No, non è un bambolotto. È un bambino di un ospedale pediatrico di Douma in Siria. Ieri, una domenica all’insegna del ricordo e del lutto per la Siria, ricordando il IV anniversario dell’inizio della repressione. Mentre nel mondo centinaia di manifestanti chiedevano la fine delle violenze perpetrate dal regime e dai terroristi ai danni dei civili inermi, il segretario di Stato americano John Kerry chiamava ad un negoziato proprio con Bashar Al Assad. Quest’ultimo, capo supremo dell’esercito siriano, ordinava alla sua aviazione di proseguire l’offensiva sulle città siriane, in particolare sulla zona residenziale di Douma.
Da un lato si prepara il tavolo delle trattative, o forse sarebbe più appropriato dire l’altare su cui la fallimentare diplomazia internazionale continuerà a sacrificare il popolo siriano. Dall’altro va avanti lo sterminio dei civili, su cui continuano a piovere bombe. E proprio nelle ore in cui la notizia dell’iniziativa americana faceva il giro del mondo, sotto gli ordigni del regime di Assad crollavano decine di case, ospedali, e morivano bambini, donne, anziani che erano al loro interno. Fra di essi c’era questo bambino.
Di certo non era questo lo scenario che immaginavano i siriani nel 2011 quando hanno violato, dopo quasi mezzo secolo, l’ordine di coprifuoco, riempiendo pacificamente le piazze per chiedere islahat, riforme e horrye, libertà. La goccia che fece traboccare il vaso fu il drammatico episodio dei bambini di Dar’à, arrestati, torturati e uccisi per aver scritto sul muro della loro scuola “Il popolo vuole la caduta del regime”, riprendendo lo slogan che veniva ripetuto in quel periodo nelle piazze di molti paesi arabi. Da allora ogni giorno manifestazioni, cortei, attività pacifiche di giovani siriani desiderosi di un cambiamento radicale che portasse alla fine della tirannia e all’inizio di una nuova era per il popolo siriano. In questo straziante quadro, dove la giustizia e l’incolumità dei civili sono sacrificate alle logiche di potere, arriva una voce di speranza, diffusa dalle immagini e dal racconto della Protezione Civile di Douma: un neonato viene estratto ancora vivo dalle macerie. Sulla tutina è ancora attaccato il ciuccio. Chissà cosa dirà, se mai diventerà grande e vedrà queste immagini. Sarà difficile spiegargli che quella non era una bomba straniera di un paese che ha aggredito la Siria, ma una bomba siriana usata contro i siriani stessi. Sarà ancora più difficile spiegargli che mentre lui è sopravvissuto e altri bambini morivano, i ‘grandi’ continuavano a disegnare le sorti del mondo a loro piacimento, senza curarsi del suo destino.
“Non rumoreggiate, Ateniesi, per quel che dico, ma state quieti a udire come vi ho pregato; ché, udendo, penso che ne riceverete giovamento. Perché altre cose vi ho a dire io, che forse vi faran gridar forte: ma no, state quieti. Via, sappiate che se ucciderete me son quale dico, piú che me, danneggerete voi medesimi. A me non farebbe niuno danno né Meleto né Anito; ché non potrebbero; imperocché, secondo che credo io, non è lecito che il piú buono possa essere danneggiato dal piú tristo. Ucciderebbe egli, o caccerebbe in bando, o disonorerebbe; ché forse le dette cose egli e alcun altro credono grandi mali; ma io no, male piuttosto è fare quello che costui fa, tentare di uccidere ingiustamente un uomo. Dunque io non difendo ora me per me, come penserebbe alcuno, ma per voi; acciocché condannando me, non pecchiate contro il dono di Dio” (Apologia di Socrate).
Ancora una volta la furia devastatrice dei fondamentalisti islamici si abbatte contro le opere d’arte e i reperti archeologici. Statue e bassorilievi antichi, alcuni dei quali risalenti a oltre 3.000 anni fa, abbattuti a colpi di piccone da uomini barbuti che poi li distruggono usando il martello pneumatico. È questo l’ultimo video diffuso dallo Stato Islamico a Mosul, a prosecuzione di una campagna contro le vestigia del passato che ha già visto i miliziani dello Stato islamico far saltare in aria luoghi di culto e distruggere una parte della cinta muraria di Ninive, l’antica capitale assira alla periferia dell’odierna Mosul.
