Si può forse negare che la scienza sia oggi diventata il più concreto e insieme il più solenne degli idoli? La sua potenza sembra consistere in questo: che l’uomo ha l’illusione di soggiogarla, nel momento stesso in cui ne è soggiogato. La scienza vive con l’uomo, di lui ha bisogno per manifestarsi, proprio come l’uomo ha bisogno della scienza per vincere il proprio limite; la contropartita è però rappresentata dalla inevitabile trasformazione dell’essere umano in un’entità solitaria, volvente, potenzialmente aggressiva, veloce.
E’ triste assistere inermi in questo inizio di millennio al trionfo della modernità, del razionalismo onnipotente, dello strapotere di sofisticate tecnologie. Viviamo in mezzo a chip, bit, cellulari, satelliti, carte di credito, flussi finanziari e, nostro malgrado, bombe intelligenti.
Non si vuole qui certo disconoscere la validità del progresso scientifico, ma è ormai noto ai più come l’attitudine umana alla ricerca, che da sempre ha accompagnato l’umanità, sia di recente non più ispirata esclusivamente al desiderio di conoscere, bensì piegata alla legge del mercato. L’adattamento graduale della persona alle nuove tecnologie è reso inoltre impossibile dall’incalzante ritmo con il quale esse si susseguono, lusingando i potenziali acquirenti. Prigionieri di un ingranaggio sempre più complesso, quanti di noi avvertono il desiderio di fuggire?
Metafora di questa condizione il racconto mitologico del volo di Icaro.
Icaro è prigioniero, insieme al padre Dedalo, del re di Creta Minosse. Dedalo, geniale architetto ateniese, è caduto in disgrazia agli occhi del re da quando Teseo ha ucciso il Minotauro e grazie al filo donatogli da Arianna, è riuscito ad uscire dal labirinto-fortezza che lo stesso Dedalo aveva progettato. Accusato ingiustamente da Minosse di essere il responsabile della fuga di Teseo, Dedalo e il figlio Icaro perdono la libertà. Come evadere? Essendo loro precluse la via del mare e quella di terra non resta per la fuga che la inesplorata e mai tentata via del cielo. Il geniale inventore si pone all’opera e realizza, con penne d’uccelli e cera, delle grandi ali; le adatta poi alle spalle del figlio e alle proprie, quindi prendono il volo. E’ un’alba radiosa quella che spalanca ai due la possibilità della salvezza. Unica accortezza: non osare avvicinarsi al sole, per evitare lo sciogliersi della cera. L’esperienza del volo rivela ai due un’immagine del mondo che solo gli dèi avevano finora conosciuto. Ed Icaro non resiste alla tentazione di sperimentare una dimensione assolutamente nuova. Sopraffatto dall’entusiasmo, Icaro si volge al sole, non misura più i suoi limiti e paga con la morte il desiderio di valicarli.
Riconoscere il limite: questo pare ancora oggi il messaggio racchiuso nella triste vicenda del figlio di Dedalo.
E viene allora da chiedersi: “La sfrenata corsa della scienza e della tecnica che caratterizza il nostro tempo si propone degli obiettivi chiari o assomiglia piuttosto all’impennata sconsiderata di Icaro verso il sole, Icaro ignaro dell’esito tragico che lo farà precipitare in mare? Quanto costa questo incauto allontanarsi da punti di riferimento condivisi per intraprendere egoistici percorsi solitari?”
E’ solo di alcuni decenni fa il grido affidato dal drammaturgo tedesco Bertolt Brecht allo scienziato per eccellenza, Galileo Galilei, il quale rivolgendosi ai suoi colleghi, così li ammoniva: “Che scopo si prefigge il vostro lavoro? Io credo che la scienza possa proporsi altro scopo che quello di alleviare la fatica dell’esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l’uomo. E quando, con l’andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall’umanità. Tra voi e l’umanità può scavarsi un abisso così grande che, un giorno, ad ogni vostro eureka rischierebbe di rispondere un grido di dolore universale…”☺
Si può forse negare che la scienza sia oggi diventata il più concreto e insieme il più solenne degli idoli? La sua potenza sembra consistere in questo: che l’uomo ha l’illusione di soggiogarla, nel momento stesso in cui ne è soggiogato. La scienza vive con l’uomo, di lui ha bisogno per manifestarsi, proprio come l’uomo ha bisogno della scienza per vincere il proprio limite; la contropartita è però rappresentata dalla inevitabile trasformazione dell’essere umano in un’entità solitaria, volvente, potenzialmente aggressiva, veloce.
