Incontriamo padre GianCarlo Brigantini, vescovo di Campobasso, nel suo studio, è accogliente e rilassato come sempre e la prima domanda – pur sapendo che è lì per un’intervista sui temi caldi della mondialità – la fa lui: Che ne pensa dei risultati elettorali? Proponendo poi una sua lettura del voto che riesce senz’altro convincente: “Ci può aiutare la Spe Salvi ad inquadrare quello che è successo a metà aprile in Italia, laddove parla di due peccati contro la speranza: la presunzione e la disperazione. È un po’ il ritratto dei nostri mali: da un lato c’è il Nord con la sua presunzione, con quell’arroccarsi sulle sue sicurezze, sul rifiuto di un benessere condiviso, sulla chiusura allo straniero e l’intendere la sicurezza non come giustizia ma come recinto entro cui isolarsi. Dall’altro c’è la disperazione del Sud, con le mafie, il precariato cronico, il conseguente clientelismo, la disoccupazione. Ecco che allora bisogna tornare a lavorare sulla speranza con tenacia, per dare risposte nuove agli italiani del Nord, che non si sentono più adeguatamente difesi, e a quelli del Sud che non si sentono più accompagnati nella fatica e nella paura quotidiana. E questo ruolo di accompagnamento di una comunità può e deve essere svolto anche dall’associazionismo locale”.
In particolare, Eccellenza, quale ruolo può esso avere nella promozione di nuovi stili di vita che incidano realmente sulle abitudini quotidiane della gente, invertano il trend di consumo, aprano gli occhi sulle emergenze planetarie?
Quello che vedo è la presenza di numerose realtà associative sul territorio, tutte abbastanza qualificate e ricche di un buon bagaglio di esperienze. Il problema di un maggiore coordinamento tra le stesse, tuttavia, è duplice: da un lato bisognerebbe dare più identità e specificità a ciascuna, senza sovrapposizione di ruoli e dispersione di energie; in secondo luogo bisogna creare comunione, che è il frutto dell’identità, così come l’identità è indispensabile ad una comunione sensata e proficua.
Ha qualche suggerimento concreto?
A settembre si terrà una prima giornata di coordinamento fra tutte le realtà associative diocesane per confrontarsi, conoscersi e allearsi. Bisogna procedere insieme su binari condivisi, superando la tentazione di un’ecces- siva autonomia e autosufficienza che qua e là trapela in qualche realtà associativa.
E la politica? Non le sembra che il volontariato spesso si faccia supplente delle mancanze e delle inadempienze delle istituzioni?
La politica agisce sempre di conseguenza agli stimoli con i quali il volontariato la pungola, ma in questo non vedo una contrapposizione bensì una complementarietà fra le due sfere. Il volontariato ha il compito di svegliare, proporre, provocare laddove è necessario. La politica di raccogliere e tradurre in azione, di lasciarsi provocare insomma. Più volontariato c’è, meglio è per la politica.
Nell’associazionismo locale sta crescendo la sensibilità verso l’educazione alla pace, un tema sul quale l’attenzione dell’ex ministro Fioroni è stata mirata e costante, ma come si può fare educazione alla pace oggi, a scuola, senza naufragare in un mare di progetti fini a se stessi, magari portati avanti in un clima di stili relazionali ancora improntati all’autori- tarismo più retrivo?
La logica della pace è non vincere ma convincere, non imporre né tacere ma proporre. Avere questa consapevolezza rende il cammino educativo più difficile e lungo ma è l’unica soluzione per raccogliere frutti duraturi da un’azione di lungo periodo: vale per la scuola, per la famiglia, per ogni ambito sociale.
E don Milani? Come scongiurare il pericolo di contrabbandarlo e invece attingere ancora, e in maniera autentica, alle radici del suo messaggio nella scuola di oggi e nella formazione degli insegnanti, dove è pressoché ignorato?
Don Milani è assai scomodo, sfugge come un’anguilla e non è possibile inquadrarlo o ridurlo a logiche di partito. Io su don Milani sono cresciuto e forse senza di lui oggi non sarei un religioso: l’ho assimilato e assorbito e so, pertanto, che lo si deve leggere in termini globali, non in fretta o superficialmente, senza strapazzarlo o senza estrapolare dal contesto e assolutizzare singole frasi, strumentalizzandole. Non ci si può travestire da don Milani. Il cuore del suo messaggio era cercare un fine, era riparare alla mancanza di speranza e di fine che leggeva nella realtà. E qui torniamo proprio ai nostri mali presenti.