Le immagini, diffuse attraverso un account Twitter usato dal Califfato, mostrano uno scempio perpetrato metodicamente nelle sale di quello che sembra un museo a Ninive. L’Isis segue una dottrina fondamentalista sunnita secondo la quale è vietata qualsiasi riproduzione di esseri umani o animali, tanto più se raffigurazioni di dei.“Queste rovine dietro di me, sono quelle di idoli e statue che le popolazioni del passato usavano per un culto diverso da Allah”, dichiara un jihadista con alle spalle un grande bassorilievo di un cavallo. “Il Profeta Maometto ha tirato giù con le sue mani gli idoli quando è andato alla Mecca. Il nostro Profeta ci ha ordinato di distruggere gli idoli e i compagni del Profeta lo hanno fatto quando hanno conquistato dei Paesi – afferma il miliziano – quando Dio ci ordina di rimuoverli e distruggerli, per noi diventa semplice e non ci interessa che il loro valore sia di milioni di dollari”.
Ninive muore; la civiltà muore; la vita muore; la bellezza muore.
“Ma già ora è di andare: io, a morire; voi, a vivere. Chi di noi andrà a stare meglio, è nascosto a ognuno, salvo ché a Dio” (Apologia di Socrate).☺
No, non è un bambolotto. È un bambino di un ospedale pediatrico di Douma in Siria. Ieri, una domenica all’insegna del ricordo e del lutto per la Siria, ricordando il IV anniversario dell’inizio della repressione. Mentre nel mondo centinaia di manifestanti chiedevano la fine delle violenze perpetrate dal regime e dai terroristi ai danni dei civili inermi, il segretario di Stato americano John Kerry chiamava ad un negoziato proprio con Bashar Al Assad. Quest’ultimo, capo supremo dell’esercito siriano, ordinava alla sua aviazione di proseguire l’offensiva sulle città siriane, in particolare sulla zona residenziale di Douma.
Da un lato si prepara il tavolo delle trattative, o forse sarebbe più appropriato dire l’altare su cui la fallimentare diplomazia internazionale continuerà a sacrificare il popolo siriano. Dall’altro va avanti lo sterminio dei civili, su cui continuano a piovere bombe. E proprio nelle ore in cui la notizia dell’iniziativa americana faceva il giro del mondo, sotto gli ordigni del regime di Assad crollavano decine di case, ospedali, e morivano bambini, donne, anziani che erano al loro interno. Fra di essi c’era questo bambino.
Di certo non era questo lo scenario che immaginavano i siriani nel 2011 quando hanno violato, dopo quasi mezzo secolo, l’ordine di coprifuoco, riempiendo pacificamente le piazze per chiedere islahat, riforme e horrye, libertà. La goccia che fece traboccare il vaso fu il drammatico episodio dei bambini di Dar’à, arrestati, torturati e uccisi per aver scritto sul muro della loro scuola “Il popolo vuole la caduta del regime”, riprendendo lo slogan che veniva ripetuto in quel periodo nelle piazze di molti paesi arabi. Da allora ogni giorno manifestazioni, cortei, attività pacifiche di giovani siriani desiderosi di un cambiamento radicale che portasse alla fine della tirannia e all’inizio di una nuova era per il popolo siriano. In questo straziante quadro, dove la giustizia e l’incolumità dei civili sono sacrificate alle logiche di potere, arriva una voce di speranza, diffusa dalle immagini e dal racconto della Protezione Civile di Douma: un neonato viene estratto ancora vivo dalle macerie. Sulla tutina è ancora attaccato il ciuccio. Chissà cosa dirà, se mai diventerà grande e vedrà queste immagini. Sarà difficile spiegargli che quella non era una bomba straniera di un paese che ha aggredito la Siria, ma una bomba siriana usata contro i siriani stessi. Sarà ancora più difficile spiegargli che mentre lui è sopravvissuto e altri bambini morivano, i ‘grandi’ continuavano a disegnare le sorti del mondo a loro piacimento, senza curarsi del suo destino.
