Fragili come il vento
6 Maggio 2025
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Fragili come il vento

«Non andai sulla luna, molto più lontano andai… perché è il tempo la linea più lunga tra due punti». Racchiuso nella battuta conclusiva dell’operetta Lo zoo di vetro di Tennessee Williams (trad. it. di G. Guerrieri, Torino, Einaudi, 1963), questo piccolo frammento di saggezza continua a risuonare nei nostri teatri. In particolare in queste settimane, grazie alla nuova messinscena per la regia di Pier Luigi Pizzi e l’interpretazione di Gabriele Anagni (Tom), Elisabetta Mirra (Laura), Mariangela D’Abbraccio (Amanda, loro madre) e Pavel Zelinskiy (Jim, un amico di Tom).
Il delicatissimo dramma, il cui titolo originale è The Glass Menagerie, ebbe la sua prima rappresentazione a Chicago nel 1944, ma era tratto in realtà da un precedente racconto di Tennessee Williams, scritto nel 1934 e intitolato Ritratto di una ragazza di vetro. Se al centro della storia vi sono gli animaletti di vetro che Laura, la giovane protagonista, colleziona con tanta cura, il tema è infatti la sua fragilità: affetta da una leggera zoppia, a causa di una malattia d’infanzia che l’ha lasciata con una gamba più corta dell’altra e chiusa in un apparecchio ortopedico, la ragazza si ritrova esposta – non meno delle sue figurine di vetro – agli urti di un’umanità egoista, superficiale e per questo, in ultima analisi, violenta. Tale si manifesta Jim che, in apparenza premuroso nei confronti di quella ragazzina ‘di vetro’, sull’onda del proprio narcisismo si spinge fino a darle un bacio, per poi immediatamente abbandonarla al suo sconvolgimento, dichiarandosi già impegnato.
Non meno fragile è Tom, il fratello di Laura, un ragazzo sensibile e dall’indole poetica. Soffocato dalla pesante atmosfera di casa e dal frustrante lavoro in un magazzino, viene licenziato per aver rovinato una scatola di scarpe scrivendoci sopra dei versi. Decide così di fuggire e porre fra sé e quella vita la distanza maggiore possibile… appunto la distesa di tempo costituita da un viaggio di anni. È dunque Tom, facendosi così anche lui un po’ egoista nei riguardi del malinconico isolamento della sorella e delle insoddisfazioni e difficoltà della madre, a pronunciare quell’ultima sconsolata battuta: interporre fra sé e un nodo della propria vita un certo numero di chilometri, ma soprattutto di mesi e anni, è il modo migliore per tentare di dimenticarne lo squallore. Una soluzione migliore che andare sulla Luna – o, come diremmo nell’era dei deliri di Elon Musk, su Marte.
Ma il fascino di questo breve dramma non è solo nella riflessione sul tempo «grande scultore», per riprendere il titolo di una celebre raccolta di saggi di Marguerite Yourcenar. La protagonista è infatti il simbolo di tutte quelle persone che, deboli o ferite, vengono ogni giorno travolte dalla violenza della storia: dalle stragi delle guerre in corso e dai naufragi determinati dalla costrizione a migrare, agli atti di bullismo e ai femminicidi. E come nella profonda storia ideata da Tennessee Williams, su questi ‘vinti’ si richiudono le acque dei giorni e nuovi ‘fatti’ o ‘casi’ subito incalzano i precedenti, senza che nulla possa ricomporre, e meno che mai risarcire, le loro vite in frantumi. ☺

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