“Il peggior peccato contro i nostri simili non è l’odio, ma l’indifferenza: questa è l’essenza della disumanità” (George Bernard Shaw).
A causa di una caduta – a volte capita – ho riportato una frattura alla gamba. Premesso che sono persona dinamica, attiva, a volte, mi rendo conto, anche troppo, ho deciso, sin da subito, dopo aver superato il trauma ed evitato l’intervento chirurgico, di rapportarmi alla mia nuova e momentanea condizione di disabilità in maniera naturale, supportata da una sedia a rotelle e stampelle. Si è aperta una finestra su di un mondo che pensavo di conoscere abbastanza bene. Invece le mie erano solo conoscenze teoriche e neanche tanto approfondite. Per poter parlare a pieno titolo, invece, occorre sempre sperimentare in prima persona. Ho cominciato a guardare le cose ordinarie, da una sedia a rotelle, in modo nuovo: un’esperienza. In un mondo organizzato a misura di persone “normodotate”, la disabilità si declina, anche, con l’emarginazione, l’indifferenza, gli ostacoli insormontabili. Non conosciamo abbastanza le difficoltà quotidiane che si devono affrontare. Pensiamo, per esempio, alle difficoltà di accesso agli uffici pubblici, in presenza di barriere architettoniche, nonostante i tanti provvedimenti legislativi e regolamentari allo scopo assunti, ormai datati e nonostante le numerose ed inutilizzate risorse economiche rese disponibili dalla Unione Europea.
Le più radicate e difficili barriere da eliminare, purtroppo, sono, comunque, quelle culturali ancora esistenti nella società in merito alla disabilità, che rende invisibili “a noi normali” le persone “diverse”. E già perché invisibile mi sono sentita quando al supermercato, qualcuno più furbo ha cercato, per guadagnare qualche minuto, correndo e spintonando, di raggiungere, con il carrello della spesa, una cassa, rischiando di travolgermi. Ancora invisibile e diversa mi hanno fatto sentire, quando in fila dal medico, seduta per il corridoio, qualcuno mi ha apostrofata… “c’è un’invalida che deve entrare prima di noi”, o peggio ancora, quando incroci gli occhi sfuggenti degli amici che fanno finta di non vederti per paura di conoscere ben più tristi realtà: “Avrà avuto un ictus, una paresi, stava così bene poverina!” – E già la paura che ci assale di fronte ad un “diverso” e ci fa dimenticare la solidarietà, la vicinanza, la condivisione, tutte paroline prive di senso, quando dalla predica occorre passare alla pratica.
Ora mi viene spontaneo porre a confronto le disabilità, quelle fisiche, psichiche e quelle culturali – per esempio, l’ ignoranza, l’indifferenza, l’egoismo, la supponenza -: quali le peggiori? Certamente quest’ultime. Siamo ancora lontani da una società includente, solidale, responsabile che consenta a tutti, così come recita la nostra Carta costituente, di raggiungere una uguaglianza sostanziale e di godere degli stessi diritti. Certo, per comprendere le difficoltà, non auguro ad alcuno di sperimentare l’esperienza, basterebbe una serena riflessione. Sufficiente sarebbe, anche, fermarsi per cedere il passo, essere più umani. E già perché, anche se su di una sedia a rotelle, si è sempre, e per fortuna, persone, ma molti, con l’indifferenza, preferiscono ignorarlo. ☺
“Il peggior peccato contro i nostri simili non è l’odio, ma l’indifferenza: questa è l’essenza della disumanità” (George Bernard Shaw).
A causa di una caduta – a volte capita – ho riportato una frattura alla gamba. Premesso che sono persona dinamica, attiva, a volte, mi rendo conto, anche troppo, ho deciso, sin da subito, dopo aver superato il trauma ed evitato l’intervento chirurgico, di rapportarmi alla mia nuova e momentanea condizione di disabilità in maniera naturale, supportata da una sedia a rotelle e stampelle. Si è aperta una finestra su di un mondo che pensavo di conoscere abbastanza bene. Invece le mie erano solo conoscenze teoriche e neanche tanto approfondite. Per poter parlare a pieno titolo, invece, occorre sempre sperimentare in prima persona. Ho cominciato a guardare le cose ordinarie, da una sedia a rotelle, in modo nuovo: un’esperienza. In un mondo organizzato a misura di persone “normodotate”, la disabilità si declina, anche, con l’emarginazione, l’indifferenza, gli ostacoli insormontabili. Non conosciamo abbastanza le difficoltà quotidiane che si devono affrontare. Pensiamo, per esempio, alle difficoltà di accesso agli uffici pubblici, in presenza di barriere architettoniche, nonostante i tanti provvedimenti legislativi e regolamentari allo scopo assunti, ormai datati e nonostante le numerose ed inutilizzate risorse economiche rese disponibili dalla Unione Europea.
