La campanella che segna l’inizio di un nuovo anno scolastico sta per suonare. Per augurare buon lavoro a tutti gli studenti che si accingono ad affrontare una nuova avventura, agli insegnanti che troveranno una realtà più deformata che riformata dagli ennesimi recenti disegni di legge, e ai genitori che, con un ruolo e una responsabilità diversi, opereranno a supporto della formazione scolastica dei loro ragazzi, mi è sembrato che il modo migliore fosse quello di raccogliere alcuni dei frammenti di saggezza racchiusi in un bellissimo librino di Jean Guitton: Il lavoro intellettuale. Consigli a coloro che studiano e lavorano (Edizioni San Paolo, 1987).
Dopo la prigionia per quattro anni nelle mani dei Tedeschi durante la Seconda guerra mondiale, Guitton (1901-1999) divenne titolare della cattedra di Storia della filosofia alla Sorbona di Parigi, abbracciando un grande arco di interessi, da Sant’Agostino ad Heidegger, e pubblicando studi di grande valore sul cattolicesimo nel mondo moderno. Henri Bergson lo ha riconosciuto come suo erede spirituale e Albert Camus lo ha definito “l’ultimo dei grandi umanisti francesi” per la sua maniera affascinante di fare filosofia, che diventa in lui quasi conversazione.
Il breve saggio Il lavoro intellettuale, secondo quanto premesso dallo stesso Guitton, nasce “da un profondo senso di amicizia per gli studenti” e si prefigge lo scopo di aiutarli nelle loro attività. Ma si rivolge anche a quelli per i quali a settembre non suonerà la campanella, insomma “a tutti coloro che, pur nel caos della vita moderna, non hanno rinunciato a leggere, a scrivere, a pensare”. In altre parole, insegna come lavorare: ad esempio osservando con che stile procedono i maestri; o trovando, in qualsiasi contesto, una ragione per cui applicarsi; persino facendo fruttare il riposo e lo svago. Non si tratta dei soliti consigli ispirati al buon senso: partendo dal presupposto che “il più insopportabile dei pesi, per l’anima, è di non sapere cosa si debba fare”, Guitton raccoglie in particolare una serie di suggerimenti pratici su come realizzare un tema – ma che in realtà risultano applicabili ad ogni esercizio di scrittura, anche al di fuori del contesto scolastico. Si va così dalla preparazione del lavoro, alla prima stesura di un’idea generale – quando “interviene qualcosa come un soffio, che va a raccogliere granelli di polvere, come una calamita che orienta la limatura, come un braccio teso che indica la direzione”. E ancora, dall’organizzazione del materiale raccolto, grazie al sapiente uso delle schede, alla cura per la scrittura e lo stile, perché, se “cercare la composizione significa avvicinarsi alla verità”, “esprimersi significa avvicinarsi alla bellezza”. Un interessante capitolo è dedicato al lavoro intellettuale di chi è ammalato, e, in generale, colpisce il gran numero di riflessioni sulla “notte dello spirito” (in tutte le attività si ritrovano momenti di depressione e di sofferenza) o sull’importanza di accettare i propri limiti (“il limite dà la forma, che è una condizione della pienezza”). Ma il più valido di tutti i princìpi rimane a mio avviso quello ripreso dall’Ecclesiaste: “essere lieto nel proprio lavoro, far gioire la propria anima in mezzo al lavoro”.
La campanella che segna l’inizio di un nuovo anno scolastico sta per suonare. Per augurare buon lavoro a tutti gli studenti che si accingono ad affrontare una nuova avventura, agli insegnanti che troveranno una realtà più deformata che riformata dagli ennesimi recenti disegni di legge, e ai genitori che, con un ruolo e una responsabilità diversi, opereranno a supporto della formazione scolastica dei loro ragazzi, mi è sembrato che il modo migliore fosse quello di raccogliere alcuni dei frammenti di saggezza racchiusi in un bellissimo librino di Jean Guitton: Il lavoro intellettuale. Consigli a coloro che studiano e lavorano (Edizioni San Paolo, 1987).
Dopo la prigionia per quattro anni nelle mani dei Tedeschi durante la Seconda guerra mondiale, Guitton (1901-1999) divenne titolare della cattedra di Storia della filosofia alla Sorbona di Parigi, abbracciando un grande arco di interessi, da Sant’Agostino ad Heidegger, e pubblicando studi di grande valore sul cattolicesimo nel mondo moderno. Henri Bergson lo ha riconosciuto come suo erede spirituale e Albert Camus lo ha definito “l’ultimo dei grandi umanisti francesi” per la sua maniera affascinante di fare filosofia, che diventa in lui quasi conversazione.
