Chi ci proteggerà ?
19 Aprile 2021
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Chi ci proteggerà ?

Nel novembre del 1942 Gianfranco Contini scrive una lettera a Eugenio Montale, dopo aver appreso della morte di sua madre. “Immagino che esso (il lutto) ti renda sempre meno ‘reale’ il mondo in cui ci muoviamo”. Una frase non casuale, se ricordiamo uno dei versi più celebri in Ossi di Seppia che dice “Poi, come s’uno schermo, s’ accamperanno di gitto | alberi, case, colli per l’inganno consueto” in merito al dualismo tra illusione e fatto. La morte, “questa morte che ci accompagna | dal mattino alla sera, insonne” come insisteva Pavese, più di ogni altra cosa si ritrae alla possibilità di essere compresa col pensiero, di essere compresa prima che si mostri. La morte è sempre un’altra cosa, è sempre del tutto diversa da come la immaginavamo, o meglio, da come provavamo a trovarle un senso nella struttura della nostra realtà. Nel mezzo scorre la vita, la vita ordinata e cioè un flusso posticcio, provvisorio: e nonostante questo la chiamiamo realtà.

“E così si va via in silenzio senza neppure considerare che forse avremmo potuto aggiustare gli avvenimenti, le parole – non dico veramente viverli -. Ma se poi la morte, quest’occasione, non è la definitiva partenza e ci ritroviamo di nuovo la mattina qui in un’altra forma con altre memorie; non più noi o forse saremo sempre noi con l’identico esatto bisogno di riconferma e quindi la ruga sotto l’occhio destro che si socchiude come una falce e l’odore di prugnolo esatto sempre quello. Oppure potrò andare in altri luoghi e in altri desideri e dimenticare che qui proprio qui ho vissuto questa esperienza terribile e non vorrei più ritrovarmi una sera contro il muretto – basso di cinta -pietre grigie, cielo di quelli che tramontano con un gran sole a padella -io appoggiata al muretto – anzi no, seduta con le spalle alla casa, sento un bisbiglio, sento e penso che sia impossibile la bellezza del vivere -pericolo, no, angoscia del pericolo -! Dimmi credi davvero che tutto si ripeterebbe e che noi, che io di nuovo? Quando pensiamo alla morte, necessariamente pensiamo alla parte di noi che vivrà sempre, vedrà tutti i tramonti d’agosto vicino a un muretto, con sole grande a padella, non ricorderà la precedente anzi si meraviglierà di una quasi ripetitività della scena e avrà un brivido pensando, ma che sciocca tutto sembra già visto? Affondando lo sguardo con stupore nella scena che assaporiamo per la prima volta, non ci ricorderemo – non è possibile – che uniremo il sole di oggi a quello di ieri e dell’altroieri di una persona che forse aveva l’angolo del viso con una pieghina ed un inconfondibile odore di prugnolo sottile, quasi perverso (da l’orologio e la rupe, Loredana Alberti, 1994, p.9).

Nella poesia “ a mia madre” Montale esprime proprio questo senso di dualismo, la vita non è tra noi ma sta lì nel corpo dell’altra, che è in una tomba ma esiste come specificità di corpo proprio per la nostra costruzione memore, nell’assenza.

La morte si manifesta come oggetto e l’io deve fronteggiarla mentre “la lotta | dei viventi più infuria” e i pensieri si concentrano intorno a un’idea sola: “se tu cedi | come un’ombra la spoglia | […] chi ti proteggerà?” Eppure è il corpo, anzi la specificità di quel corpo materno a vivere nella memoria, ovvero quelle mani, quel volto che non si possono ignorare, né dimenticare perché sono il gesto d’una | vita che non è un’altra ma se stessa. Pur nella morte che ha fatto del corpo un involucro in disfacimento, l’io conferma: è il corpo che permette le relazioni che fanno di noi ciò che siamo nel corso della vita, cancellare l’impronta dei suoi gesti, significa pensare che la sua essenza avvenga in un altrove, togliendo a chi resta il potere di proteggere. Quando arriva, la morte impone il difendere e il difendersi: ci si difende da essa con la protezione della memoria, col ritenere chi non ha più voce, col trattenerlo in noi fuori di sé. E la domanda straziante chi ti proteggerà? sembra chiedere “chi mi proteggerà se te ne vai, oggi, da me?”

Angelina mi apparve, la prima volta nel 1988, a Casacalenda, con il sorriso appena accennato, la bocca obliqua, la parlata cantilenata, inizialmente timida poi affettuosa, consolatoria, la familiarità nel modo di offrire le verdure raccolte da Guido, suo marito, il suonare sempre discretamente alla porta che divideva la loro casa dalle stanze che Antonio mi aveva offerto per protezione, copertura, voglia di stare sola a comporre una separazione, una morte. Venivo fuori mentre Antonio rimbrottava – lasciala in pace – lei – diceva – ma che fai lì, vieni con noi a mangiare! Offrendo con gli occhi – sorriso, la sua semplicità, la sua parola ironica che sempre mirava al segno. Preparava rapidamente la tavola per quattro, mi faceva mangiare con dolce insistenza non solo le verdure ma anche la carne – assaggia la salsiccia e mangia anche un poco di frutta -!

Le mie ferite venivano lenite da quell’amore semplice e ruvido che passava dalle parole ai gesti, dalla cucina al rapido parlare di cose, luoghi, persone che non conoscevo ma mi balzavano prontamente intorno, alle sue frasi fulminanti. Ogni giorno mi sentivo meglio per quella premurosa affezione che mi proteggeva.

Guido mi indicava i nomi delle verdure che aveva raccolto lungo la strada perché avevo detto che mi piaceva la verdura amara, e mi parlava del suo passato, di quando andava in campagna a lavorare, dei km e delle giornate dure e lunghe di fatica.

Un giorno dissi -beh domani sera cucino io!- e feci delle semplici crespelle ripiene.

Quando ho rivista Angelina, due o tre anni dopo, mi sorprese perché chinando la testa sulla spalla mentre sorrideva, gesto che le era consueto, per indicare mansuetudine ma anche riconferma all’altro mi disse – ma mo’, io ti devo chiedere un piacere, me le cucini le crespelle una sera?-.

Cosa non avrei fatto per Angelina che come la Maria della crocifissione, aveva sparso unguento profumato, medicina e velluto sulle ferite della mia anima!

Per questo so, da laica come Montale, che la mia identità di persona separata sarà protetta dalla madre Angelina sempre: io non so se sarò capace di fare altrettanto, durante il suo viaggio di libertà.☺

 

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