Le più radicate e difficili barriere da eliminare, purtroppo, sono, comunque, quelle culturali ancora esistenti nella società in merito alla disabilità, che rende invisibili “a noi normali” le persone “diverse”. E già perché invisibile mi sono sentita quando al supermercato, qualcuno più furbo ha cercato, per guadagnare qualche minuto, correndo e spintonando, di raggiungere, con il carrello della spesa, una cassa, rischiando di travolgermi. Ancora invisibile e diversa mi hanno fatto sentire, quando in fila dal medico, seduta per il corridoio, qualcuno mi ha apostrofata… “c’è un’invalida che deve entrare prima di noi”, o peggio ancora, quando incroci gli occhi sfuggenti degli amici che fanno finta di non vederti per paura di conoscere ben più tristi realtà: “Avrà avuto un ictus, una paresi, stava così bene poverina!” – E già la paura che ci assale di fronte ad un “diverso” e ci fa dimenticare la solidarietà, la vicinanza, la condivisione, tutte paroline prive di senso, quando dalla predica occorre passare alla pratica.
Ora mi viene spontaneo porre a confronto le disabilità, quelle fisiche, psichiche e quelle culturali – per esempio, l’ ignoranza, l’indifferenza, l’egoismo, la supponenza -: quali le peggiori? Certamente quest’ultime. Siamo ancora lontani da una società includente, solidale, responsabile che consenta a tutti, così come recita la nostra Carta costituente, di raggiungere una uguaglianza sostanziale e di godere degli stessi diritti. Certo, per comprendere le difficoltà, non auguro ad alcuno di sperimentare l’esperienza, basterebbe una serena riflessione. Sufficiente sarebbe, anche, fermarsi per cedere il passo, essere più umani. E già perché, anche se su di una sedia a rotelle, si è sempre, e per fortuna, persone, ma molti, con l’indifferenza, preferiscono ignorarlo. ☺
“Il peggior peccato contro i nostri simili non è l’odio, ma l’indifferenza: questa è l’essenza della disumanità” (George Bernard Shaw).
“Il peggior peccato contro i nostri simili non è l’odio, ma l’indifferenza: questa è l’essenza della disumanità” (George Bernard Shaw).
A causa di una caduta – a volte capita – ho riportato una frattura alla gamba. Premesso che sono persona dinamica, attiva, a volte, mi rendo conto, anche troppo, ho deciso, sin da subito, dopo aver superato il trauma ed evitato l’intervento chirurgico, di rapportarmi alla mia nuova e momentanea condizione di disabilità in maniera naturale, supportata da una sedia a rotelle e stampelle. Si è aperta una finestra su di un mondo che pensavo di conoscere abbastanza bene. Invece le mie erano solo conoscenze teoriche e neanche tanto approfondite. Per poter parlare a pieno titolo, invece, occorre sempre sperimentare in prima persona. Ho cominciato a guardare le cose ordinarie, da una sedia a rotelle, in modo nuovo: un’esperienza. In un mondo organizzato a misura di persone “normodotate”, la disabilità si declina, anche, con l’emarginazione, l’indifferenza, gli ostacoli insormontabili. Non conosciamo abbastanza le difficoltà quotidiane che si devono affrontare. Pensiamo, per esempio, alle difficoltà di accesso agli uffici pubblici, in presenza di barriere architettoniche, nonostante i tanti provvedimenti legislativi e regolamentari allo scopo assunti, ormai datati e nonostante le numerose ed inutilizzate risorse economiche rese disponibili dalla Unione Europea.
Le più radicate e difficili barriere da eliminare, purtroppo, sono, comunque, quelle culturali ancora esistenti nella società in merito alla disabilità, che rende invisibili “a noi normali” le persone “diverse”. E già perché invisibile mi sono sentita quando al supermercato, qualcuno più furbo ha cercato, per guadagnare qualche minuto, correndo e spintonando, di raggiungere, con il carrello della spesa, una cassa, rischiando di travolgermi. Ancora invisibile e diversa mi hanno fatto sentire, quando in fila dal medico, seduta per il corridoio, qualcuno mi ha apostrofata… “c’è un’invalida che deve entrare prima di noi”, o peggio ancora, quando incroci gli occhi sfuggenti degli amici che fanno finta di non vederti per paura di conoscere ben più tristi realtà: “Avrà avuto un ictus, una paresi, stava così bene poverina!” – E già la paura che ci assale di fronte ad un “diverso” e ci fa dimenticare la solidarietà, la vicinanza, la condivisione, tutte paroline prive di senso, quando dalla predica occorre passare alla pratica.
Ora mi viene spontaneo porre a confronto le disabilità, quelle fisiche, psichiche e quelle culturali – per esempio, l’ ignoranza, l’indifferenza, l’egoismo, la supponenza -: quali le peggiori? Certamente quest’ultime. Siamo ancora lontani da una società includente, solidale, responsabile che consenta a tutti, così come recita la nostra Carta costituente, di raggiungere una uguaglianza sostanziale e di godere degli stessi diritti. Certo, per comprendere le difficoltà, non auguro ad alcuno di sperimentare l’esperienza, basterebbe una serena riflessione. Sufficiente sarebbe, anche, fermarsi per cedere il passo, essere più umani. E già perché, anche se su di una sedia a rotelle, si è sempre, e per fortuna, persone, ma molti, con l’indifferenza, preferiscono ignorarlo. ☺
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