La crisi finanziaria ed economica è perdurante, strutturale e globale. E le misure volte a superarla dovranno essere anch’esse perduranti, strutturali e concertate a livello mondiale unendo paesi ricchi e impoveriti. Le politiche monetarie sono state già molto aggressive con riduzioni del tasso di interesse ufficiale a misure prossime allo zero, e di più non si può fare, mentre le politiche fiscali non potranno essere espansive, ossia volte ad una riduzione del gettito, per aumentare i consumi e gli investimenti, perché la spesa pubblica, che finanzia anche misure straordinarie come la CIG, è ai massimi livelli consentiti e nessuno Stato può privarsi di risorse già peraltro a dubbio di incasso. Le imprese stanno chiudendo in molte parti d’Italia o hanno bisogno di liquidità, mentre alcuni istituti di credito chiedono di “rientrare”. Intanto il quadro occupazionale è drammatico con una perdita impressionante di lavoratori e con un ritorno al lavoro nero.
Ma cosa è accaduto? Come mai si è passati da una crescita illimitata (promessa di anno in anno) del PIL ad una recessione (decrescita per almeno due trimestri consecutivi) ed ora ad una depressione? Che cos’è accaduto? Negli ultimi trent’anni c’è stata un’offensiva politico-culturale sbagliata. Una volta infatti che la disuguaglianza sociale è stata accettata come un fattore positivo, e lo squilibrio nei redditi è divenuto un fattore fisiologico, si è interrotto il processo di crescita e diffusione del benessere. Per consentire alle famiglie della classe media americana di continuare ad acquistare le merci e i servizi di un’economia superproduttiva, è stato favorito in ogni modo il ricorso all’indebitamento. Quando l’ammontare complessivo di questo debito è divenuto troppo gravoso, esso è stato distribuito nei circuiti finanziari internazionali, inquinandoli. Nel frattempo la capacità di consumo è diminuita tanto da rendere ancora più evidente che la crisi era già segnata da un eccesso di offerta di prodotti. Senza i modelli teorici elaborati da tre premi nobel forse non ci si sarebbe spinti così in là. Ma quei modelli non prevedevano il cigno nero: ossia che spingere verso una distribuzione ampia di titoli tossici non avrebbe ridotto il rischio, ma lo avrebbe globalizzato. Le realtà bancarie e finanziarie non hanno continuato ad alimentare il flusso finanziario prestandosi denaro, ma hanno iniziato a diffidare e, si sa, la fiducia regge tutto il sistema finanziario.
Questa crisi ha consumato una parte fondamentale del capitale sociale: la fiducia e il mercato non sa riprodurla. La ricerca senza limiti dei guadagni e a breve ha fatto sì che valori come lealtà, integrità, fiducia tramontassero. Altro fattore da non trascurare è il mutamento radicale nel rapporto tra finanza e produzione di beni e servizi che si è venuto consolidando nel corso dell’ultimo trentennio. Nella maggior parte dei paesi occidentali i governi e gli enti locali hanno condizionato le loro promesse in materia previdenziale, e non solo, ad investimenti che dipendevano dal profitto dei nuovi strumenti finanziari. Allo stesso tempo, la creazione di questi nuovi strumenti ha via via esposto l’economia reale ai capricci della finanza. Lo stravolgimento del modo di concepire l’attività speculativa a scapito del reddito da lavoro (finanziarizzazione) è penetrata dentro la società e si è cominciato a privilegiare il consumatore sul lavoratore. Secondo Adam Smith un ordine sociale autenticamente liberale aveva bisogno di due mani per durare nel tempo: invisibile l’una e visibile l’altra – quest’ultima dello Stato, che deve intervenire in chiave sussidiaria, tutte le volte in cui l’operare della mano invisibile rischia di condurre verso la manipolazione dell’economia.
Un’economia davvero liberale vive del rapporto tra democrazia e mercato. Il liberismo, invece, ha privilegiato la sola efficienza. Questa crisi è però anche una grande opportunità per gli alternativi alla globalizzazione delle ingiustizie (altermondialisti). Essi sperano che il Benessere senza il Bene non sarà più il ricatto con cui il capitalismo globale si assicura la fedeltà dei suoi sudditi. L’economia e l’individualismo non dovrebbero essere più un dogma che vede ciascuno curarsi solo del proprio interesse. La guarigione dall’individuali- smo accade quando non si ha paura di guardare e sentire le cose dal punto di vista di chi viene emarginato, scartato, giudicato. La prospettiva di un’altra economia non emargina la categoria del benessere, ma la trasforma assumendola nell’impegno all’armonizzazione e considerandola il compito di un sistema di tutela sociale, territorio per territorio, cui concorrono lavoratori, cooperative, aziende, sindacalisti, associazioni, forze politiche, scuole. Purché vedano il compito comune che li lega. Parole come giustizia, bene comune e sobrietà dovranno assumere un’importanza globale e locale, a breve ed a lungo termine. Allora consumare non sarà più una virtù.☺
adelellis@virgilio.it
La crisi finanziaria ed economica è perdurante, strutturale e globale. E le misure volte a superarla dovranno essere anch’esse perduranti, strutturali e concertate a livello mondiale unendo paesi ricchi e impoveriti. Le politiche monetarie sono state già molto aggressive con riduzioni del tasso di interesse ufficiale a misure prossime allo zero, e di più non si può fare, mentre le politiche fiscali non potranno essere espansive, ossia volte ad una riduzione del gettito, per aumentare i consumi e gli investimenti, perché la spesa pubblica, che finanzia anche misure straordinarie come la CIG, è ai massimi livelli consentiti e nessuno Stato può privarsi di risorse già peraltro a dubbio di incasso. Le imprese stanno chiudendo in molte parti d’Italia o hanno bisogno di liquidità, mentre alcuni istituti di credito chiedono di “rientrare”. Intanto il quadro occupazionale è drammatico con una perdita impressionante di lavoratori e con un ritorno al lavoro nero.