E’ triste assistere inermi in questo inizio di millennio al trionfo della modernità, del razionalismo onnipotente, dello strapotere di sofisticate tecnologie. Viviamo in mezzo a chip, bit, cellulari, satelliti, carte di credito, flussi finanziari e, nostro malgrado, bombe intelligenti.
Non si vuole qui certo disconoscere la validità del progresso scientifico, ma è ormai noto ai più come l’attitudine umana alla ricerca, che da sempre ha accompagnato l’umanità, sia di recente non più ispirata esclusivamente al desiderio di conoscere, bensì piegata alla legge del mercato. L’adattamento graduale della persona alle nuove tecnologie è reso inoltre impossibile dall’incalzante ritmo con il quale esse si susseguono, lusingando i potenziali acquirenti. Prigionieri di un ingranaggio sempre più complesso, quanti di noi avvertono il desiderio di fuggire?
Metafora di questa condizione il racconto mitologico del volo di Icaro.
Icaro è prigioniero, insieme al padre Dedalo, del re di Creta Minosse. Dedalo, geniale architetto ateniese, è caduto in disgrazia agli occhi del re da quando Teseo ha ucciso il Minotauro e grazie al filo donatogli da Arianna, è riuscito ad uscire dal labirinto-fortezza che lo stesso Dedalo aveva progettato. Accusato ingiustamente da Minosse di essere il responsabile della fuga di Teseo, Dedalo e il figlio Icaro perdono la libertà. Come evadere? Essendo loro precluse la via del mare e quella di terra non resta per la fuga che la inesplorata e mai tentata via del cielo. Il geniale inventore si pone all’opera e realizza, con penne d’uccelli e cera, delle grandi ali; le adatta poi alle spalle del figlio e alle proprie, quindi prendono il volo. E’ un’alba radiosa quella che spalanca ai due la possibilità della salvezza. Unica accortezza: non osare avvicinarsi al sole, per evitare lo sciogliersi della cera. L’esperienza del volo rivela ai due un’immagine del mondo che solo gli dèi avevano finora conosciuto. Ed Icaro non resiste alla tentazione di sperimentare una dimensione assolutamente nuova. Sopraffatto dall’entusiasmo, Icaro si volge al sole, non misura più i suoi limiti e paga con la morte il desiderio di valicarli.
Riconoscere il limite: questo pare ancora oggi il messaggio racchiuso nella triste vicenda del figlio di Dedalo.
E viene allora da chiedersi: “La sfrenata corsa della scienza e della tecnica che caratterizza il nostro tempo si propone degli obiettivi chiari o assomiglia piuttosto all’impennata sconsiderata di Icaro verso il sole, Icaro ignaro dell’esito tragico che lo farà precipitare in mare? Quanto costa questo incauto allontanarsi da punti di riferimento condivisi per intraprendere egoistici percorsi solitari?”
E’ solo di alcuni decenni fa il grido affidato dal drammaturgo tedesco Bertolt Brecht allo scienziato per eccellenza, Galileo Galilei, il quale rivolgendosi ai suoi colleghi, così li ammoniva: “Che scopo si prefigge il vostro lavoro? Io credo che la scienza possa proporsi altro scopo che quello di alleviare la fatica dell’esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l’uomo. E quando, con l’andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall’umanità. Tra voi e l’umanità può scavarsi un abisso così grande che, un giorno, ad ogni vostro eureka rischierebbe di rispondere un grido di dolore universale…”☺
Si può forse negare che la scienza sia oggi diventata il più concreto e insieme il più solenne degli idoli? La sua potenza sembra consistere in questo: che l’uomo ha l’illusione di soggiogarla, nel momento stesso in cui ne è soggiogato. La scienza vive con l’uomo, di lui ha bisogno per manifestarsi, proprio come l’uomo ha bisogno della scienza per vincere il proprio limite; la contropartita è però rappresentata dalla inevitabile trasformazione dell’essere umano in un’entità solitaria, volvente, potenzialmente aggressiva, veloce.