Tornando ai nuovi stili di vita. Nel volume di Maurizio Pallante La decrescita felice, c’è un invito forte ad abbinare la riduzione dei consumi al ritorno all’autoproduzione: più produco da solo, meno compro, meno consumo. L’esempio principe di Pallante riguarda lo yogurt ma le obiezioni più comuni riguardano la possibilità remota, per le donne di oggi, di tener dietro ai biscotti, al pane, nonché allo yogurt stesso. Lei cosa risponderebbe a uno scettico?
Intanto che lo yogurt me lo faccio da dodici anni ed è buonissimo, e che ho un piccolo orto in episcopio! E poi che è possibile davvero invertire gli attuali stili di consumo. Si può! Però bisogna lavorare sulla mentalità della gente, aprirsi a quelle realtà che stanno più avanti di noi nella realizzazione di certe cose, bisogna gemellarsi, visitare, conoscere! I sindaci molisani vadano su in Trentino a guardare coi propri occhi delle esperienze stupende di riciclaggio, di artigianato, di uso intelligente dei rifiuti. Imparino come funziona la cultura cooperativa, così da poter realizzare i loro sogni. L’Alto Adige è la regione con la maggiore percentuale di energia elettrica prodotta da pannelli fotovoltaici. Qui abbiamo tutte le carte in regola per far diventare il Molise la regione più vivibile d’Italia, perché non lo rendiamo il nostro slogan? Bisogna vincere l’apatia, la rassegnazione: sono queste le malattie del Molise, come dell’intero Sud. Lo dicevamo all’inizio. Bisogna lavorare sulla carenza di speranza. Chi spera, e Benedetto XVI lo dice chiaro, vive meglio. ☺
gadelis@libero.it
Incontriamo padre GianCarlo Brigantini, vescovo di Campobasso, nel suo studio, è accogliente e rilassato come sempre e la prima domanda – pur sapendo che è lì per un’intervista sui temi caldi della mondialità – la fa lui: Che ne pensa dei risultati elettorali? Proponendo poi una sua lettura del voto che riesce senz’altro convincente: “Ci può aiutare la Spe Salvi ad inquadrare quello che è successo a metà aprile in Italia, laddove parla di due peccati contro la speranza: la presunzione e la disperazione. È un po’ il ritratto dei nostri mali: da un lato c’è il Nord con la sua presunzione, con quell’arroccarsi sulle sue sicurezze, sul rifiuto di un benessere condiviso, sulla chiusura allo straniero e l’intendere la sicurezza non come giustizia ma come recinto entro cui isolarsi. Dall’altro c’è la disperazione del Sud, con le mafie, il precariato cronico, il conseguente clientelismo, la disoccupazione. Ecco che allora bisogna tornare a lavorare sulla speranza con tenacia, per dare risposte nuove agli italiani del Nord, che non si sentono più adeguatamente difesi, e a quelli del Sud che non si sentono più accompagnati nella fatica e nella paura quotidiana. E questo ruolo di accompagnamento di una comunità può e deve essere svolto anche dall’associazionismo locale”.
In particolare, Eccellenza, quale ruolo può esso avere nella promozione di nuovi stili di vita che incidano realmente sulle abitudini quotidiane della gente, invertano il trend di consumo, aprano gli occhi sulle emergenze planetarie?
Quello che vedo è la presenza di numerose realtà associative sul territorio, tutte abbastanza qualificate e ricche di un buon bagaglio di esperienze. Il problema di un maggiore coordinamento tra le stesse, tuttavia, è duplice: da un lato bisognerebbe dare più identità e specificità a ciascuna, senza sovrapposizione di ruoli e dispersione di energie; in secondo luogo bisogna creare comunione, che è il frutto dell’identità, così come l’identità è indispensabile ad una comunione sensata e proficua.
Ha qualche suggerimento concreto?
A settembre si terrà una prima giornata di coordinamento fra tutte le realtà associative diocesane per confrontarsi, conoscersi e allearsi. Bisogna procedere insieme su binari condivisi, superando la tentazione di un’ecces- siva autonomia e autosufficienza che qua e là trapela in qualche realtà associativa.
E la politica? Non le sembra che il volontariato spesso si faccia supplente delle mancanze e delle inadempienze delle istituzioni?
La politica agisce sempre di conseguenza agli stimoli con i quali il volontariato la pungola, ma in questo non vedo una contrapposizione bensì una complementarietà fra le due sfere. Il volontariato ha il compito di svegliare, proporre, provocare laddove è necessario. La politica di raccogliere e tradurre in azione, di lasciarsi provocare insomma. Più volontariato c’è, meglio è per la politica.
