Matteo messina malato
15 Febbraio 2023
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Matteo messina malato

Ricordo un’estate di 20 anni fa, quando, giovane ragazza appena laureata, mi recai in Sicilia con un gruppo di amici per una vacanza insolita: un giro delle prime cooperative nate dopo la legge 109/96 per gestire beni confiscati alla mafia.

Studiavamo il diritto ed a quei tempi per noi la legge era soprattutto amore per la giustizia, non era il cavillo, la parcella dell’avvocato, la superbia del giudice.

Falcone e Borsellino erano morti da poco più di 10 anni, il ricordo delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio si percepiva ancora vivo e pulsante nella gente.

Scesi dall’aereo, sull’autostrada per Palermo ci accolse la stele per ricordare i martiri del 23 maggio 1992. Era imponente, ma mi sembrò fredda. Era facile per noi “continen- tali” proclamarci contro la mafia, eravamo cresciuti con l’idea che la criminalità organizzata fosse quella delle sparatorie, degli agguati, delle bombe. Era tutto bianco o nero. I film di Leone, di Coppola e di Scorsese ci avevano insegnato la cattiveria e l’insensatezza dei criminali, al netto dello sguardo romantico che si posava sul Padrino, su Max e Noodles e su quei bravi ragazzi. I nostri genitori la domenica sera guardavano “La Piovra”. Quei ragazzi della Sicilia, quelli delle cooperative, erano riusciti ad alzare la testa nonostante tutto, nonostante il fatto che quella realtà di sangue fosse nelle loro strade e nelle loro comunità; opporsi richiedeva un coraggio che aveva poco a che fare con il nostro idealismo.

Erano ragazzi come noi, si ubriacavano con noi, ma ci sembravano immensi nelle loro certezze. Furono giorni bellissimi, pieni di parole, di musica, di commozione. Ricordo ancora le lacrime che non sono riuscita a trattenere a Portella della Ginestra, la prima delle stragi, forse per quel sollievo egoista di essere nata nella parte sicura del mondo, quella in cui non dovevamo combattere con mostri così spaventosi.

Oggi, quando ascolto dai telegiornali i particolari sulla cattura di Matteo Messina Denaro e quell’accanimento su particolari inutili e folkloristici come i vestiti firmati, i Rayban, il magnete con la faccia del Padrino, mi rendo conto più che mai di come siano cambiati i tempi. Sembra non ci sia più tempo per rappresentare la storia del nostro passato recente e la si accantona come un fastidio da evitare.

Lo noto nello sguardo un po’ confuso di mia figlia che non capisce perché i “grandi” facciano tanto chiasso per l’arresto di un sessantenne in coda in una clinica di Palermo. Del resto, lei non può avere la stessa idea della mafia che avevamo noi, quando i telegiornali trasmettevano racconti di morte e di eroi caduti. Quello che una volta era bianco o nero, ora ha assunto irrimediabilmente i colori del grigio: troppo spesso si mimetizza nelle nostre comunità e nelle nostre istituzioni ed ha smesso anche di fare la stessa paura.

Mi domando: i ragazzi di oggi avranno l’ansia di verità di sapere che fine ha fatto l’agenda rossa del Giudice Borsellino? Saremo bravi noi a raccontare cosa hanno rappresentato quegli anni terribili, perché non siano solo commemorazioni in un calendario?  E soprattutto, saremo bravi ad insegnare il valore della legalità e la necessità di continuare a ricercare e combattere le ingiustizie?☺

 

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