conflitto di classe   di Famiano Crucianelli
27 Marzo 2012 Share

conflitto di classe di Famiano Crucianelli

 

Il circolo del Pd di Mafalda ha preso una buona iniziativa: un seminario itinerante sui temi del lavoro al quale dovrebbero partecipare una cinquantina di giovani. Il fatto che dei giovani siano chiamati a riflettere su lavoro, precarietà, macroregione adriatica, fisco e enti locali e impresa è cosa ottima se pensiamo che nella normalità la politica di gran parte dei politici molisani è un ricettacolo di clientelismo, familismo, piccoli e grandi favori, miseria delle idee, in sostanza uno spettacolo immorale degno più delle aule giudiziarie che della società civile. Mi permetto, però, di dare un consiglio ai giovani di Mafalda, ma non solo a loro. Avrei aperto questo seminario con una discussione sull’ultimo libro di Luciano Gallino: “Il ritorno delle classi”. Questo testo con ragionamenti, fatti e statistiche ruota intorno ad un elementare concetto che viene da lontano, ma conserva una sua drammatica attualità. Le classi sociali esistono e la classe dei ricchi è impegnata in una sordida e violenta battaglia contro la classe sociale povera e subalterna, le diseguaglianze sociali per alcuni versi si sono dilatate fra un gruppo di grandi possidenti e il resto del mondo, la democrazia con la globalizzazione è sempre più un osso di seppia.

Nulla di nuovo si potrebbe obiettare da Marx a don Milani abbiamo una letteratura sterminata sul tema dello sfruttamento e delle ingiustizie. Non è così e per diverse ragioni. Il primo paradosso è che dopo più di un secolo di lotte e conquiste sociali come nel gioco dell’oca siamo tornati al punto di partenza, certo l’ambiente non è quello che Marx descrive, quando parla dell’accumula- zione primitiva in Inghilterra, ma è un fatto che negli Stati Uniti come in Italia i proprietari sia di risorse finanziare che di imprese e i cosiddetti  manager guadagnano molto di più di ieri, mentre il resto della società medio-bassa e i lavoratori si sono impoveriti. Nel mondo come sostiene nel libro Gallino lo  0,5% della popolazione possiede 69 trilioni di dollari, mentre il 68% della popolazione detiene solo 8 trilioni di dollari, a casa nostra il 10% della popolazione detiene il 50% della ricchezza nazionale. La ragione è semplice: il capitalismo si è globalizzato e finanziarizzato, mentre i ceti medi e il proletariato si sono  dispersi nel ghetto dei confini nazionali.

Un secondo mutamento epocale che rende tranquilli i sonni dei redditieri e dei proprietari è lo spostamento della antica contraddizione interna ai poveri e ai lavoratori dalle realtà nazionali a livello planetario. Per Marx i disoccupati erano uno straordinario esercito di riserva utile per ricattare e piegare la classe operaia, oggi l’esercito di riserva è rappresentato da miliardi di lavoratori distribuiti in tutto il mondo, la stragrande maggioranza dei quali neppure conosce le parole “diritti”, “stato sociale”, “sindacato”, “statuto dei diritti dei lavoratori”. Un lavoratore americano o europeo che guadagna 25/30 dollari l’ora viene licenziato, perché al suo posto lavorano disperati indiani, vietnamiti o nuovi proletari di altri paesi del mondo a 36 centesimi l’ora. Su questa contraddizione esplosiva che riempie le tasche dei già ricchi hanno dormito sindacati, forze democratiche e di sinistra. È del tutto evidente che se questo strategico problema dovesse marcire, se non si dovesse arrivare rapidamente ad una globalizzazione dei diritti sociali e del lavoro, allora nuovi nazionalismi, nuovi protezionismi, nuovi militarismi e nuove destre potrebbero portare sulla scena della politica le ombre più cupe del passato. Il paradosso è che ci troviamo dinnanzi una a sinistra che, mentre, a fine ottocento e per parte buona del novecento alzava la bandiera dell’internazionalismo, oggi, al contrario, quando esisterebbero più di ieri le condizioni obiettive per costruire insieme un destino comune, è senza memoria e senza voce.

Interrogarsi sul perché siamo precipitati in questa situazione è il primo dei compiti per chi voglia intervenire nelle vicende umane. La ragione prima di questo stato di cose sta, a mio parere, nella demolizione di un pensiero critico e di una cultura che aveva al suo centro: l’eguaglianza e la libertà come valori e la Politica come strumento democratico per governare la società. Si è affermato un pensiero unico che ha fatto del mercato un feticcio, dell’individualismo un valore e della democrazia un fondo di caffè. La rivoluzione liberista di Reagan e della Thacher prima, il crollo dei paesi del socialismo reale e poi i processi di globalizzazione economici, tecnologici e finanziari, come era facilmente prevedibile, prima hanno colpito al cuore l’eguaglianza e poi a seguire la libertà e la democrazia. Libertè, fraternitè, egalitè erano i principi ispiratori, la bandiera della rivoluzione francese; la fraternitè non si è mai realizzata e oggi anche della libertà e dell’eguaglian- za resta poca cosa. La responsabilità morale è di quei politici e sono tanti e ben distribuiti  che hanno trasformato quella che doveva essere missione, passione civile e cura del bene comune, ovvero la Politica, in un letamaio di affari e interessi privati. Quando un terremoto, una disgrazia naturale come quella del Molise del 2002, diventa occasione per politiche e scelte truffaldine, che altro dobbiamo aspettare? Va, anche, ricordato che non lieve è la responsabilità politica di chi ha pensato che i partiti dovessero perdere radici e identità e trasformarsi in generici contenitori di correnti e comitati elettorali. Se non si riparte da queste considerazioni, se non si legge la storia di ieri e le vicende di questa nostra epoca con l’occhio critico di chi vuole cambiare la realtà, allora la strada sarà breve e confusa, e, soprattutto, non porterà da nessuna parte.

Ai giovani di Mafalda vorrei dire che loro fanno un lavoro prezioso, perché indagare la realtà, definire programmi e progetti concreti, far discutere un collettivo di giovani è iniziativa sicuramente virtuosa, anzi, è forse l’unico linguaggio che i giovani  intendono, però è bene avere chiaro che, perché un progetto, un obiettivo diventi storia individuale e collettiva è essenziale avere consapevolezza che le classi ci sono, che il conflitto di classe non ha perso la sua ragion d’essere e che lo stato di cose presenti deve essere democraticamente rivoluzionato. ☺

famiano.crucianelli@tiscali.it

 

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