E’ triste assistere inermi in questo inizio di millennio al trionfo della modernità, del razionalismo onnipotente, dello strapotere di sofisticate tecnologie. Viviamo in mezzo a chip, bit, cellulari, satelliti, carte di credito, flussi finanziari e, nostro malgrado, bombe intelligenti.
Non si vuole qui certo disconoscere la validità del progresso scientifico, ma è ormai noto ai più come l’attitudine umana alla ricerca, che da sempre ha accompagnato l’umanità, sia di recente non più ispirata esclusivamente al desiderio di conoscere, bensì piegata alla legge del mercato. L’adattamento graduale della persona alle nuove tecnologie è reso inoltre impossibile dall’incalzante ritmo con il quale esse si susseguono, lusingando i potenziali acquirenti. Prigionieri di un ingranaggio sempre più complesso, quanti di noi avvertono il desiderio di fuggire?
Metafora di questa condizione il racconto mitologico del volo di Icaro.
Icaro è prigioniero, insieme al padre Dedalo, del re di Creta Minosse. Dedalo, geniale architetto ateniese, è caduto in disgrazia agli occhi del re da quando Teseo ha ucciso il Minotauro e grazie al filo donatogli da Arianna, è riuscito ad uscire dal labirinto-fortezza che lo stesso Dedalo aveva progettato. Accusato ingiustamente da Minosse di essere il responsabile della fuga di Teseo, Dedalo e il figlio Icaro perdono la libertà. Come evadere? Essendo loro precluse la via del mare e quella di terra non resta per la fuga che la inesplorata e mai tentata via del cielo. Il geniale inventore si pone all’opera e realizza, con penne d’uccelli e cera, delle grandi ali; le adatta poi alle spalle del figlio e alle proprie, quindi prendono il volo. E’ un’alba radiosa quella che spalanca ai due la possibilità della salvezza. Unica accortezza: non osare avvicinarsi al sole, per evitare lo sciogliersi della cera. L’esperienza del volo rivela ai due un’immagine del mondo che solo gli dèi avevano finora conosciuto. Ed Icaro non resiste alla tentazione di sperimentare una dimensione assolutamente nuova. Sopraffatto dall’entusiasmo, Icaro si volge al sole, non misura più i suoi limiti e paga con la morte il desiderio di valicarli.
Riconoscere il limite: questo pare ancora oggi il messaggio racchiuso nella triste vicenda del figlio di Dedalo.
E viene allora da chiedersi: “La sfrenata corsa della scienza e della tecnica che caratterizza il nostro tempo si propone degli obiettivi chiari o assomiglia piuttosto all’impennata sconsiderata di Icaro verso il sole, Icaro ignaro dell’esito tragico che lo farà precipitare in mare? Quanto costa questo incauto allontanarsi da punti di riferimento condivisi per intraprendere egoistici percorsi solitari?”
E’ solo di alcuni decenni fa il grido affidato dal drammaturgo tedesco Bertolt Brecht allo scienziato per eccellenza, Galileo Galilei, il quale rivolgendosi ai suoi colleghi, così li ammoniva: “Che scopo si prefigge il vostro lavoro? Io credo che la scienza possa proporsi altro scopo che quello di alleviare la fatica dell’esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l’uomo. E quando, con l’andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall’umanità. Tra voi e l’umanità può scavarsi un abisso così grande che, un giorno, ad ogni vostro eureka rischierebbe di rispondere un grido di dolore universale…”☺
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