discriminazione
17 Aprile 2010 Share

discriminazione

 

Sul tema della lotta alla discriminazione nel mondo del lavoro bisogna, indubbiamente, registrare dei progressi negli ultimi anni. Ciò nonostante, cresce la preoccupazione per l’aumento della disuguaglianza in ordine al reddito e alle opportunità di lavoro a causa del persistere del fenomeno nel mercato del lavoro.

E’ quanto emerge da un nuovo rapporto dell’Ufficio Internazionale del Lavoro redatto nel corso di quest’anno. Il rapporto fornisce informazioni – su scala mondiale – sulla discriminazione sul lavoro, menzionando sia i progressi, sia i fallimenti nella battaglia contro le forme più tradizionali, come quelle fondate sul sesso, la razza o la religione, tratteggiando altresì le nuove forme di discriminazione fondate sull’età, l’orientamento sessuale, la sieropositività o lo stato di salute.

Uno dei temi principali del rapporto è la persistenza del divario tra uomini e donne in materia di occupazione e retribuzione e la necessità di adottare politiche integrate in relazione alle disuguaglianze salariali e alla segregazione di genere.

Dal documento si evince che nei Paesi dell’Unione Europea si registra una differenza tra donne e uomini molto elevata, pari al 15% nella media dei redditi orari lordi a tutti i livelli di mercato e in tutti i settori.

Il tasso di partecipazione delle donne alla forza lavoro continua a crescere significativamente ed attualmente si attesta al 56,56%. Tuttavia i progressi sono stati disomogenei, con l’Unione Europea al 62%, l’America del nord al 71,1%, l’Asia dell’Est e il Pacifico al 61,2%, il Medio Oriente e il Nord Africa al 32%.

Il numero di donne che ricoprono posti di lavoro di qualità e di responsabilità costituisce un indicatore chiave del miglioramento della condizione femminile. Tuttavia, quasi ovunque, le donne in posizione di responsabilità sono una sparuta minoranza, solo il 28,3%. Anche in questo caso i dati sono disomogenei, con il 41,2% nell’America del Nord, il 35% nell’America latina e nei Caraibi, e il 30,6% nell’Unione Europea. Una crescita rapida è stata invece registrata nell’Asia del sud, dove questo indicatore è salito nell’ultimo periodo.

Ad ogni modo, nel registrare i passi avanti, il rapporto fa notare che la discriminazione, sia al momento dell’assunzione, sia sul posto di lavoro, è oggi quasi universalmente condannata e pressoché tutti i Paesi si sono impegnati a porvi rimedio.

Esso inoltre fornisce molti esempi di discriminazione per motivi di razza, religione, origine sociale, casta, appartenenza ad una popolazione indigena o ancora nei confronti dei lavoratori migranti. Avverte sulle conseguenze della discriminazione nei confronti di lavoratori giovani o anziani e sulle disuguaglianze per ragioni di orientamento politico o sindacale, sieropositività o disabilità.

La probabilità che una persona disabile trovi un lavoro è inversamente proporzionale al livello di disabilità. In Europa una persona tra i 16 e i 64 anni ha il 65% delle probabilità di trovare un lavoro. Questa percentuale scende al 47% per una persona lievemente invalida e al 25% per una persona gravemente disabile.

Ancora si legge che alcuni datori di lavoro usano i c.d. test genetici, volti a discriminare i lavoratori che mostrano una predisposizione a sviluppare in futuro una determinata malattia. In merito sono già state avviate alcune azioni legali finalizzate alla condanna della discriminazione genetica sul lavoro.

In via conclusiva va detto che in Europa dal 2007 nove Paesi membri su dieci hanno ratificato le due Convenzioni fondamentali sulla discriminazione – quella sull’uguaglianza di remunerazione e quella relativa all’impiego professionale – impegnandosi ad adottare una legislazione atta ad arginare e prevenire il fenomeno. Ciò ci fa ben sperare. ☺

marx73@virgilio.it

 

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