Da discepoli a fratelli
3 Giugno 2015 Share

Da discepoli a fratelli

Tra le tante particolarità del vangelo di Giovanni, rispetto agli altri tre vangeli, spicca certamente il modo in cui l’ evangelista racconta la cena di addio, che precede la morte di Gesù. Per Giovanni non si tratta della cena pasquale, perché non avviene, come negli altri tre, la sera in cui sono immolati gli agnelli per la pasqua, bensì la sera precedente; la morte di Gesù invece avviene in contemporanea con l’immolazione degli agnelli. Ci sono studiosi che hanno ipotizzato l’uso di diversi calendari in Giovanni e negli altri vangeli per cercare di superare il contrasto. Dobbiamo semplicemente accettare, invece, che a Giovanni non interessa la coincidenza fattuale, bensì il valore simbolico: Gesù è il vero agnello immolato per salvare dalla morte chiunque lo accoglie. La cena diventa, quindi, l’occasione per accogliere l’ultimo insegnamento, riservato solo a coloro che hanno accettato di farsi “servire”, di farsi lavare i piedi da Gesù.

A questa cena il vangelo dedica molto spazio, ben 5 capitoli su 20, nei quali, dopo il gesto del lavaggio dei piedi, sono riportati una serie di insegnamenti che definiscono il rapporto tra i discepoli e Gesù. In questa prospettiva, secondo qualche studioso, l’intero vangelo descrive un processo di iniziazione che culmina nella “contempla- zione” della passione e morte di Gesù (capp. 18-19) a cui fa seguito l’investitura dei discepoli, attraverso il dono dello Spirito e il comando di annunciare il perdono dei peccati, e la definizione dei ruoli all’interno della comunità (capp. 20-21). Questa contemplazione però è resa possibile dopo un percorso di iniziazione che passa attraverso la chiamata dei discepoli (cap. 1) e l’ accompagnamento di Gesù nella sua manifestazione che produce accoglienza (di pochi) e rifiuto (di molti) nella prima parte del vangelo (capp. 2-12), che culmina nella risurrezione di Lazzaro e nelle reazioni che ne seguono, come a dire che è necessario passare attraverso la morte a un sistema di valori per accogliere la nuova proposta di vita instaurata da Gesù. Per arrivare a questa condizione, bisogna seguire quanto Gesù chiede, come afferma la madre alle nozze di Cana: “fate quello che vi dirà” (2,11). Quando ciò avviene, come nel caso emblematico del discepolo amato, si diventa così conformi a Gesù da diventare suoi fratelli, affidati alla madre ai piedi della croce (19,26-27). Il vangelo diventa così una sorta di “libretto delle istruzioni” per passare dall’essere servi all’essere amici (15,15) e da discepoli a fratelli (20,17).

Il momento culminante del passaggio è dato proprio dalla cena che precede la passione, quando i discepoli, attraverso un rito iniziatico, cioè il lavaggio dei piedi, sono introdotti nella piena comprensione della persona di Gesù come inviato di Dio a “salvare” coloro che hanno il coraggio di accogliere lo scandalo della croce che, per gli “iniziati”, diventa il momento della maggiore esaltazione e glorificazione di Gesù (come dice la preghiera del cap. 17). Che si tratti di un rito di passaggio lo dimostra il fatto che non avviene prima della cena, ma durante la cena stessa, quando Gesù compie in modo solenne i gesti dello spogliarsi e del rivestirsi per spiegare poi il gesto (13,4.12). Il senso è questo: come ci si deve lavare i piedi quando si entra in casa o ci si mette a tavola (nell’antichità i piedi erano molto più esposti alle impurità del suolo e si mangiava sdraiati su dei lettini), cioè per passare da una condizione profana e impura a una condizione purificata, così per accogliere l’ultimo insegnamento di Gesù e poter contemplare con occhi trasformati la sua morte in croce, è necessario purificarsi i piedi, cioè la parte del corpo più a contatto con il mondo esterno, che non capisce Gesù.

E il rito di passaggio non può non essere attinente al servizio: assumendo il ruolo proprio dello schiavo o comunque di una persona “inferiore” per le ferree leggi di separazione sociale di quel tempo, Gesù vuol far capire ai suoi discepoli che solo sovvertendo i valori di riferimento della società in cui vivono, possono capire la paradossalità della sua vita e soprattutto della sua morte. A Pietro (colui che non a caso sarà il capo di questa comunità) che si rifiuta di farsi lavare i piedi dal suo maestro, Gesù dice che se si rifiuta non avrà parte alla sua vita e al suo mondo (13,8). Pietro risponde chiedendo che gli lavi anche le mani e il capo, al che Gesù dice che in realtà quel lavaggio (e qui si comprende la simbolicità anche del lavaggio dei piedi) è già avvenuto e più avanti spiegherà anche come: “Voi siete già puri per la parola che vi ho annunziato” (15,3).

Manca però un aspetto: passare dalle parole ai fatti, dal predicare il dono della vita al donarla veramente, cosa che farà, fuori dal rito, proprio con la sua passione. Ebbene, chiedendo ai discepoli di fare la stessa cosa, Gesù afferma che anche loro devono non solo limitarsi ad annunciare il vangelo, ma a viverlo nel servizio reciproco: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato un modello, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (13,14-15).

Solo quando si ha la forza di accogliere lo scandalo della croce (farsi lavare i piedi) e si ha la forza di farne il criterio per la reciprocità dei rapporti, si costruisce la chiesa. ☺