cibo condiviso
13 Aprile 2010 Share

cibo condiviso

 

Se c’è una cosa di cui noi molisani possiamo essere fieri è la cucina regionale. I prodotti gastronomici nostrani rappresentano un vanto per qualità e gusto, ed offrono al nostro territorio un po’ di visibilità. A tavola, allora! Perché voglio soffermarmi questa volta sulle parole legate all’area semantica del mangiare.

Ogni lingua, si sa, esprime direttamente la vita e la cultura dei popoli che la parlano. Dare un nome agli alimenti è stata senza dubbio una delle prime occupazioni delle società umane poiché sull’alimentazione si basava la loro sussistenza. Accadeva però che l’incontro e la conoscenza di altri popoli comportasse l’importazione di un nuovo alimento e conseguentemente di un termine nuovo per definirlo, che arricchiva il vocabolario della lingua dominante.

Non deve sembrare strano pensare che, nonostante lo strapotere dell’inglese in ogni parte del mondo, i tipici “piatti forti” della cucina italiana, lasagne, pizza, spaghetti, conservino i loro nomi: non esistendo un corrispettivo inglese ci pregiamo, come italiani, di sentire in paesi stranieri pronunciare qualche parola della nostra bella lingua.

D’altro canto noi italiani spesso ci mostriamo inclini ad utilizzare parole come sandwich [pronuncia: senduic] al posto di panino (chissà perché!), oppure per brevità diciamo toast [pronuncia: tost] per indicare le fette di pane farcite e abbrustolite; o ancora non possedendo una versione italiana convincente ci lanciamo a parlare di hot dog [pronuncia: hoddog] o hamburger [pronun- cia:hamb’rgher] quando si tratta di prodotti di rosticceria. Risulterebbe prolisso esprimersi con: “panino imbottito con salsicciotto” o “polpetta di carne alla griglia”.

La vocazione prettamente agricola della nostra regione ha consentito per decenni il perpetrarsi di abitudini quali la preparazione dei pasti in casa, affidata esclusivamente alle donne della famiglia. Recentemente, non senza difficoltà, queste ultime tentano di conciliare il lavoro fuori casa con questa incombenza, ed in molti casi vi riescono perfettamente.

Ma oggi, grazie alla globalizzazione, stanno diffondendosi comportamenti nuovi che sono espressi nel linguaggio con termini altrettanto nuovi (ovvero importati dall’inglese). Mi spiego.

“Provvedere al cibo”, e per estensione “rifornire”, è il significato del verbo inglese cater [pronuncia: cheter], che ha originato un’espressione molto comune, catering [pronuncia: chetering], con cui si indica sia l’azione di preparare e distribuire pasti, sia il prodotto fornito.

È di moda servirsi del catering per convegni, cerimonie, riunioni di una certa durata; un servizio certamente importante anche all’interno di comunità o associazioni, in cui la pausa del pranzo o i pasti giornalieri non possono essere tralasciati.

Indispensabile, vitale, la preparazione e distribuzione del cibo è diventata attività commerciale: piuttosto che perdere tempo, oggi basta una telefonata e tutto è già pronto. Ci pensa il catering! Vantaggioso, perché non grava sempre sulle stesse persone, a cui viene delegata la responsabilità di provvedere all’alimentazione. Igienico, sicuro, forse anche un po’ anonimo, come spesso diventano le azioni umane nell’era della globalizzazione! Costoso magari, ma certamente al passo coi tempi!

E che dire della sempre più diffusa moda del take-away [pronuncia: teich-euei], anch’essa di importazione britannica?

L’espressione verbale “portare via” si è concretizzata nel sostantivo take-away per indicare il cibo o il pasto che viene comprato e poi consumato a casa, asportato quindi, perché non si ha il tempo di prepararsi da mangiare, oppure non se ne ha voglia.

L’origine di questa abitudine va ricercata essenzialmente nella società anglo-americana, da secoli industrializzata e di conseguenza strutturata in base ai ritmi del lavoro: non c’è tempo durante la giornata lavorativa di pensare alla preparazione del pranzo; a sera, la stanchezza ha il sopravvento e si ricorre a ciò che può essere consumato velocemente!

Le società del mondo occidentale oggi si somigliano tutte ed anche da noi, in Italia, in Molise, questi comportamenti si stanno diffondendo, facendoci abbandonare il nostro modo di vivere, obsoleto sì, ma senza dubbio più umano.

Tradizionale o da asporto, catering o “cucina di mamma”, il bisogno di cibo va comunque soddisfatto, ed ogni essere umano ne ha diritto, meglio se con spirito di condivisione e accoglienza. ☺

dario.carlone@tiscali.it

 

 

 

 

 

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