Dalla parte delle vittime
9 Ottobre 2023
laFonteTV (3191 articles)
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Dalla parte delle vittime

Put the blame on Mame [pronun- cia: put d bleim on meim] è una canzone tratta da un noto film degli anni Quaranta, Gilda, la cui protagonista è stata una delle dive di Hollywood, Rita Hayworth. Forse meno conosciuta di Amado Mio – sempre dalla medesima pellicola – l’ho richiamata qui per il titolo, come pure il contenuto, che si prestano a qualche considerazione.
La traduzione del titolo della canzone, infatti, è grosso modo “Dai la colpa a Mame”: chi è Mame, allora? Mame è una donna famigerata a cui vengono attribuite le responsabilità per i mali di tutto il mondo, dall’incendio di Chicago alla bufera di neve su Manhattan, al terremoto di San Francisco. Non si tratta di un personaggio reale, è evidente, ma la metafora inquieta non poco. Secondo Elyce Rae Helford, esperta di studi sulla Shoah e le differenze di genere, “Mame rappresenta la donna per eccellenza, demonizzata per la sua sessualità in una cultura patriarcale”.
Questa strana premessa per avviare una riflessione sull’espressione che i parlanti anglofoni usano per indicare, nella efficace sinteticità della loro lingua, l’atteggiamento, purtroppo diffuso a tutte le latitudini, di addossare la responsabilità di un evento delittuoso alla vittima: victim blaming [pronuncia: victim bleiming], appunto!
Linguisticamente l’espressione è composta dal sostantivo victim, di facile comprensione data l’assonanza – ed anche l’ etimologia – con l’italiano, e dal verbo blame [pronuncia: bleim] che come si noterà appare nel su menzionato titolo della canzone.
Blame ha significati molteplici in inglese; oltre a “dare la colpa, attribuire la responsabilità” di qualcosa o di una azione, traduce anche “rimproverare” oppure “disap- provare”: in breve, “biasimare”, un verbo che in italiano sembra appartenere ad un lessico demodé, e che comincia a scomparire dai nostri vocabolari contemporanei, sia scritto che parlato. Eppure l’inglese blame è di derivazione latina passando per il francese, e biasimare nella nostra lingua significa esattamente “formulare tacitamente o apertamente un giudizio negativo (per lo più di natura morale) su una persona o una cosa; quindi disapprovare, condannare”.
Che gli inglesi siano sintetici nel loro modo di esprimersi, e la loro lingua ne è testimonianza, non vuol dire che siano superficiali; al contrario l’essenzialità dell’ espressione rimanda ad un insieme complesso di situazioni, valori, valutazioni da prendere in debita considerazione, e che nel sistema culturale anglosassone si coglie ed è condiviso anche linguisticamente.
Mi pare di notare, al contrario, che l’italiano non consente la concisione terminologica, e non saprei se ritenerlo un fattore positivo: certo “colpevolizzazione della vittima” potrebbe essere la resa italiana più agevole, ma non credo che i casi in questione, gli episodi intorno ai quali questo atteggiamento viene generato, possano ridursi a definizioni così esigue; la brevità, spesso, è indice di scarsa attenzione, mancanza di tempo, rinuncia ad un’analisi seria di un fenomeno o di una situazione. La sinteticità tipica dell’ inglese non è riscontrabile nella nostra lingua, pena l’approssimazione e la sommarietà dei giudizi.
Ma proviamo ad andare oltre le questioni squisitamente linguistiche. Di fronte a casi di victim blaming – e la cronaca, specie la scorsa estate, ce ne fornisce – quale è la nostra reazione, quale atteggiamento assumiamo, quali valutazioni offriamo dell’ evento ‘delittuoso’ e della conseguente colpevolizzazione della vittima? Ci uniamo anche noi al coro, a mio parere riprovevole, di quanti affermano (con naturalezza (?)) che certe cose capitano a chi se le va a cercare; che se non si pone freno alla sfacciataggine o all’audacia di certi comportamenti, poi appare inutile piangere…?
L’indignazione legittima di fronte ad eventi che sempre con maggiore frequenza si verificano nella nostra società, e che riguardano quasi sempre le donne, adulte o adolescenti (quando non bambine!), non dovrebbe farci mai dimenticare che esprimere giudizi, condannare, biasimare colei (o colui) che ne è stata/o vittima, senza tenere conto del contesto, della situazione, delle condizioni personali è un vano victim blaming che si inscrive nella generalizzazione, nel conformismo, nel moralismo più retrivo. Se, per nostra fortuna, restiamo soltanto spettatori di episodi di violenza, e ciò suscita la nostra riprovazione e la nostra condanna, sarebbe opportuno almeno astenersi da qualsiasi tipo di valutazione, soprattutto nei confronti di chi tale violenza ha subìto. “È più facile biasimare che far meglio” recita il detto popolare: non ne siamo immuni!
Secondo Nicole Gravagna, esperta di neuroscienze e comportamenti, “l’opposto di essere vittima è il riconoscimento che le cose cattive accadono a tutti. Inoltre è l’accettazione che persino quando le cose cattive accadono, tutti noi abbiamo ancora le stesse responsabilità di prima che accadessero. Dobbiamo ancora assicurarci di essercene occupati/e. Dobbiamo ancora fare quello che abbiamo detto che avremmo fatto. Dobbiamo ancora accettare che abbiamo nelle mani la possibilità di rendere il nostro futuro migliore”.☺

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