Disposizione dei libri biblici
Nelle riflessioni precedenti ho focalizzato l’attenzione sulla forma della bibbia ebraica nella sua triplice divisione e ho accennato alle aggiunte deuterocanoniche nelle bibbie cattoliche e ortodosse. Se noi apriamo, però, una bibbia cattolica o protestante (quella ortodossa è più simile, nella struttura, alla bibbia dei Settanta) vediamo che, nell’Antico Testamento, si segue un ordine di carattere storico-cronologico, per dare l’idea di un racconto che parte dalla creazione per arrivare alla venuta di Gesù come Messia profetizzato e atteso. Sebbene nelle bibbie stampate sia passata la classificazione per generi letterari (libri storici, sapienziali e profetici) in realtà il disegno che sottostà al canone è piuttosto quello di presentare le narrazioni e le parole dei personaggi biblici: quei “gesti e parole” di cui parla il Concilio a proposito dei vangeli. In modo sintetico, troviamo prima i libri che parlano delle vicende del popolo (da Genesi a 2 Cronache) e poi le narrazioni che riguardano alcuni personaggi: Esdra, Neemia, Tobia e Giuditta (per i cattolici), Ester e Giobbe (un non ebreo che venera il Dio d’Israele). In questo modo abbiamo due personaggi istituzionali, in quanto guide del popolo e 4 “cittadini privati” (anche se Ester diventa regina ma non degli ebrei) che si relazionano con Dio e con la sua Legge. Seguono poi le parole conservate per iscritto: i Salmi di Davide, i libri di Salomone (compreso il Siracide che è una sorta di rilettura della sapienza salomonica) e i libri dei profeti. Alla fine, ci sono i Maccabei (secon- do la Vulgata latina) che fanno da ponte storico narrativo tra l’Antico e il Nuovo Testamento.
Quest’ordine non è di antica tradizione, in quanto, in ambito cristiano, ci sono tante combinazioni diverse dei libri, compresa la struttura ereditata dall’ebraismo (come, ad esempio, in alcune bibbie di epoca carolingia). La struttura diventata standard con l’invenzione della stampa è stata creata nel XII o XIII secolo, seguendo l’idea, ere- ditata dai Padri e dagli storici cristiani, che l’Antico è la premessa storica e la promessa profetica del Nuovo Testamento. L’idea, tuttavia, del patrimonio letterario ebraico come grande narrazione storica, non è stata inventata dai cristiani, ma già nell’ ambito ebraico, soprattutto grazie alla grande opera letteraria di Giuseppe Flavio che, nelle sue Antichità Giudaiche, narra le vicende del popolo d’Israele a partire dal racconto della creazione fin quasi all’inizio della rivolta giudaica contro Roma che culminerà con la distruzione del Tempio nel 70 d. C., rivolta a cui aveva già dedicato un’altra opera, la Guerra giudaica. Per Giuseppe, a differenza degli storici cristiani proiettati al futuro della venuta di Cristo, lo scopo di questo grande racconto è di dimostrare l’antichità del popolo ebraico e soprattutto della sua religione e sapienza a cui si sarebbero addirittura ispirati i filosofi greci. Anche i cristiani, a cui si deve la conservazione dell’intera opera di Giuseppe Flavio, adottarono questo punto di vista per dimostrare la legittimità del cristianesimo, accusato dai romani di essere una superstizione recente, non degna di stare sullo stesso piano delle religioni tradizionali.
Il mondo ebraico, dopo la distruzione del Tempio, non ha conservato questa prospettiva, ma ha piuttosto coltivato l’ idea che la bibbia non riguarda la cronaca, ma il rapporto diretto del popolo con Dio, in ogni generazione: l’ evento del Sinai si avvera ogni volta che viene proclamata e studiata la Torah. La prospettiva storicizzante della bibbia, iniziata da Giuseppe Flavio e adottata dai cristiani, è stata recuperata, nel mondo ebraico, solo a partire dal XIX secolo, quando l’ebraismo europeo, di fronte alla nascita dei nazionalismi, soprattutto quello tedesco, ha iniziato a sviluppare al proprio interno l’idea della nazione ebraica, esistente da sempre, proprio come racconta la bibbia. Passare dall’idea di nazione all’idea di territorio in cui si concretizza la nazione, è stato solo una questione di tempo, anche sotto la spinta della persecuzione nazista. Il ritorno alla terra dei padri, che per secoli o millenni era considerato nel mondo ebraico una metafora del cammino verso Dio (come il regno di Dio per i cristiani) è diventato a poco a poco un progetto reale, da concretizzare anche al costo di cacciare gli altri occupanti quel territorio, i palestinesi, considerati alla stregua degli antichi popoli cacciati sotto il comando di Giosuè (il nome Palestina, giusto per inciso, è la latinizzazione del nome Filistea!). All’ interno del mondo intellettuale ebraico europeo, spesso non religioso e non credente, si è sviluppato quello che diventerà il sionismo, inteso come riappropriazione della terra dei padri, da sempre e per sempre appartenente al popolo ebraico.
Se per secoli la “terra” degli ebrei era stata la Torah, permettendo lo sviluppo di grandi comunità ebraiche in molte parti del mondo, soprattutto in contesti cristiani e musulmani, ora è tornata ad essere un territorio concreto a cui far ritorno. E se fino all’avvento del nazismo le grandi emigrazioni ebraiche dall’Europa dell’Est sono state verso gli Stati Uniti, la nuova Terra promessa, anche nella retorica dei cristiani protestanti, sulla scia dei Padri Pellegrini, durante il nazismo (ma anche dopo la guerra), a causa della chiusura delle frontiere americane e dell’Occidente nei confronti degli ebrei perseguitati, la Terra a cui far ritorno è diventata esclusivamente la Palestina.
Le tragedie di oggi, come avremo modo di vedere, non sono il frutto dell’ obbedienza alla volontà di Dio, ma piuttosto di una lettura cambiata del proprio libro sacro che, da “luogo” esclusivo dell’incontro con Dio, è stato trasformato in manuale di istruzioni per la conquista di un territorio a scapito di altri abitanti. In tal senso, una lettura illuminante è il libro dello storico ebreo di Tel Aviv, Shlomo Sand, L’invenzione del popolo ebraico, da cui desidero ripartire la prossima volta.☺