Fede e rivoluzione
5 Ottobre 2020
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Fede e rivoluzione

Nel mese di settembre 2013, – e mi fanno ancora questa domanda – la fonte ha pubblicato il mio primo contributo che aveva come tema l’11 settembre 1973 in Cile. Sono passati sette anni ed ancora cerco di trovare ogni mese un tema da trattare e da spedire al direttore del giornale. Nel corso di questi anni molti miei amici, sopratutto in Germania, mi hanno chiesto come mai pubblicavo articoli su un giornale diretto da un prete. Quelli che mi facevano questa domanda mi conoscono come “diversamente credente”, e trovavano la mia entrata nella famiglia de la fonte un po` strana.  La prima volta che qualcuno mi ha fatto la domanda non sapevo come rispondere, e devo dire che provo vergogna per questa mia mancanza di parole chiare. La verità è che avevo capito, da molto tempo, la necessità di collaborazione fra credenti e non credenti come base per la costruzione di una società più umana e di un mondo migliore.

Quello che mi è servito come lezione in questo senso è stata la mia visita in Nicaragua nel 1980. Durante i tre mesi di visita in quel paese centroamericano ogni settimana scrivevo un articolo per il giornale della Gioventù Libre Tedesca, l’organizzazione dei giovani comunisti della DDR, per spiegare ai lettori di quel giornale la realtà di un paese che, sei mesi prima della mia visita, aveva realizzato una rivoluzione, ponendo fine alla dittatura di Somoza.

Oggi, quaranta anni dopo, vi voglio riproporre quello che ho scritto il terzo giorno del mio soggiorno in Nicaragua, perche quella esperienza ha rappresentato, per me, la base per la mia attuale inclusione nella famiglia de la fonte.

Managua, 25 marzo 1980

Oggi, la chiesa del Nicaragua ed il Fronte Sandinista di Liberazione stanno organizzando una grande messa di campo, in memoria dell’arcivescovo del Salvador, Oscar Arnulfo Romero, assassinato ieri nel suo paese.

Assistendo a questa messa imparo una cosa importante che questo popolo mi insegna: la rivoluzione e la religione non si escludono a vicenda. Tutto il contrario: sono due cose che la gente riunita in questa piazza non può separare.

In questa messa sono presenti tutti i membri della Giunta di Governo e moltissimi componenti della direzione nazionale del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale. Dappertutto si vedono le bandiere rosso-nere del movimento, e migliaia di manifesti e lienzi (tele) proclamano, con la pittura ancora freschissima, la convinzione della massa umana riunita in questa piazza: se il Nicaragua ha saputo vincere, anche El Salvador vincerà!

Gli altoparlanti trasmettono musica popolare: chitarre, fisarmoniche, tamburi. Capisco anche il testo cantato, un testo che parla di un Gesù Cristo che, nel parco centrale di Managua, pulisce le scarpe dei passanti, un Gesù Cristo che, davanti alla cucina per i poveri, aspetta in coda un piatto gratuito. La canzone parla di un Cristo operaio, di un Cristo ribelle che lotta contro “la Roma imperialista”.

Pedro, il mio anfitrione, mi spiega che si tratta della “messa contadina nicaraguense” di Carlos Mejia Godoy. E non solo questa composizione è “laico-rivoluzionaria”, lo è anche questa cerimonia in piazza. La messa è celebrata dall’arcivescovo di Managua, ed alla Santa Cena partecipano molti uomini e donne in divisa verde oliva, ex-comandanti partigiani, rappresentanti del Fronte Sandinista. E subito dopo, quando comincia a parlare uno dei comandantes della rivoluzione, parecchi fra i preti presenti sulla tribuna, si tolgono gli abiti ecclesiastici e partecipano, “in borghese”, al mee- ting politico che segue alla messa. No, non è cosi, non è che un evento segue l’altro, qua c’è una mescolanza fra messa e meeting, fra religione e rivoluzione.

Nelle giornate che seguono incontro molti attivisti del Fronte Sandinista che sabato pomeriggio partecipano a un incontro di formazione politica e vanno, la domenica mattina, a messa. E finalmente posso fare una intervista al poeta e ministro della cultura, Ernesto Cardenal e gli chiedo se lui, come prete, non ha mai sentito un conflitto di coscienza, sostenendo un movimento che aveva lottato con le armi. La sua risposta: “Fonda- mentalmente sono pacifista. Credo che ogni vero rivoluzionario preferirebbe poter realizzare i suoi ideali per via pacifica. Ma la crudeltà di Somoza, l’ingiustizia, l’oppressione nel nostro paese mi hanno convinto del fatto che per il nostro popolo c’era una sola via, la via della  rivoluzione”.

Come vedete, cari lettori, già quaranta anni fa, in Nicaragua, avevo capito che, sulla terra, dobbiamo collaborare, indipendentemente da come vediamo quello che sarà di noi dopo la morte. Avevo trovato questa verità grazie ai preti che sostenevano la “teologia della liberazione”.  Solo che, nei decenni che hanno seguito la mia visita in Nicaragua, e prima di venire a Bonefro, non mi ero mossa per trovarli anche in Europa.☺

 

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