“Non rumoreggiate, Ateniesi, per quel che dico, ma state quieti a udire come vi ho pregato; ché, udendo, penso che ne riceverete giovamento. Perché altre cose vi ho a dire io, che forse vi faran gridar forte: ma no, state quieti. Via, sappiate che se ucciderete me son quale dico, piú che me, danneggerete voi medesimi. A me non farebbe niuno danno né Meleto né Anito; ché non potrebbero; imperocché, secondo che credo io, non è lecito che il piú buono possa essere danneggiato dal piú tristo. Ucciderebbe egli, o caccerebbe in bando, o disonorerebbe; ché forse le dette cose egli e alcun altro credono grandi mali; ma io no, male piuttosto è fare quello che costui fa, tentare di uccidere ingiustamente un uomo. Dunque io non difendo ora me per me, come penserebbe alcuno, ma per voi; acciocché condannando me, non pecchiate contro il dono di Dio” (Apologia di Socrate).
Ancora una volta la furia devastatrice dei fondamentalisti islamici si abbatte contro le opere d’arte e i reperti archeologici. Statue e bassorilievi antichi, alcuni dei quali risalenti a oltre 3.000 anni fa, abbattuti a colpi di piccone da uomini barbuti che poi li distruggono usando il martello pneumatico. È questo l’ultimo video diffuso dallo Stato Islamico a Mosul, a prosecuzione di una campagna contro le vestigia del passato che ha già visto i miliziani dello Stato islamico far saltare in aria luoghi di culto e distruggere una parte della cinta muraria di Ninive, l’antica capitale assira alla periferia dell’odierna Mosul.
Le immagini, diffuse attraverso un account Twitter usato dal Califfato, mostrano uno scempio perpetrato metodicamente nelle sale di quello che sembra un museo a Ninive. L’Isis segue una dottrina fondamentalista sunnita secondo la quale è vietata qualsiasi riproduzione di esseri umani o animali, tanto più se raffigurazioni di dei.“Queste rovine dietro di me, sono quelle di idoli e statue che le popolazioni del passato usavano per un culto diverso da Allah”, dichiara un jihadista con alle spalle un grande bassorilievo di un cavallo. “Il Profeta Maometto ha tirato giù con le sue mani gli idoli quando è andato alla Mecca. Il nostro Profeta ci ha ordinato di distruggere gli idoli e i compagni del Profeta lo hanno fatto quando hanno conquistato dei Paesi – afferma il miliziano – quando Dio ci ordina di rimuoverli e distruggerli, per noi diventa semplice e non ci interessa che il loro valore sia di milioni di dollari”.
Ninive muore; la civiltà muore; la vita muore; la bellezza muore.
“Ma già ora è di andare: io, a morire; voi, a vivere. Chi di noi andrà a stare meglio, è nascosto a ognuno, salvo ché a Dio” (Apologia di Socrate).☺
No, non è un bambolotto. È un bambino di un ospedale pediatrico di Douma in Siria. Ieri, una domenica all’insegna del ricordo e del lutto per la Siria, ricordando il IV anniversario dell’inizio della repressione.
No, non è un bambolotto. È un bambino di un ospedale pediatrico di Douma in Siria. Ieri, una domenica all’insegna del ricordo e del lutto per la Siria, ricordando il IV anniversario dell’inizio della repressione. Mentre nel mondo centinaia di manifestanti chiedevano la fine delle violenze perpetrate dal regime e dai terroristi ai danni dei civili inermi, il segretario di Stato americano John Kerry chiamava ad un negoziato proprio con Bashar Al Assad. Quest’ultimo, capo supremo dell’esercito siriano, ordinava alla sua aviazione di proseguire l’offensiva sulle città siriane, in particolare sulla zona residenziale di Douma.
Da un lato si prepara il tavolo delle trattative, o forse sarebbe più appropriato dire l’altare su cui la fallimentare diplomazia internazionale continuerà a sacrificare il popolo siriano. Dall’altro va avanti lo sterminio dei civili, su cui continuano a piovere bombe. E proprio nelle ore in cui la notizia dell’iniziativa americana faceva il giro del mondo, sotto gli ordigni del regime di Assad crollavano decine di case, ospedali, e morivano bambini, donne, anziani che erano al loro interno. Fra di essi c’era questo bambino.
