Longano e il Molise
6 Settembre 2015 Share

Longano e il Molise

“Si è purtroppo schiavi delle istituzioni per poter essere liberi (…) ma (…) quando queste istituzioni sono bacate ab imis, allora bisogna correre subito ai rimedi prima che il male divori e distrugga tutto l’ organismo” (Francesco D’Episcopo). Un abate, un linguista, uno scrittore, un critico letterario: quattro personalità, quattro epoche storiche, riproposte da Francesco D’Episcopo nel saggio Al mio Molise nel nome di Francesco, edizioni Delta 3, pubblicato in occasione del cinquantesimo anniversario dell’autonomia regionale.

Ad accomunare i quattro sono il nome di battesimo, l’appartenenza geografica al Sannio e una convinta passione civile perché questa terra ritrovi la “consapevolezza dignitosa della propria storia e delle proprie forze”, come auspicò nel 1911 Francesco D’Ovidio durante la celebrazione del primo centenario della Provincia di Molise.

Per tutti la terra natìa costituisce termine di confronto e campo d’indagine. Dal secolo dei Lumi torna a noi il pensiero di Francesco Longano; l’Ottocento con la raggiunta unità nazionale anima lo slancio di Francesco D’Ovidio; il Novecento e il riscatto dei contadini meridionali  approdano nella narrativa di Francesco Jovine. Il XXI secolo e il coraggio di chi, come Francesco D’ Episcopo, non ha abdicato alla funzione di interrogare le voci di coloro che in passato, pur non avendo potuto riformare il mondo, hanno avuto sul mondo più potere di quanto non immaginassero.

È il 1752 quando Francesco Longano di Ripalimosani si trasferisce a Napoli e qui, insieme ad altri giovani provenienti dalle Calabrie, dalla Puglia e dagli Abruzzi, inizia la frequentazione della Scuola di Antonio Genovesi, respirando quell’atmosfera illuminista che Carlo di Borbone non ostacolò, dopo aver costituito in Stato autonomo il regno meridionale sottratto agli Austriaci. Idee dominanti che animavano il calore degli argomenti dei circoli illuministici napoletani erano che l’economia di un popolo dovesse essere considerata nel panorama più vasto delle riforme politiche e sociali e che fosse necessario eliminare i  privilegi dei baroni.

Il Viaggio per lo Contado di Molise compiuto dall’Abate nell’ottobre del 1786 prova che le idee possono calarsi nell’ organismo di una società e migliorarla. Il Molise del Settecento nelle diagnosi e cure di Francesco Longano è, nel saggio di F. D’Episcopo, il titolo del capitolo riservato alla spinta ideale, prima che culturale, che mosse l’Abate a lasciare testimonianza di un’epoca: l’ illuminista “non si arresta ad una ‘descrizione’ fine a se stessa, ma, nel corso d’opera, esprime pareri e, alla fine, suggerisce rimedi urgenti e concreti”. Perché conoscere concretamente, secondo l’Abate di Ripalimosani, equivale ad una critica severa della coeva realtà molisana. Non disgiunta dall’affetto sincero nei confronti di un territorio ritratto come “un cuore umano”, percorso da “convulsioni” geologiche, bisognoso di essere osservato con scrupolosa attenzione e rigore. Rileva quindi Francesco Longano, e denuncia il grado di profonda ignoranza dei contadini, incapaci di riconoscere le peculiarità dei vari terreni, di impiantarvi colture appropriate, di adoperare adeguate tecniche seminative. Nessuno sconto all’inefficienza delle amministrazioni locali, alla mancanza di strade, di comunicazioni, all’assenza di carte geografiche utilizzabili. Il giudizio diviene impietoso quando a proposito delle classi dominanti così si esprime: “amministratori, e privileggiati, e prepotenti [che] non solamente non pagano cos’alcuna di quanto posseggono essi, ma anche saccheggiano”.

Bene ha fatto il critico letterario a restituire voce a chi ha creduto alla perfettibilità della sua epoca e alla possibilità di prospettive di sviluppo economiche e culturali per un Meridione troppo a lungo trascurato. “Sono davvero tanti i suggerimenti che egli elabora e rivolge, con animo apparentemente sereno, in realtà con rabbia e amore, a un Contado, che sente particolarmente proprio perché vi è nato e che mostra soprattutto di conoscere nei suoi antri più remoti (…). A rileggere oggi la sua testimonianza, eloquente, essenziale (…) senza fronzoli ed orpelli, si resta sorpresi, sconvolti, sedotti dalla verità delle sue diagnosi e dalla validità delle sue proposte di cura, di sconcertante attualità”. (Francesco D’Episcopo)

Perché si possa passare dal messaggio lungimirante di Francesco Longano a una pratica diffusa che veda impegnate istituzioni e popolazione nella risoluzione di problemi non più rinviabili, manca ancora in molti, purtroppo, la chiara consapevolezza dello stato di necessità. A prevalere è l’illusione che la giostra possa continuare a girare. ☺

 

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