da nemico a ospite   di Antonella Fantetti
28 Dicembre 2012 Share

da nemico a ospite di Antonella Fantetti

 

A partire dal secondo dopoguerra l’emergere del fenomeno migratorio, unito certamente ad altri fattori che vanno genericamente sotto l’etichetta di “globalizzazione”, è stato una concausa del deperimento del concetto di Stato-nazione e di un indebolimento del nesso Stato-appartenenza-diritti di cittadinanza. La sovranità statale è, di fatto, oggi al centro di varie forze o fenomeni centripeti, che incidono sulla sua erosione. Da un lato, vanno segnalati i fenomeni, spesso tra loro connessi, della caduta della partecipazione, del proliferare delle rivendicazioni identitarie su base etnica e culturale. Dall’altro lato emerge, in tutta la sua complessità, il fenomeno della globalizzazione. L’immigrazione è un fenomeno che meglio di altri mette in evidenza l’intersecazione tra globale e locale, nonché il mutamento nei rapporti di forza tra i diversi livelli di governo. Nella tesi che ho discusso lo scorso 13 novembre a Macerata per il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze politiche, dal titolo “Trasformazioni dei diritti di cittadinanza nella società dell’ immigrazione. Tra integrazione e localismo dei diritti” ho trattato della nuova natura che i confini assumono nel nostro tempo, con particolare riferimento ai movimenti migratori e al rapporto che essi intrattengono con le trasformazioni della cittadinanza.

Al giorno d’oggi, sebbene esistano norme internazionali dei diritti dei migranti e richiedenti asilo, l’ingresso in uno Stato rimane comunque regolato dalle legislazioni nazionali. Allo stesso tempo, l’universalizzazione dei diritti umani implicita nel fenomeno delle migrazioni globali, che impone il rispetto di tali diritti e degli obblighi internazionali nei riguardi di ogni persona indipendentemente dalla qualità di cittadino, solleva il rischio di una possibile incompatibilità con la natura e l’origine nazionale e territoriale dei diritti riconosciuti da ciascuno Stato ai propri cittadini all’interno dei suoi confini. Lo scenario internazionale è progressivamente caratterizzato da una tendenza alla sicuratization della questione migratoria: i flussi migratori devono essere governati e contenuti, anche drasticamente, soprattutto per bloccarne la componente irregolare. Inoltre, nella politica migratoria europea è stata rilevata la tendenza a liberalizzare gli spostamenti interni da un lato, abolendo i controlli alle frontiere nazionali, e a blindare i confini esterni dall’altro. Da qui è nata la metafora di “Fortezza Europa”, a indicare il potenziamento dei controlli sugli ingressi di extracomunitari. A partire dagli accordi di Schengen del 1985 e poi nel contesto del processo di allargamento dell’Unione Europea, ha preso forma, proprio intorno alla retorica del necessario contrasto dell’immigrazione clandestina, un nuovo regime di controllo dei confini, flessibile e “a geometria variabile”, il quale, più che segnare una rigida linea di demarcazione fra il dentro e il fuori, sembra puntare a governare un processo di inclusione differenziale dei migranti. Il processo di formazione della cittadinanza europea viene analizzato assumendo come punto privilegiato di osservazione i suoi confini, allo scopo di cogliere le profonde trasformazioni che stanno investendo il significato e le forme dell’inclusione. Il significato politico e sociale della cittadinanza europea è infatti caratterizzato da livelli di appartenenza differenziati a seconda dello status giuridico degli individui – appare a tal fine fondamentale la distinzione tra straniero comunitario e straniero extracomunitario – che rivendicano un’inclusione piena o parziale.

Venendo all’Italia, appare proficuo concentrarsi sul livello locale, considerato come il contesto privilegiato per osservare il godimento dei diritti. L’avvio dei processi di integrazione e di lotta alle disuguaglianze, sia sul piano delle politiche di partecipazione e rappresen- tanza, sia per la sperimentazione e lo sviluppo di concrete forme di legittimazione e cittadinanza, non può prescindere dalla ricognizione e lo studio del fenomeno migratorio su scala locale. Presso gli enti locali, infatti, le posizioni ufficiali del governo vengono ‘contaminate’ da pratiche che vanno in un’altra direzione. Alla luce della “crescente istituzionalizzazione della xenofobia” (C. Bartoli, Razzisti per legge. L’Italia che discrimina, Laterza, Roma-Bari, 2012, p. VI), si intendono individuare le modalità di intervento delle istituzioni nei confronti degli immigrati, siano essi regolari o irregolari. In particolare l’attenzione si focalizza sull’evoluzione delle politiche di welfare specifiche per gli immigrati. In un quadro generale notoriamente caratterizzato da forte frammentazione e spiccata eterogeneità tra i Comuni, si rileva che le politiche per gli immigrati del nostro paese fanno emergere quel localismo dei diritti che rimanda a una dimensione subnazionale della cittadinanza. Analizzare come gli stranieri intendono e praticano il loro essere “cittadini”, è un modo per includere il loro punto di vista nel processo di ridefinizione degli attuali sistemi democratici. Considerare lo straniero come ospite, e non come nemico, è un segno di progresso civile (Cfr. J. Daniélou, Saggio sul mistero della Storia, la Morcelliana, Brescia, 1957; p. 75): “La civiltà ha compiuto un passo decisivo il giorno in cui lo straniero da nemico è divenuto ospite”.☺

 

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