Nell’associazionismo locale sta crescendo la sensibilità verso l’educazione alla pace, un tema sul quale l’attenzione dell’ex ministro Fioroni è stata mirata e costante, ma come si può fare educazione alla pace oggi, a scuola, senza naufragare in un mare di progetti fini a se stessi, magari portati avanti in un clima di stili relazionali ancora improntati all’autori- tarismo più retrivo?
La logica della pace è non vincere ma convincere, non imporre né tacere ma proporre. Avere questa consapevolezza rende il cammino educativo più difficile e lungo ma è l’unica soluzione per raccogliere frutti duraturi da un’azione di lungo periodo: vale per la scuola, per la famiglia, per ogni ambito sociale.
E don Milani? Come scongiurare il pericolo di contrabbandarlo e invece attingere ancora, e in maniera autentica, alle radici del suo messaggio nella scuola di oggi e nella formazione degli insegnanti, dove è pressoché ignorato?
Don Milani è assai scomodo, sfugge come un’anguilla e non è possibile inquadrarlo o ridurlo a logiche di partito. Io su don Milani sono cresciuto e forse senza di lui oggi non sarei un religioso: l’ho assimilato e assorbito e so, pertanto, che lo si deve leggere in termini globali, non in fretta o superficialmente, senza strapazzarlo o senza estrapolare dal contesto e assolutizzare singole frasi, strumentalizzandole. Non ci si può travestire da don Milani. Il cuore del suo messaggio era cercare un fine, era riparare alla mancanza di speranza e di fine che leggeva nella realtà. E qui torniamo proprio ai nostri mali presenti.
Tornando ai nuovi stili di vita. Nel volume di Maurizio Pallante La decrescita felice, c’è un invito forte ad abbinare la riduzione dei consumi al ritorno all’autoproduzione: più produco da solo, meno compro, meno consumo. L’esempio principe di Pallante riguarda lo yogurt ma le obiezioni più comuni riguardano la possibilità remota, per le donne di oggi, di tener dietro ai biscotti, al pane, nonché allo yogurt stesso. Lei cosa risponderebbe a uno scettico?
Intanto che lo yogurt me lo faccio da dodici anni ed è buonissimo, e che ho un piccolo orto in episcopio! E poi che è possibile davvero invertire gli attuali stili di consumo. Si può! Però bisogna lavorare sulla mentalità della gente, aprirsi a quelle realtà che stanno più avanti di noi nella realizzazione di certe cose, bisogna gemellarsi, visitare, conoscere! I sindaci molisani vadano su in Trentino a guardare coi propri occhi delle esperienze stupende di riciclaggio, di artigianato, di uso intelligente dei rifiuti. Imparino come funziona la cultura cooperativa, così da poter realizzare i loro sogni. L’Alto Adige è la regione con la maggiore percentuale di energia elettrica prodotta da pannelli fotovoltaici. Qui abbiamo tutte le carte in regola per far diventare il Molise la regione più vivibile d’Italia, perché non lo rendiamo il nostro slogan? Bisogna vincere l’apatia, la rassegnazione: sono queste le malattie del Molise, come dell’intero Sud. Lo dicevamo all’inizio. Bisogna lavorare sulla carenza di speranza. Chi spera, e Benedetto XVI lo dice chiaro, vive meglio. ☺
Incontriamo padre GianCarlo Brigantini, vescovo di Campobasso, nel suo studio, è accogliente e rilassato come sempre e la prima domanda – pur sapendo che è lì per un’intervista sui temi caldi della mondialità – la fa lui: Che ne pensa dei risultati elettorali? Proponendo poi una sua lettura del voto che riesce senz’altro convincente: “Ci può aiutare la Spe Salvi ad inquadrare quello che è successo a metà aprile in Italia, laddove parla di due peccati contro la speranza: la presunzione e la disperazione. È un po’ il ritratto dei nostri mali: da un lato c’è il Nord con la sua presunzione, con quell’arroccarsi sulle sue sicurezze, sul rifiuto di un benessere condiviso, sulla chiusura allo straniero e l’intendere la sicurezza non come giustizia ma come recinto entro cui isolarsi. Dall’altro c’è la disperazione del Sud, con le mafie, il precariato cronico, il conseguente clientelismo, la disoccupazione. Ecco che allora bisogna tornare a lavorare sulla speranza con tenacia, per dare risposte nuove agli italiani del Nord, che non si sentono più adeguatamente difesi, e a quelli del Sud che non si sentono più accompagnati nella fatica e nella paura quotidiana. E questo ruolo di accompagnamento di una comunità può e deve essere svolto anche dall’associazionismo locale”.
In particolare, Eccellenza, quale ruolo può esso avere nella promozione di nuovi stili di vita che incidano realmente sulle abitudini quotidiane della gente, invertano il trend di consumo, aprano gli occhi sulle emergenze planetarie?