Ma cosa è accaduto? Come mai si è passati da una crescita illimitata (promessa di anno in anno) del PIL ad una recessione (decrescita per almeno due trimestri consecutivi) ed ora ad una depressione? Che cos’è accaduto? Negli ultimi trent’anni c’è stata un’offensiva politico-culturale sbagliata. Una volta infatti che la disuguaglianza sociale è stata accettata come un fattore positivo, e lo squilibrio nei redditi è divenuto un fattore fisiologico, si è interrotto il processo di crescita e diffusione del benessere. Per consentire alle famiglie della classe media americana di continuare ad acquistare le merci e i servizi di un’economia superproduttiva, è stato favorito in ogni modo il ricorso all’indebitamento. Quando l’ammontare complessivo di questo debito è divenuto troppo gravoso, esso è stato distribuito nei circuiti finanziari internazionali, inquinandoli. Nel frattempo la capacità di consumo è diminuita tanto da rendere ancora più evidente che la crisi era già segnata da un eccesso di offerta di prodotti. Senza i modelli teorici elaborati da tre premi nobel forse non ci si sarebbe spinti così in là. Ma quei modelli non prevedevano il cigno nero: ossia che spingere verso una distribuzione ampia di titoli tossici non avrebbe ridotto il rischio, ma lo avrebbe globalizzato. Le realtà bancarie e finanziarie non hanno continuato ad alimentare il flusso finanziario prestandosi denaro, ma hanno iniziato a diffidare e, si sa, la fiducia regge tutto il sistema finanziario.
Questa crisi ha consumato una parte fondamentale del capitale sociale: la fiducia e il mercato non sa riprodurla. La ricerca senza limiti dei guadagni e a breve ha fatto sì che valori come lealtà, integrità, fiducia tramontassero. Altro fattore da non trascurare è il mutamento radicale nel rapporto tra finanza e produzione di beni e servizi che si è venuto consolidando nel corso dell’ultimo trentennio. Nella maggior parte dei paesi occidentali i governi e gli enti locali hanno condizionato le loro promesse in materia previdenziale, e non solo, ad investimenti che dipendevano dal profitto dei nuovi strumenti finanziari. Allo stesso tempo, la creazione di questi nuovi strumenti ha via via esposto l’economia reale ai capricci della finanza. Lo stravolgimento del modo di concepire l’attività speculativa a scapito del reddito da lavoro (finanziarizzazione) è penetrata dentro la società e si è cominciato a privilegiare il consumatore sul lavoratore. Secondo Adam Smith un ordine sociale autenticamente liberale aveva bisogno di due mani per durare nel tempo: invisibile l’una e visibile l’altra – quest’ultima dello Stato, che deve intervenire in chiave sussidiaria, tutte le volte in cui l’operare della mano invisibile rischia di condurre verso la manipolazione dell’economia.
Un’economia davvero liberale vive del rapporto tra democrazia e mercato. Il liberismo, invece, ha privilegiato la sola efficienza. Questa crisi è però anche una grande opportunità per gli alternativi alla globalizzazione delle ingiustizie (altermondialisti). Essi sperano che il Benessere senza il Bene non sarà più il ricatto con cui il capitalismo globale si assicura la fedeltà dei suoi sudditi. L’economia e l’individualismo non dovrebbero essere più un dogma che vede ciascuno curarsi solo del proprio interesse. La guarigione dall’individuali- smo accade quando non si ha paura di guardare e sentire le cose dal punto di vista di chi viene emarginato, scartato, giudicato. La prospettiva di un’altra economia non emargina la categoria del benessere, ma la trasforma assumendola nell’impegno all’armonizzazione e considerandola il compito di un sistema di tutela sociale, territorio per territorio, cui concorrono lavoratori, cooperative, aziende, sindacalisti, associazioni, forze politiche, scuole. Purché vedano il compito comune che li lega. Parole come giustizia, bene comune e sobrietà dovranno assumere un’importanza globale e locale, a breve ed a lungo termine. Allora consumare non sarà più una virtù.☺
La crisi finanziaria ed economica è perdurante, strutturale e globale. E le misure volte a superarla dovranno essere anch’esse perduranti, strutturali e concertate a livello mondiale unendo paesi ricchi e impoveriti. Le politiche monetarie sono state già molto aggressive con riduzioni del tasso di interesse ufficiale a misure prossime allo zero, e di più non si può fare, mentre le politiche fiscali non potranno essere espansive, ossia volte ad una riduzione del gettito, per aumentare i consumi e gli investimenti, perché la spesa pubblica, che finanzia anche misure straordinarie come la CIG, è ai massimi livelli consentiti e nessuno Stato può privarsi di risorse già peraltro a dubbio di incasso. Le imprese stanno chiudendo in molte parti d’Italia o hanno bisogno di liquidità, mentre alcuni istituti di credito chiedono di “rientrare”. Intanto il quadro occupazionale è drammatico con una perdita impressionante di lavoratori e con un ritorno al lavoro nero.
