
Cultura dello stupro
L’omicidio di Giulia Cecchettin ha evidenziato la visione stereotipata che molti avevano rispetto alle dinamiche della violenza di genere, per la quale il rapporto vittima/carnefice veniva tradizionalmente archiviato come rapporto tra forte e debole. Tante, troppe volte, ho ascoltato frasi che colpevolizzano (ul- teriormente) le donne vittime di violenza che non sono in grado di ribellarsi perché troppo deboli, quando al primo schiaffo dovrebbero scappare e non tornare più indietro.
L’omicidio della Cecchettin ha confuso gli orizzonti: Giulia era una ragazza piena di vita, di un’intelligenza superiore alla norma, determinata, dotata di talento, ricca di relazioni personali. Di Filippo, l’omicida, si è saputo meno, se non che fosse un ragazzo amante della pallavolo e delle cotolette, abituato ad addormentarsi abbracciato ad un orsacchiotto. Giulia riferiva alle amiche quanto lui fosse ossessivo nel controllo e che spesso minacciasse il suicidio alla prospettiva di allontanarsi da lei. Filippo ci è apparso un debole, mammone, lontanissimo dall’idea di virilità stereotipata dell’uomo che vuole possedere a tutti costi una donna. Non a caso, nelle città principali, gli attivisti di estrema destra di Casa Pound si sono affrettati, con abilità ipocrita e strumentale, a dare la colpa dell’ omicidio alle politiche femministe con il loro striscione “Ma quale patriarcato? Questo è il vostro uomo rieducato”. E certo, un “vero uomo” non si sarebbe mai fissato su una sola donna, piangendo e minacciando il suicidio; finita una storia, con un colpo di spugna si sarebbe gettato su un’altra preda a manifestare la propria virilità. Mai cretinata fu così grande.
Quale misero destino per le donne, colpevolizzate se deboli e criminalizzate nelle legittime rivendicazioni di uguaglianza sostanziale!
La risposta del governo Meloni, il governo del Presidente donna, rispecchia tutta questa ipocrisia: il ddl Roccella, ennesimo provvedimento approvato sulla scia dell’emozione, i- nasprisce le pene (per la violazione delle misure cautelari e di prevenzione), aumenta i poteri della polizia (ampliate le ipotesi di intervento d’ ufficio del questore, uno strumento che potenzialmente potrebbe mettere maggiormente a rischio le donne), aumenta il ricorso al braccialetto elettronico e potenzia la formazione degli operatori (ma senza investire una lira, eh? Come faranno non so).
La ri-educazione nelle scuole è stata affidata dal Ministro Valditara allo psicologo Amadori, colui che probabilmente ha ispirato la filosofia spicciola di Casa Pound, scrivendo “Erava- mo partiti dalla cattiveria maschile, indagando in particolare il femminicidio, e strada facendo ci siamo accorti che questo crimine, nella sua inaccettabile brutalità, è in qualche modo il contraltare di una sostanziale fragilità psichica maschile”, sottolineando poi che “una piccola, ma appariscente popolazione di donne approfitta di questa tendenza maschile alla sottomissione e ne fa una vera e propria fonte di business”.
Quindi, la ri-educazione meloniana, quella da fare nelle scuole, in un certo senso consisterebbe nel rafforzare gli stereotipi di genere per rinforzare l’uomo fragile potenzialmente assassino. Non ci si sforza neanche di provare a rintracciare una matrice comune in tutte le violenze che quotidianamente subiscono ed hanno subìto le donne, poste in essere da uomini, a prescindere se deboli, forti, mammoni, veri machi, disoccupati, imprenditori, italiani, stranieri, ricchi, poveri; che chiamano ‘satanista’ Elena Cecchettin, la quale ha definito con grande lucidità l’omicida “un figlio sano dalla società patriarcale, che è pregna della cultura dello stupro”. Ora la parola ‘patriarcato’ è diventata una parolaccia, quasi non esprimesse il contesto culturale in cui siamo immersi fin dalla tenera età. Del resto, non è comunque espressione della cultura dello stupro minimizzare la gravità di quanto accaduto, dandone una lettura riduttiva e falsa?☺