Di certo non era questo lo scenario che immaginavano i siriani nel 2011 quando hanno violato, dopo quasi mezzo secolo, l’ordine di coprifuoco, riempiendo pacificamente le piazze per chiedere islahat, riforme e horrye, libertà. La goccia che fece traboccare il vaso fu il drammatico episodio dei bambini di Dar’à, arrestati, torturati e uccisi per aver scritto sul muro della loro scuola “Il popolo vuole la caduta del regime”, riprendendo lo slogan che veniva ripetuto in quel periodo nelle piazze di molti paesi arabi. Da allora ogni giorno manifestazioni, cortei, attività pacifiche di giovani siriani desiderosi di un cambiamento radicale che portasse alla fine della tirannia e all’inizio di una nuova era per il popolo siriano. In questo straziante quadro, dove la giustizia e l’incolumità dei civili sono sacrificate alle logiche di potere, arriva una voce di speranza, diffusa dalle immagini e dal racconto della Protezione Civile di Douma: un neonato viene estratto ancora vivo dalle macerie. Sulla tutina è ancora attaccato il ciuccio. Chissà cosa dirà, se mai diventerà grande e vedrà queste immagini. Sarà difficile spiegargli che quella non era una bomba straniera di un paese che ha aggredito la Siria, ma una bomba siriana usata contro i siriani stessi. Sarà ancora più difficile spiegargli che mentre lui è sopravvissuto e altri bambini morivano, i ‘grandi’ continuavano a disegnare le sorti del mondo a loro piacimento, senza curarsi del suo destino.
“Non rumoreggiate, Ateniesi, per quel che dico, ma state quieti a udire come vi ho pregato; ché, udendo, penso che ne riceverete giovamento. Perché altre cose vi ho a dire io, che forse vi faran gridar forte: ma no, state quieti. Via, sappiate che se ucciderete me son quale dico, piú che me, danneggerete voi medesimi. A me non farebbe niuno danno né Meleto né Anito; ché non potrebbero; imperocché, secondo che credo io, non è lecito che il piú buono possa essere danneggiato dal piú tristo. Ucciderebbe egli, o caccerebbe in bando, o disonorerebbe; ché forse le dette cose egli e alcun altro credono grandi mali; ma io no, male piuttosto è fare quello che costui fa, tentare di uccidere ingiustamente un uomo. Dunque io non difendo ora me per me, come penserebbe alcuno, ma per voi; acciocché condannando me, non pecchiate contro il dono di Dio” (Apologia di Socrate).
Ancora una volta la furia devastatrice dei fondamentalisti islamici si abbatte contro le opere d’arte e i reperti archeologici. Statue e bassorilievi antichi, alcuni dei quali risalenti a oltre 3.000 anni fa, abbattuti a colpi di piccone da uomini barbuti che poi li distruggono usando il martello pneumatico. È questo l’ultimo video diffuso dallo Stato Islamico a Mosul, a prosecuzione di una campagna contro le vestigia del passato che ha già visto i miliziani dello Stato islamico far saltare in aria luoghi di culto e distruggere una parte della cinta muraria di Ninive, l’antica capitale assira alla periferia dell’odierna Mosul.
Le immagini, diffuse attraverso un account Twitter usato dal Califfato, mostrano uno scempio perpetrato metodicamente nelle sale di quello che sembra un museo a Ninive. L’Isis segue una dottrina fondamentalista sunnita secondo la quale è vietata qualsiasi riproduzione di esseri umani o animali, tanto più se raffigurazioni di dei.“Queste rovine dietro di me, sono quelle di idoli e statue che le popolazioni del passato usavano per un culto diverso da Allah”, dichiara un jihadista con alle spalle un grande bassorilievo di un cavallo. “Il Profeta Maometto ha tirato giù con le sue mani gli idoli quando è andato alla Mecca. Il nostro Profeta ci ha ordinato di distruggere gli idoli e i compagni del Profeta lo hanno fatto quando hanno conquistato dei Paesi – afferma il miliziano – quando Dio ci ordina di rimuoverli e distruggerli, per noi diventa semplice e non ci interessa che il loro valore sia di milioni di dollari”.
Ninive muore; la civiltà muore; la vita muore; la bellezza muore.
“Ma già ora è di andare: io, a morire; voi, a vivere. Chi di noi andrà a stare meglio, è nascosto a ognuno, salvo ché a Dio” (Apologia di Socrate).☺
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