, refrattaria a ogni forma di anticonformismo. Camille è la figlia reietta del suo tempo. Si dice: “Camille Claudel è l’orgoglio e la vergogna del nostro Paese”.
Camille comincia a maturare un risentimento ossessivo, un delirio persecutorio: si convince che Rodin sia responsabile del fallimento della sua carriera, che saboti le commissioni impedendole di lavorare. È sola, senza un soldo. Le rare volte che si fa vedere in pubblico ha la sfrontatezza di parlare male di lui, dell’Intoccabile, sostenendo che millanti la paternità di opere da lei realizzate rivendicandole come proprie.
1899 – “Il delinquente si impossessa di tutte le mie sculture in vari modi e le dà ai suoi compagni, gli artisti alla moda, in cambio di onorificenze e di applausi. Lo fa insieme alla sua puttana. Tu, povero ingenuo, sei stato messo nel gioco senza accorgertene. Tu, la mamma, papà. E io sono trattata come un’appestata. Mi spiavano, mandavano gente a rubare le mie opere. Hanno cercato di avvelenarmi” (Lettera al fratello Paul).
Non mangia, non si lava, vaga di notte e distrugge a colpi di martello gran parte delle sue sculture. Nel frattempo il fratello, diventato diplomatico, membro de l’Académie e stimato letterato, teme per la propria reputazione. Quando, nel 1913, muore Louis Claudel, il padre, tutto precipita. Insieme a lui si spegne l’ultimo tenue rispetto per la sua condizione. La madre e il fratello Paul non si degnano nemmeno di informare Camille, che non parteciperà al funerale.
Il 10 marzo due uomini sfondano la porta dell’atelier dell’Île Saint-Louis, afferrano Camille per le braccia e la caricano su un’ambulanza per trasferirla in un ospedale psichiatrico. Un’azione talmente violenta che Camille nutre la speranza che si tratti di un ricovero temporaneo. Scrive alla madre con tragica ironia: “Cara Signora Claudel, ha intenzione di farlo durare a lungo questo scherzo?”.
Si accorgerà ben presto che non si tratta di uno scherzo e allora le lettere, numerose quanto inefficaci, assumeranno un altro tono. Scrive a chiunque, con il furore che la contraddistingue, implorando, supplicando, senza sapere che le lettere non usciranno mai dal manicomio: la madre ha dato ordine di “non permettere alcuna visita, non spedire le lettere, non fornire notizie a chicchessia”. Camille Claudel è, a tutti gli effetti, una sepolta viva (tanto che i familiari fanno girare la voce che sia morta nel 1920). “Mi hanno spedito a far penitenza nei manicomi dopo essersi impossessati dell’opera di tutta la mia vita… è lo sfruttamento della donna, l’annientamento dell’artista a cui si vuol far sudare sangue”.
Camille abbandona definitivamente la scultura, in trent’anni non produrrà più nulla. Continuerà però a scrivere, senza mai ricevere risposte, centinaia di lettere inascoltate meticolosamente raccolte e occultate dalla famiglia.
1927 – sono passati quattordici anni: “Paul, fratello mio, portami fuori da qui… questo non è il mio posto e tu lo sai… Io so che farai di tutto per allontanarti da me, accetterai incarichi all’estero pur di liberarti di me… è così crudele… crudele”.
1932 – “Mio caro Paul, devo nascondermi per scriverti e non so come farò a imbucare questa lettera. Perché, renditi conto, Paul, che tua sorella è in prigione. In prigione con delle pazze che urlano incessantemente, fanno smorfie, sono incapaci di articolare parole sensate. Ecco il trattamento che da quasi vent’anni s’infligge a un’innocente. Contavo su di te… mi avete trattata come un’appestata. Tu mi dici, Dio ha pietà degli afflitti, Dio è buono… Parliamone del tuo Dio che lascia marcire un’innocente in fondo a un manicomio”.
Paul, pur nell’intimo roso da sensi di colpa, le concederà soltanto sei visite. La madre mai. Solo nel 1925 le scrive. “Camille ho sotto gli occhi la tua ultima lettera e non riesco a credere che tu possa scrivere simili orrori a tua madre! Dio solo sa cosa devo subire da parte dei miei figli. La tua lettera è solo un’accozzaglia di calunnie, una più odiosa dell’altra”.
Camille diventa vecchia. Nel ‘43 il direttore dell’istituto psichiatrico invia un telegramma all’ambasciatore Claudel: “Qui si muore di fame. La prego di inviare dei soldi per sua sorella”. Nessuna risposta, nessun contributo.
Alle due del mattino del 19 ottobre 1943 il “genio della scultura” Camille Claudel muore all’età di 78 anni. Causa della morte: denutrizione. Le sue spoglie saranno gettate in una fossa comune. Nessuno verrà mai a reclamarle.☺