Fase autoritaria
4 Aprile 2016
laFonteTV (3827 articles)
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Fase autoritaria

Nelle ultime settimane ha fatto la sua comparsa nel linguaggio dei media un’espressione anglofona che però possiede un degno corrispettivo nella lingua italiana. Parliamo di Commander-in-chief [pronuncia: commader-in-cif], termine del gergo militare, ricorrente sia in articoli e servizi giornalistici che in documenti riservati di organi dello Stato. In italiano “Comandante in capo” è la locuzione che definisce adeguatamente questo ruolo: le forze armate di qualsiasi nazione sono guidate da un capo supremo che assomma in sé la responsabilità dell’incarico che riveste e che solitamente coincide con la massima autorità politica di quella nazione.       

Commander-in-chief è nei paesi anglosassoni il sovrano, la longeva Elisabetta II nel Regno Unito, oppure il Presidente negli Stati Uniti d’America, che nel sistema federale detiene il potere esecutivo. Mentre la monarchia britannica soltanto formalmente conserva questo titolo, che è di fatto ormai passato al Primo Ministro e al governo, il Presidente degli USA è a capo delle forze armate per dettato costituzionale (Articolo II della Costituzione Americana).

A mio parere l’uso dell’espressione inglese, come è avvenuto in questi giorni nel nostro paese, oltre che far torto al nostro idioma che contempla la medesima voce in traduzione italiana, fa pensare innanzi tutto ad una studiata mancanza di chiarezza: si usa la parola straniera perché si sta tentando di escludere dalla comprensione buona parte dell’opinione pubblica! Un chiaro esempio di non comunicazione. In secondo luogo essa evoca l’allineamento con una certa politica occidentale, guerrafondaia ed imperialista: ricorrere sempre alla guerra pur di salvaguardare interessi economici e geopolitici, evitando volutamente la mediazione diplomatica.

Ma i venti di guerra sono veramente cessati? Seppur “ufficialmente” stemperate le polemiche e le conseguenti preoccupazioni circa un coinvolgimento militare italiano nella crisi della Libia, anche a seguito del tragico epilogo della vicenda degli operai presi in ostaggio, sembra che il nostro paese stia attraversando una fase autoritaria: chi è il Commander-in-chief? Quali decisioni gli sono riservate? Quale trasparenza emergerà riguardo alle scelte e alle iniziative da intraprendere?

Quando non si vuol tenere conto dell’opinione pubblica, quando ciò che i cittadini pensano viene puntualmente eluso, quando si tenta di impedire anche che si svolgano adeguatamente consultazioni referendarie su temi di interesse generale, quando si persegue il proprio obiettivo senza prestare ascolto ad opinioni differenti ci si comporta come Commander-in-chief!

Al contrario si dovrebbero favorire la discussione ed il confronto aperto tra visioni diverse nei vari campi; lasciare spazio ad opinioni non sempre favorevoli e accettare critiche; si dovrebbe smettere di pensare che i cittadini organizzati diano fastidio e che le procedure democratiche siano un ostacolo piuttosto che un’opportunità per il perseguimento degli obiettivi.

Commander-in-chief: una strada pericolosa quella del decisionismo e della scarsa considerazione del parere altrui! E ancora l’espressione anglofona indica una posizione di responsabilità che sottintende un potere individuale, non condiviso!

Altro invece è quello che suggerisce leader, vocabolo appartenente al medesimo campo semantico: guida, trascinatore, punto di riferimento; l’idea che viene trasmessa da questo secondo termine è quella di chi riceve un riconoscimento dal basso, che è quindi espressione della scelta consapevole di un gruppo che chiede di essere rappresentato. Lasciare esprimere donne e uomini è vero esercizio democratico ed è sempre tempo di ricordare la lezione del passato. Hannah Arendt, negli anni bui del secolo scorso sosteneva che “la democrazia senza partecipazione non conta niente“.☺

 

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