Contro l’oppressore
Nel precedente numero della nostra rivista (la fonte di marzo 2025), il toccante articolo di Roberto De Lena sulla fuga di giovani che negli ultimi dieci anni ha contribuito a spopolare il piccolo Molise si conclude con le parole, ironicamente rivolte ai signori dei piani alti, “dove fanno il deserto, lo chiamano pace”. Una citazione che, in modo del tutto inatteso quanto efficace, va ad arricchire la ricca serie di riproposizioni moderne di queste parole antiche.
Si tratta infatti delle parole che lo storico latino Tacito ha assegnato a un capo scozzese in lotta contro gli invasori Romani. L’opera da cui sono tratte è l’Agricola, che non ha niente a che fare con l’arte di coltivare il suolo. È invece la biografia del suocero Giulio Agricola, comandante di una legione militare che nel I sec. d.C. operava in Britannia e in cui Tacito fu tribuno militare. Il contesto è quello della battaglia che, intorno all’84 d.C., fu combattuta presso il monte Graupius in Scozia. È lì che lo storico immagina un certo Calgàco, a capo dei Calèdoni, la tribù più nordica e più feroce dell’intera Britannia, arringare i propri uomini, nell’imminenza dello scontro contro l’esercito di Agricola, con un discorso che è rimasto memorabile. A renderlo tale è l’incredibile capacità con cui Tacito, da grande scrittore qual era, riesce a immedesimarsi nel nemico, cogliendo perfino le ragioni dei barbari e pronunciando terribili parole di condanna dell’imperialismo dei Romani e del loro desiderio di arricchirsi a qualunque costo. Il suo acume di storico e il suo talento di narratore raggiungono il culmine in un passaggio di quel discorso che in letteratura latina si configura come una sententia, ovvero una massima: ubi solitudinem faciunt, pacem appellant, “dove fanno il deserto, lo chiamano pace” (Agricola 30, 5).
Dai banchi di scuola questa sententia, a partire dagli anni Sessanta, è passata nelle piazze, dove i movimenti pacifisti si sono proiettati all’ indietro fino a Tacito, per attingere da lui uno dei più incisivi slogan del dissenso. Era il momento delle proteste contro la guerra del Vietnam. Ma a questa massima tacitiana si è tornati in occasione del conflitto in difesa del Kuwait contro l’Iraq (Prima guerra del Golfo, fra il 1990 e il 1991), dell’aggressione da parte dei Serbi nei Balcani (1992-1995), dell’invasione degli Stati Uniti in Iraq (Seconda guerra del Golfo, fra il 2003 e il 2011) e, più in generale, in relazione ai vari scenari di politica estera imperialista degli USA, in particolare quelli mediorientali.
Come si può facilmente intuire, le parole di Calgàco sono recentemente tornate a esprimere tutta l’indignazione per i missili di Putin, che continuano a fare macerie dove prima erano le città. E, ancora più recentemente, per la vendetta di Israele contro l’attacco terrorista di Hamas, che a oggi ha già causato la morte di circa cinquantamila palestinesi. L’ultima citazione di cui io abbia notizia è quella dell’attrice e regista Jasmine Trinca, che lo scorso 26 febbraio, durante una puntata della trasmissione Otto e mezzo, ha parafrasato Tacito commentando lo sconcertante video su Gaza pubblicato da Donald Trump: “Fa una riviera e la chiama pace”.
I Romani vinsero la battaglia del monte Graupius, ma rinunciarono poi a occupare la Caledonia. Non sappiamo se invece Calgàco fu ucciso in quello scontro, perché subito dopo scompare dalla scena della storia. Le sue parole sono però destinate a far sentire la loro eco per sempre, alla deflagrazione di ogni nuovo conflitto, portatrici di una denuncia dell’oppressore e di una richiesta di pace senza tempo.
