ci salveranno i beni comuni
7 Maggio 2017
La Fonte (351 articles)
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ci salveranno i beni comuni

Diciamolo subito, Transizione ecologica non è un libro da leggere in metropolitana. Immaginate una serie di lezioni di economia e finanza, ma non propinate dal cattedratico che te le lascia cadere dall’ alto della sua scienza. Chi scrive è un “monello”, altrettanto competente, che si diverte a vedere dal buco della serratura gli arcana imperii della finanza mondiale. Una specie di disvelamento dei perversi meccanismi della economia finanziaria, al cui centro troneggia ammaliatore e minaccioso il (falso) totem del mercato.

Aggiungete che l’autore è un gesuita francese di 46 anni, con un curriculum di economista che incute rispetto, con lo sfacciato coraggio di parlare di etica e di Dio in mezzo agli squali di Wall Street e della City e ai burosauri di Bruxelles, e avrete un mix perfetto per un libro “difficile” ma salutare. Scritto, per di più nel 2012 (è oggi alla terza edizione), ben prima della Laudato si’ di papa Francesco, il quale non può non averne tenuto conto.

Nel sottotitolo del libro (La finanza al servizio della nuova frontiera dell’economia) c’è l’assunto di fondo: utilizzare lo strumento della finanza capovolgendone la direzione di marcia: non più l’arma al servizio di pochi, usata spregiudicatamente per l’arricchimento delle minoranze “potenti”, ma lo strumento restituito alla gestione democratica del denaro pubblico e privato e indirizzato allo sviluppo dei beni comuni. Insomma, una società ispirata dal “bene comune” in cui il credito sia considerato mezzo (e non fine) per quelle riforme di cui beneficiano tutti, a cominciare dall’ambiente: rinnovamento termico degli edifici, cambi di prassi nella mobilità, tasse più alte per chi inquina, in pratica «un’economia sempre meno energivora e inquinante».

Gaël Giraud vede il mondo ad una svolta tra la somma ingiustizia che regnerebbe su un pianeta divorato dall’interesse privato e un cammino di restituzione della terra all’uomo e della giustizia all’umanità. Egli non parla per sentito dire. Ha attinto di prima mano alle fonti del social-darwinismo (“Vedi amico, grandi crisi come quella che abbiamo attraversato nel 2008 sono eccellenti … permettono di far fuori i più deboli e rende più forti coloro che sopravvivono”) e quando, lavorando per una banca, ha sollevato obiezioni sulle procedure adottate, gli hanno risposto: “Senti, ragazzo, ci stai rompendo le scatole. Non vedi tutti i soldi che stiamo guadagnando?”.

Prima di tutto, quindi, una svolta morale. Ma nessun moralismo o pauperismo spiritualista. Al contrario, proposte concrete. “La transizione ecologica è il processo grazie al quale le nostre società potrebbero passare da un’organizzazione economica incentrata essenzialmente sul consumo di energie fossili … ad un’economia sempre meno energivora e inquinante”. Oppure “Un riassetto del territorio con piccole città molto dense e costi di trasporto elevati porterebbe a una nuova valorizzazione della poli-agricoltura attorno a tutti questi centri urbani. Buona notizia sarà l’occasione di mettere fine all’eccessiva specializzazione agricola”. Oppure “L’Islanda è un caso di scuola [del cambio di rotta auspicato] … la rivoluzione islandese, senza ghigliottina, avrà come atto fondativo non una battaglia ma il rifiuto dei cittadini di pagare il fallimento dei loro banchieri”.

Insomma Giraud è consapevole, come direbbe Machiavelli, che gli stati – e men che meno i processi economici – non si governano con i paternoster. Ma il punto è questo. Una volontà politica, sgorgata da una riscossa democratica, che reindirizzi gli strumenti finanziari. Per esempio, egli suggerisce l’abbattimento di un tabù: che stampare moneta generi automaticamente inflazione. Giraud dimostra che già le banche, oggi, senza che ce ne accorgiamo, creano moneta “nello stesso istante in cui lo prestano” pur non avendolo nei loro conti.

Non ho altro spazio.

Mi limito perciò a citare un passo che chiama in causa chi ci governa: “Tutta la difficoltà sta nel trovare un governo capace di un simile coraggio politico. Renzi pare troppo occupato a smontare il mercato del lavoro italiano, e dunque ad eseguire il programma neoliberista di privatizzazione del lavoro, per potere anche solo immaginare” cosa significhi un futuro fondato sulla conversione della finanza e l’impero positivo dei beni comuni. “Un’Europa dei beni comuni risponde alle aspirazioni democratiche degli europei [e] può favorire una governance efficace della transizione ecologica e rimediare ai vizi strutturali che infangano una società costruita per intero sui mercati finanziari”.

Il libro, prefato da M. Magatti, è edito da E.M.I. e costa €10,99 (digitale), €16,00 (cartaceo).☺

 

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