Quello che vedo è la presenza di numerose realtà associative sul territorio, tutte abbastanza qualificate e ricche di un buon bagaglio di esperienze. Il problema di un maggiore coordinamento tra le stesse, tuttavia, è duplice: da un lato bisognerebbe dare più identità e specificità a ciascuna, senza sovrapposizione di ruoli e dispersione di energie; in secondo luogo bisogna creare comunione, che è il frutto dell’identità, così come l’identità è indispensabile ad una comunione sensata e proficua.
Ha qualche suggerimento concreto?
A settembre si terrà una prima giornata di coordinamento fra tutte le realtà associative diocesane per confrontarsi, conoscersi e allearsi. Bisogna procedere insieme su binari condivisi, superando la tentazione di un’ecces- siva autonomia e autosufficienza che qua e là trapela in qualche realtà associativa.
E la politica? Non le sembra che il volontariato spesso si faccia supplente delle mancanze e delle inadempienze delle istituzioni?
La politica agisce sempre di conseguenza agli stimoli con i quali il volontariato la pungola, ma in questo non vedo una contrapposizione bensì una complementarietà fra le due sfere. Il volontariato ha il compito di svegliare, proporre, provocare laddove è necessario. La politica di raccogliere e tradurre in azione, di lasciarsi provocare insomma. Più volontariato c’è, meglio è per la politica.
Nell’associazionismo locale sta crescendo la sensibilità verso l’educazione alla pace, un tema sul quale l’attenzione dell’ex ministro Fioroni è stata mirata e costante, ma come si può fare educazione alla pace oggi, a scuola, senza naufragare in un mare di progetti fini a se stessi, magari portati avanti in un clima di stili relazionali ancora improntati all’autori- tarismo più retrivo?
La logica della pace è non vincere ma convincere, non imporre né tacere ma proporre. Avere questa consapevolezza rende il cammino educativo più difficile e lungo ma è l’unica soluzione per raccogliere frutti duraturi da un’azione di lungo periodo: vale per la scuola, per la famiglia, per ogni ambito sociale.
E don Milani? Come scongiurare il pericolo di contrabbandarlo e invece attingere ancora, e in maniera autentica, alle radici del suo messaggio nella scuola di oggi e nella formazione degli insegnanti, dove è pressoché ignorato?
Don Milani è assai scomodo, sfugge come un’anguilla e non è possibile inquadrarlo o ridurlo a logiche di partito. Io su don Milani sono cresciuto e forse senza di lui oggi non sarei un religioso: l’ho assimilato e assorbito e so, pertanto, che lo si deve leggere in termini globali, non in fretta o superficialmente, senza strapazzarlo o senza estrapolare dal contesto e assolutizzare singole frasi, strumentalizzandole. Non ci si può travestire da don Milani. Il cuore del suo messaggio era cercare un fine, era riparare alla mancanza di speranza e di fine che leggeva nella realtà. E qui torniamo proprio ai nostri mali presenti.
Tornando ai nuovi stili di vita. Nel volume di Maurizio Pallante La decrescita felice, c’è un invito forte ad abbinare la riduzione dei consumi al ritorno all’autoproduzione: più produco da solo, meno compro, meno consumo. L’esempio principe di Pallante riguarda lo yogurt ma le obiezioni più comuni riguardano la possibilità remota, per le donne di oggi, di tener dietro ai biscotti, al pane, nonché allo yogurt stesso. Lei cosa risponderebbe a uno scettico?
Intanto che lo yogurt me lo faccio da dodici anni ed è buonissimo, e che ho un piccolo orto in episcopio! E poi che è possibile davvero invertire gli attuali stili di consumo. Si può! Però bisogna lavorare sulla mentalità della gente, aprirsi a quelle realtà che stanno più avanti di noi nella realizzazione di certe cose, bisogna gemellarsi, visitare, conoscere! I sindaci molisani vadano su in Trentino a guardare coi propri occhi delle esperienze stupende di riciclaggio, di artigianato, di uso intelligente dei rifiuti. Imparino come funziona la cultura cooperativa, così da poter realizzare i loro sogni. L’Alto Adige è la regione con la maggiore percentuale di energia elettrica prodotta da pannelli fotovoltaici. Qui abbiamo tutte le carte in regola per far diventare il Molise la regione più vivibile d’Italia, perché non lo rendiamo il nostro slogan? Bisogna vincere l’apatia, la rassegnazione: sono queste le malattie del Molise, come dell’intero Sud. Lo dicevamo all’inizio. Bisogna lavorare sulla carenza di speranza. Chi spera, e Benedetto XVI lo dice chiaro, vive meglio. ☺
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