corsi e ricorsi
24 Febbraio 2010 Share

corsi e ricorsi

L’idea che un solo uomo possa progettare grandi cambiamenti ha improntato le grandi narrazioni dell’Occidente, ha marchiato ideologie attraverso l’esaltazione di figure di condottieri, sovrani, dittatori, duci, come Carlo Magno, Luigi XIV, Napoleone, Robespierre, e poi Stalin, Hitler.

Ci siamo illusi, dopo il 1989, che questa idea alquanto sospetta potesse essere ormai definitivamente tramontata. Invece ci troviamo tuttora a dover fare i conti con la credenza, purtroppo tanto comune quanto priva di ogni legittimazione, che un uomo solo possa ritrovarsi a guidare il “gregge” di coloro che “ancora non sanno”. Infatti nella vita politica e sociale molti continuano a identificare il “Capo” come il depositario di un “sapere” che lo oltrepassa e lo trascende e del quale egli sarebbe il semplice testimone o trasmettitore. Coloro che si riconoscono in questa figura di leader e che pertanto affidano a lui ogni scelta, vedono confermata la propria identità in un cerchio autoreferenziale che non consente loro alcuna trasgressione di patti, che non considera le differenze e non realizza alcun dialogo.

Invece, ci ricorda Norberto Bobbio, libertà ed uguaglianza sono i valori che stanno a fondamento della democrazia. La  democrazia è una società regolata in modo che gli individui che la compongono sono più liberi ed eguali che in qualsiasi altra forma di convivenza.

Le leggi greche dell’antichità esordivano tutte con la clausola “E’ sembrato bene al consiglio e al popolo”. “E’ sembrato bene” e non “E’ bene”. Ad Atene i governanti venivano estratti a sorte tra i cittadini perché la politica non era materia solo degli specialisti. Nel Settecento Montesquieu scardinò l’assolutismo monarchico con la teoria della separazione dei poteri. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo nella Francia della rivoluzione raccolse il suo messaggio e perciò esordiva con il preambolo: “La sovranità appartiene al popolo che la esercita sia direttamente, sia per mezzo dei suoi rappresentanti”.

Per qualsiasi società ha costituito sempre una sfida intraprendere un cammino che riconoscesse l’autonomia del singolo. Come afferma ancora Bobbio, in una democrazia che voglia dirsi tale, autonomia è partecipare al potere politico. “Autos-nomos” significa infatti “che si dà la sua propria legge”; di conseguenza porre domande e non accettare supinamente nessuna autorità.

E oggi? Dilaga la tendenza alla deresponsabilizzazione. Inermi assistiamo a derive populistiche, ad immotivati deliri di onnipotenza senza interrogarci sul perché la partecipazione alla gestione della cosa pubblica sia di fatto espressamente ostacolata, sul perché si tenti di negare la vitalità e l’irrinunciabilità della legge costituzionale, l’unica che ha fornito sinora risposte sicure ad evitare un nuovo naufragio nel mare del totalitarismo.

Conviene forse ricordare, con Giambattista Vico, che la storia passata può riproporsi, prospettandosi come una serie di “corsi” e “ricorsi”: come l’uomo si evolve dall’infanzia alla maturità per poi decadere e perire, così le nazioni, nella concezione vichiana, si evolvono dalla iniziale barbarie verso una condizione di pura razionalità, per poi corrompersi e decadere, tornando in un nuovo stato di barbarie, da cui poi via via riprendono il corso evolutivo.

Non essendo immuni da ricadute, viene da chiedersi se per caso siamo giunti ad un nuovo stato di barbarie. ☺

annama.mastropietro@tiscali.it

 

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