Ma cosa è accaduto? Come mai si è passati da una crescita illimitata (promessa di anno in anno) del PIL ad una recessione (decrescita per almeno due trimestri consecutivi) ed ora ad una depressione? Che cos’è accaduto? Negli ultimi trent’anni c’è stata un’offensiva politico-culturale sbagliata. Una volta infatti che la disuguaglianza sociale è stata accettata come un fattore positivo, e lo squilibrio nei redditi è divenuto un fattore fisiologico, si è interrotto il processo di crescita e diffusione del benessere. Per consentire alle famiglie della classe media americana di continuare ad acquistare le merci e i servizi di un’economia superproduttiva, è stato favorito in ogni modo il ricorso all’indebitamento. Quando l’ammontare complessivo di questo debito è divenuto troppo gravoso, esso è stato distribuito nei circuiti finanziari internazionali, inquinandoli. Nel frattempo la capacità di consumo è diminuita tanto da rendere ancora più evidente che la crisi era già segnata da un eccesso di offerta di prodotti. Senza i modelli teorici elaborati da tre premi nobel forse non ci si sarebbe spinti così in là. Ma quei modelli non prevedevano il cigno nero: ossia che spingere verso una distribuzione ampia di titoli tossici non avrebbe ridotto il rischio, ma lo avrebbe globalizzato. Le realtà bancarie e finanziarie non hanno continuato ad alimentare il flusso finanziario prestandosi denaro, ma hanno iniziato a diffidare e, si sa, la fiducia regge tutto il sistema finanziario.
Questa crisi ha consumato una parte fondamentale del capitale sociale: la fiducia e il mercato non sa riprodurla. La ricerca senza limiti dei guadagni e a breve ha fatto sì che valori come lealtà, integrità, fiducia tramontassero. Altro fattore da non trascurare è il mutamento radicale nel rapporto tra finanza e produzione di beni e servizi che si è venuto consolidando nel corso dell’ultimo trentennio. Nella maggior parte dei paesi occidentali i governi e gli enti locali hanno condizionato le loro promesse in materia previdenziale, e non solo, ad investimenti che dipendevano dal profitto dei nuovi strumenti finanziari. Allo stesso tempo, la creazione di questi nuovi strumenti ha via via esposto l’economia reale ai capricci della finanza. Lo stravolgimento del modo di concepire l’attività speculativa a scapito del reddito da lavoro (finanziarizzazione) è penetrata dentro la società e si è cominciato a privilegiare il consumatore sul lavoratore. Secondo Adam Smith un ordine sociale autenticamente liberale aveva bisogno di due mani per durare nel tempo: invisibile l’una e visibile l’altra – quest’ultima dello Stato, che deve intervenire in chiave sussidiaria, tutte le volte in cui l’operare della mano invisibile rischia di condurre verso la manipolazione dell’economia.
Un’economia davvero liberale vive del rapporto tra democrazia e mercato. Il liberismo, invece, ha privilegiato la sola efficienza. Questa crisi è però anche una grande opportunità per gli alternativi alla globalizzazione delle ingiustizie (altermondialisti). Essi sperano che il Benessere senza il Bene non sarà più il ricatto con cui il capitalismo globale si assicura la fedeltà dei suoi sudditi. L’economia e l’individualismo non dovrebbero essere più un dogma che vede ciascuno curarsi solo del proprio interesse. La guarigione dall’individuali- smo accade quando non si ha paura di guardare e sentire le cose dal punto di vista di chi viene emarginato, scartato, giudicato. La prospettiva di un’altra economia non emargina la categoria del benessere, ma la trasforma assumendola nell’impegno all’armonizzazione e considerandola il compito di un sistema di tutela sociale, territorio per territorio, cui concorrono lavoratori, cooperative, aziende, sindacalisti, associazioni, forze politiche, scuole. Purché vedano il compito comune che li lega. Parole come giustizia, bene comune e sobrietà dovranno assumere un’importanza globale e locale, a breve ed a lungo termine. Allora consumare non sarà più una virtù.☺
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