Fedeltà creativa
29 Agosto 2017
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Fedeltà creativa

Nella sua autobiografia, Bernard Haring, redentorista e “perito” al Concilio Vaticano II, scelto personalmente da Giovanni XXIII, dichiarava: “Ciò che determinò una svolta nel mio pensiero sulla teologia morale fu l’obbedienza stupida e criminale di tanti cristiani nei confronti della tirannide e delle malvagità inaudite del nazismo. Fu questo a portarmi alla convinzione che il carattere di un cristiano non deve essere formato unilateralmente dal leitmotiv dell’obbedienza, ma piuttosto dalla responsabilità che sa discernere, dalla capacità di rispondere coraggiosamente alle percezioni di nuovi valori e di nuovi bisogni e dalla disponibilità ad assumere il rischio”. L’uomo, per non perdersi nel fenomeno guerra, ha bisogno di superare e vincere individualmente una sua guerra personale nell’interno della propria coscienza, mediante un continuo e fattivo anelito di amore attivo. Il disastro della guerra mette sempre a nudo le false impostazioni e le sicurezze di autosufficienza chiusa e sterile. “Il contatto con le persone, vittime innocenti delle barbarie inaudite, spingeranno verso il midollo della rivelazione biblica: la pace che risana e che bisogna costruire, per essere chiamati figli di Dio”.

Il Concilio Vaticano II

Mettendo mano alla formazione teologica dei presbiteri affermava: “Con particolare diligenza si curi la formazione degli alunni con lo studio della sacra Scrittura, che deve essere come l’anima di tutta la teologia… imparino a cercare la soluzione dei problemi umani alla luce della rivelazione, ad applicare queste verità eterne alle mutevoli condizioni di questo mondo e comunicarle in modo appropriato agli uomini contemporanei… Si ponga speciale cura nel perfezionare la teologia morale, in modo che la sua esposizione scientifica, più nutrita della dottrina della sacra Scrittura, illustri la grandezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo” (O.T. n. 16). Il Concilio indicava un percorso nuovo da assumere: staccarsi da quel modo tradizionale di utilizzare la Scrittura come fonte secondaria a conferma dell’argomentazione teologico-morale svolta autonomamente, senza farla partire direttamente dalla Rivelazione. Si trattava di chiedersi non più solo “che devo fare”, ma piuttosto “che cosa devo essere. Quale persona devo divenire secondo il disegno di Dio?” In altre parole, spostarsi dalla pura parenesi (ammonizione) verso le dinamiche relazionali della libertà e della fedeltà creativa, liberandosi da un caos di migliaia di “devi fare/non devi fare”. Ridare valore alla coscienza del credente che, illuminato dalla Parola, cerca la risposta autentica e possibile all’amore di Dio che lo interpella. Ciò comportava anche denunzia dell’usanza “infelice” di ricorrere alla Scrittura soltanto dopo aver costruito il proprio sistema, per dare autorevolezza divina alle norme.

Vita e luce dalla Scrittura

L’uso illuminativo della rivelazione biblica, che papa Francesco offre nell’Amoris Laetizia, gli inserimenti generosi di testi altamente ispirativi che entrano nell’ argomentazione come presenze, consegnati al lettore come fonte per lo sviluppo autonomo da prodursi in maniera che si senta interpellato ad una via di vita e di speranza, ha messo in agitazione e palese contestazione alcuni esponenti e gruppi di pensiero della chiesa cattolica. Francesco è quasi assillato – nel senso positivo della parola – dal pensiero di ricondurre la “disciplina cristiana” alle sue radici spirituali, nutrite di ascolto e preghiera, aperte alla vita rinnovata possibile, al bene che in ogni situazione si configura come “frutto nella carità per la vita del mondo”. Far risuonare la Parola di Dio nello spazio, rigorosamente argomentativa, trasfigurare la “pura” scienza (anche morale) o la tradizione istituzionalizzata, in una nuova liturgia vitale, dove la Parola esercita il suo fascino e la sua forza, sine glossa perché risuona quale annunzio della potenza trasformatrice dello Spirito di Dio (paraklesi). Un tipo di conoscenza della Parola (esegesi) e accoglienza “esperienziale”, provocata dal biblico peirasmós, (prova-tentazione reale). Si svuota di potere tutta l’impalcatura non autosufficiente della sola “scienza” (e di ogni sistema simile, anche teologica), mentre ciò che deve rimanere è soprattutto l’appello della verità profonda della vita alla quale Dio misericordioso offre uno spazio nuovo, autentico e possibile.

È un’esegesi di misericordia, che non solo mette a fuoco ogni ministero in termini di benignità, pastorale e dottrinale, ma spalanca lo sguardo verso un ecumenismo deciso e verso un dialogo interumano più profondo.

Il ritorno alla visione biblica può rigenerare e mettere in moto energie di libertà e di fedeltà creativa nel mondo di oggi; una fedeltà creativa per accogliere, accompagnare, includere e animare non per escludere. La nostra poca familiarità con la Scrittura, l’uso moralistico a cui spesso viene ridotta, ne spegne la vitalità dell’annuncio e ne mortifica la potenzialità rigenerante che essa contiene, perché manifesta quell’agire risanante e salvifico “impossibile agli uomini ma possibile a Dio”.☺

 

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