
Fenomeni estremi e clima
Le bombe d’acqua, impropriamente dette, abbattutesi quest’estate, in più di un’occasione in varie località della Penisola e in particolare quelle che hanno riguardato, in un primo momento, la città di Palermo e qualche giorno dopo Milano e parte del circondario, compresa un’ampia fetta della fascia costiera molisana durante la prima settimana di Agosto, ripropongono l’urgenza del come affrontare tale problematica e tutto quanto ne consegue. È, infatti, ormai acclarato che le più avanzate applicazioni tecnologiche disponibili, unitamente allo sviluppo e affinamento delle tradizionali conoscenze scientifiche, consentono ,al momento quantomeno, di mitigare i più dirompenti effetti negativi che fenomeni di tal genere possono causare sulle persone e sulle cose nei luoghi interessati.
In tutti gli eventi osservati e svoltisi con le modalità tipologiche descritte, si è potuto costantemente notare che i quantitativi d’acqua riversatisi sul terreno, in una manciata di minuti, responsabili dei danni provocati alle genti e ai beni incontrati lungo il percorso, sono risultati pari a quanto normalmente precipita al suolo nell’arco temporale di dieci-dodici mesi. Situazioni di tal genere stravolgono radicalmente la normale distribuzione dei quantitativi idrici, costituenti le varie fasi del ciclo idrologico, quelli, cioè, in linea con il clima, le stagioni e la geomorfologia dei luoghi.
Ovunque, infatti, lo stabile, ripetitivo ed equilibrato svolgersi del ciclo che l’acqua segue e subisce non può che essere costantemente in linea sia con il clima e le stagioni che con tutti gli altri fattori fisici coinvolti, quali la permeabilità del substrato roccioso, la pendenza dei versanti e la maggiore o minore presenza di vegetazione, compresa l’intensità della sua evapotraspirazione. Ad alterare perciò il naturale cammino delle acque fluenti può concorrere anche la semplice sottrazione di spazi superficiali e/o sotterranei, spesso i soli capaci di fornire il naturale libero sfogo a quantità idriche impossibilitate a defluire in tempi particolarmente ristretti.
È perciò quanto mai importante contrastare con decisione tutte quelle azioni tendenti ad alterare le basi su cui la natura fonda i suoi tradizionali equilibri. Azioni riconducibili tanto all’eccessiva impermeabilizzazione dei suoli e/o alla sottrazione di ampie fasce di vegetazione in ambito urbano, quanto all’occupazione da parte dell’uomo e/o delle sue attività di aree di stretta, risaputa pertinenza dei corsi d’acqua, vanno con forza contrastate, limitandone, quantomeno, l’efficacia.
Il nubifragio che ha colpito Milano, nelle prime ore del mattino del 24 luglio scorso, ha riguardato, in particolare, la zona nord della città, quella al di sotto della quale il fiume Seveso entra e. completamente tombinato, percorre un lungo tratto del sistema fognario disponibile. Inevitabilmente, in occasione di forti precipitazioni, nel punto in cui il fiume viene forzatamente intubato i quantitativi di acqua piovana che raggiungono il suolo, trovando la rete fognaria satura dell’acqua già incanalata, tendono inevitabilmente a rigurgitare. Da qui i tombini che saltano e il conseguente allagamento di strade, cantine, sottopassi e tutto quanto trovasi nei punti più depressi dell’area urbanizzata e non solo. Scene non molto diverse, e per pressoché simili motivi, si erano presentate alla vista, appena una settimana prima, nella città di Palermo.
Di fronte a tanta evidenza, pur nell’indubbia consapevolezza che le ragioni alla base di tali fenomeni estremi siano diretta conseguenza dei cambiamenti climatici in atto, è inevitabile tenere nella giusta considerazione sia i fattori locali, direttamente responsabili dei fenomeni descritti, che quelli operanti in genere su più ampie fasce di territori. Non è, perciò, più rinviabile alcuna iniziativa tesa a far sì che i comuni cittadini, e soprattutto i decisori politici, acquisiscano la piena consapevolezza di considerare un qualunque corso d’acqua, indipendentemente dalle sue dimensioni e dalla sua storia evolutiva, non irreggimentabile entro i confini artificiosi che le sole esigenze antropiche possono dettare.
È quanto mai inderogabile dotare i territori, specie quelli a più elevato rischio inondazione, soprattutto se densamente antropizzati, di strutture fisiche in grado di contrastare i disequilibri intervenuti, come bacini di espansione e raccolta delle acque di precipitazione. È, altresì, necessario agire in linea preventiva contro l’eccessiva impermeabilizzazione dei suoli, le forzate canalizzazioni e/o tombinature o l’asportazione di difese spondali da parte di apparati vegetazionali di particolare importanza.
L’aggiunta, infine, di moderni dispositivi di pubblico allertamento, basati su un’avanzata rete di rilevamento, capace di trattare, in tempo reale, numeri consistenti di dati sensibili, localmente circoscritti, quali l’intensità delle precipitazioni nel tempo e i relativi livelli misurabili in superficie, renderà finalmente possibile prevedere il verificarsi dei tanti, potenzialmente, pericolosi fenomeni naturali di pubblico interesse, anche a noi vicini, in modo sempre più puntuale e tempestivo.☺