
E’ ora di cambiare
Si possono, definitivamente, tirare le somme di questa legislatura che – finalmente – può dirsi conclusa. Opaca, con un orizzonte ristretto all’oggi, puntellata da provvedimenti ordinari e senza visione programmatica, cadenzata da errori macroscopici, come quelli che hanno caratterizzato la gestione della sanità regionale, di un diritto negato e per il rispetto del quale si è dovuto far ricorso alla magistratura.
Inconsistente l’attività legislativa promossa dall’esecutivo regionale, ferma com’è alle leggi in materia di riordino dei settori del commercio e dell’artigianato e a quello che si è rivelato essere un mero compendio delle norme sul turismo, spacciato per una legge rivoluzionaria.
Buio fitto, nella sostanza. Molte le proposte di legge che ho portato all’attenzione dell’Aula e delle competenti commissioni consiliari che sono state stoppate per motivi facilmente intuibili, come quella relativa all’ istituzione del CAL, il Consiglio delle Autonomie Locali che avrebbe restituito un ruolo propulsore ai sindaci. Un organismo di mediazione, importante per rappresentare le istanze dei territori, che in Molise manca. All’articolo 64 dello Statuto, la Regione ha previsto la costituzione del CAL ma ha anche demandato ad una legge regionale la sua composizione: una norma che lo renderebbe finalmente operativo non è mai arrivata. Facile capire il motivo: attualmente le funzioni di coordinamento tra i vari livelli istituzionali regionali vengono assolte dalla Conferenza delle autonomie locali, chiara espressione dell’esecutivo regionale perché presieduta dallo stesso presidente della Giunta e composta da una sparuta rappresentanza di province, comuni e associazioni di comuni. Insomma, un orticello dove coltivare le proprie aspirazioni.
Buio fitto, anche nei fatti: cinque anni per tirare a campare. Unico raggio di luce – che al momento è ingabbiato anche questo nel lassismo -, la norma sul Terzo Settore, alla quale ho lavorato con tenacia e che è finalmente passata al vaglio dell’Aula. Una delle pochissime leggi licenziate da questo Consiglio regionale. Una norma che è rimasta sulla carta: in tutte le regioni d’Italia, infatti, volontari e operatori prendono parte a esperienze di co-programmazione e co-progettazione, in cui i diritti dei cittadini, i loro bisogni, le loro aspirazioni sono al centro di uno sforzo congiunto delle pubbliche amministrazioni e del Terzo Settore. Si chiama “amministrazione condivisa” ed è normata dalla nostra legge regionale: un’inedita condivisione di poteri e responsabilità tra enti pubblici e Terzo Settore, chiamati a programmare, progettare e agire congiuntamente a favore delle loro comunità.
Un cambiamento epocale, innestato dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore (il dlgs 117 del 2017) e confermato nel modo più autorevole dalla sentenza 131 della Corte Costituzionale secondo cui l’amministrazione condivisa “realizza per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria” quella delineata dall’articolo 118 della Costituzione. Secondo le parole della Corte Costituzionale, al Terzo Settore “è riconosciuta una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale”. Enti pubblici e Terzo Settore, quindi, non sono controparti: non è l’una che domanda servizi e l’altra che li offre, l’una che definisce cosa fare e l’altra che lo esegue. Sono alleati per realizzare insieme una finalità comune. Una simile prospettiva richiede a tutti i soggetti coinvolti un cambiamento culturale di grande rilievo e, coerentemente, di ripensare ruoli, compiti e organizzazione.
La Regione Molise una legge ce l’ha, è il frutto di un lavoro di confronto e condivisione con tutti gli stakeholder, con associazioni e organismi, è l’elaborazione di una partecipazione che è avvenuta fin dalla sua scrittura. E, sempre la Regione, avrebbe potuto ‘metterla a terra’ come si dice, promuovendo una azione strutturata e articolata su più strumenti per diffondere i contenuti coinvolgendo anche le amministrazioni pubbliche con le quali il Terzo Settore dialoga. Nelle altre regioni, negli Enti Locali, questo percorso è stato avviato grazie ad una molteplicità di iniziative formative, che hanno diffuso tra centinaia di volontari e operatori competenze e consapevolezza.
Un esempio calzante è rappresentato dalla cosiddetta ‘innovazione sociale’ che punta a rispondere in modo innovativo ai bisogni della società, costruendo nuove relazioni tra pubblico, privato e Terzo Settore. Come modello economico, nella maggior parte dei casi, è un ibrido: una combinazione tra profit e no profit dove contano sia la sostenibilità economica del progetto sia i suoi destinatari. Esistono vari esempi di innovazione sociale, dai progetti di microcredito ideati e promossi dall’economista Premio Nobel per la Pace, Muhamad Yunus fino alle tecnologie in grado di aiutare chi è svantaggiato. Si tratta di nuove idee – prodotti, servizi e modelli – che soddisfano bisogni sociali e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove collaborazioni. L’innovazione sociale è correlata all’analisi del contesto e degli attori di riferimento, oltre ad un buon utilizzo dei beni disponibili, promuovendo più efficienza nell’uso delle risorse e, ove possibile, riduzione del loro utilizzo, e genera cambiamento soprattutto nel lungo termine. Prospettiva questa – una visione di lungo termine – che è stata la grande assente nelle politiche ordinarie e del ‘tiriamo a campare’ messe in capo in questa legislatura.
Le ‘scintille di innovazione’ possono scaturire da tantissimi aspetti. Per fare solo qualche esempio, possono essere innescate dal verificarsi di una crisi, dalla necessità di diminuire la spesa in servizi pubblici o di migliorarli. Una volta identificato il campo d’azione, parte il processo diagnostico, ossia l’ acquisizione dei dati necessari ad analizzare i collegamenti tra i fattori che possono spiegare il perché di situazioni che devono essere migliorate. Le innovazioni sociali vanno poi fatte crescere e diffuse e spesso succede per emulazione. Ma, per lo più, la loro adozione è determinata da processi di interazione e modificazioni perché una stessa innovazione prenderà forme diverse a seconda di dove sia innestata.
I governi dovrebbero rappresentare i committenti di innovazione sociale. Una politica lungimirante dovrebbe guardare al cambiamento dei sistemi di riferimento, alle innovazioni in grado di trasformare alcuni aspetti del vivere comune in un processo che è di interscambio perché i protagonisti che ruotano attorno a queste fasi e vi fanno da sfondo sono le persone, le organizzazioni e gli spazi che consentono di portare avanti l’innovazione.
Non si combatte lo spopolamento analizzando con disappunto i dati, non si immagina un futuro per la terra che si amministra senza avere visione e lungimiranza, conoscenza e soprattutto coraggio di scelte innovative che però mettano al centro le persone, i bisogni.
Mi auguro che un giorno, tutto questo, anche in Molise sia possibile.☺