disturbi depressivi
13 Aprile 2010 Share

disturbi depressivi

 

Le mutazioni nel campo della cultura e nel campo socio-economico avvenute negli ultimi 50 anni possono rendere ragione del notevole incremento della depressione in questi ultimi decenni, oltre che delle profonde variazioni sintomatologiche osservate in questa patologia, in qualche modo riconducibili al diverso ruolo assunto dal soggetto nella cultura e nella società attuale. “Il sisma dell’emancipa- zione”, tipico fenomeno degli anni Sessanta, ha comportato il passaggio a un diverso statuto del soggetto. Mentre prima il cittadino era sottomesso alla responsabilità e alla disciplina, attualmente egli è sottoposto al dovere dell’essere capace, dell’eman- cipazione e della riuscita. Quasi sempre, dietro stragi di intere famiglie, uxoricidi, infanticidi e scomparse di persone, si scopre costantemente la presenza di disturbi depressivi, ma non è necessario arrivare a rilevare la depressione nei fatti di cronaca, essa si può scovare nella normale vita quotidiana delle persone.

Nella depressione pare esprimersi attualmente la “patologia” di una società, una società che pone gli individui in uno stato di continuo dinamismo, il cui imperativo è un continuo invito ad agire, a prendere iniziative, a intraprendere nuove azioni. La sempre maggiore spinta all’eman- cipazione (unitamente alla perdita di punti di riferimento) fa sì che l’individuo  si senta sottoposto al dovere dell’essere sempre all’altezza della situazione, mantenendo un indice di efficienza e di competitività molto elevato, il cui fallimento comporta un senso di incapacità, di insufficienza, di inadeguatezza. È questo il nuovo profilo dei disturbi depressivi. Fra i sintomi che caratterizzano il nuovo quadro clinico della depressione dominano l’ansia, l’insonnia, la fatica di essere se stessi dinanzi all’esigenza implacabile e assoluta dell’ef- ficienza. La tristezza, il pessimismo, la melanconia, sembrano passare in secondo piano. Il depresso non si sente all’altezza: è stanco di dover continuamente costruire se stesso. La depressione assume quindi le sembianze di una patologia dell’insuffi- cienza, e finisce con l’esprimere l’ impossibilità stessa del vivere.

La depressione, vissuta come deficit, apre le porte all’atteg- giamento terapeutico farmacologico che ritiene possibile trovare sempre nuove molecole in grado di agire sul deficit e riattivare la capacità d’azione. Al momento attuale una massiccia campagna di marketing da parte delle case farmaceutiche, con la collusione delle riviste di psichiatria e dei megacongressi, ha reso gli antidepressivi tra i farmaci più usati in Occidente (ma è proprio sicuro che i farmaci antidepressivi funzionano così come vengono reclamizzati?) alimentando una “cultura della droga” che ritiene non solo possibile, ma auspicabile, che qualsiasi problema o malessere venga affrontato  con uno psicofarmaco appropriato. Oggi il farmaco antidepressivo, la “famosa pillola” della felicità, viene prescritto con estrema facilità e superficialità. Esso, agendo su uno stato di malessere e di insufficienza, sostituisce un malessere psichico con un benessere artificiale ed è in tal modo equiparabile alle numerose droghe eccitanti ed euforizzanti. Sembra cadere dunque la distinzione  tra curarsi e drogarsi; non solo, si rischia anche di perdere la capacità di distinguere tra le depressioni fisiologiche, fondamentali come momento di crisi per lo sviluppo dell’individuo, e le depressioni patologiche. Non è un caso che l’uso degli antidepressivi sia in stretta correlazione con l’aumento delle tossicodipendenze. ☺

morenavaccaro2@virgilio.it

 

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