Il breve saggio Il lavoro intellettuale, secondo quanto premesso dallo stesso Guitton, nasce “da un profondo senso di amicizia per gli studenti” e si prefigge lo scopo di aiutarli nelle loro attività. Ma si rivolge anche a quelli per i quali a settembre non suonerà la campanella, insomma “a tutti coloro che, pur nel caos della vita moderna, non hanno rinunciato a leggere, a scrivere, a pensare”. In altre parole, insegna come lavorare: ad esempio osservando con che stile procedono i maestri; o trovando, in qualsiasi contesto, una ragione per cui applicarsi; persino facendo fruttare il riposo e lo svago. Non si tratta dei soliti consigli ispirati al buon senso: partendo dal presupposto che “il più insopportabile dei pesi, per l’anima, è di non sapere cosa si debba fare”, Guitton raccoglie in particolare una serie di suggerimenti pratici su come realizzare un tema – ma che in realtà risultano applicabili ad ogni esercizio di scrittura, anche al di fuori del contesto scolastico. Si va così dalla preparazione del lavoro, alla prima stesura di un’idea generale – quando “interviene qualcosa come un soffio, che va a raccogliere granelli di polvere, come una calamita che orienta la limatura, come un braccio teso che indica la direzione”. E ancora, dall’organizzazione del materiale raccolto, grazie al sapiente uso delle schede, alla cura per la scrittura e lo stile, perché, se “cercare la composizione significa avvicinarsi alla verità”, “esprimersi significa avvicinarsi alla bellezza”. Un interessante capitolo è dedicato al lavoro intellettuale di chi è ammalato, e, in generale, colpisce il gran numero di riflessioni sulla “notte dello spirito” (in tutte le attività si ritrovano momenti di depressione e di sofferenza) o sull’importanza di accettare i propri limiti (“il limite dà la forma, che è una condizione della pienezza”). Ma il più valido di tutti i princìpi rimane a mio avviso quello ripreso dall’Ecclesiaste: “essere lieto nel proprio lavoro, far gioire la propria anima in mezzo al lavoro”.
La campanella che segna l'inizio di un nuovo anno scolastico sta per suonare.
La campanella che segna l’inizio di un nuovo anno scolastico sta per suonare. Per augurare buon lavoro a tutti gli studenti che si accingono ad affrontare una nuova avventura, agli insegnanti che troveranno una realtà più deformata che riformata dagli ennesimi recenti disegni di legge, e ai genitori che, con un ruolo e una responsabilità diversi, opereranno a supporto della formazione scolastica dei loro ragazzi, mi è sembrato che il modo migliore fosse quello di raccogliere alcuni dei frammenti di saggezza racchiusi in un bellissimo librino di Jean Guitton: Il lavoro intellettuale. Consigli a coloro che studiano e lavorano (Edizioni San Paolo, 1987).
Dopo la prigionia per quattro anni nelle mani dei Tedeschi durante la Seconda guerra mondiale, Guitton (1901-1999) divenne titolare della cattedra di Storia della filosofia alla Sorbona di Parigi, abbracciando un grande arco di interessi, da Sant’Agostino ad Heidegger, e pubblicando studi di grande valore sul cattolicesimo nel mondo moderno. Henri Bergson lo ha riconosciuto come suo erede spirituale e Albert Camus lo ha definito “l’ultimo dei grandi umanisti francesi” per la sua maniera affascinante di fare filosofia, che diventa in lui quasi conversazione.
Il breve saggio Il lavoro intellettuale, secondo quanto premesso dallo stesso Guitton, nasce “da un profondo senso di amicizia per gli studenti” e si prefigge lo scopo di aiutarli nelle loro attività. Ma si rivolge anche a quelli per i quali a settembre non suonerà la campanella, insomma “a tutti coloro che, pur nel caos della vita moderna, non hanno rinunciato a leggere, a scrivere, a pensare”. In altre parole, insegna come lavorare: ad esempio osservando con che stile procedono i maestri; o trovando, in qualsiasi contesto, una ragione per cui applicarsi; persino facendo fruttare il riposo e lo svago. Non si tratta dei soliti consigli ispirati al buon senso: partendo dal presupposto che “il più insopportabile dei pesi, per l’anima, è di non sapere cosa si debba fare”, Guitton raccoglie in particolare una serie di suggerimenti pratici su come realizzare un tema – ma che in realtà risultano applicabili ad ogni esercizio di scrittura, anche al di fuori del contesto scolastico. Si va così dalla preparazione del lavoro, alla prima stesura di un’idea generale – quando “interviene qualcosa come un soffio, che va a raccogliere granelli di polvere, come una calamita che orienta la limatura, come un braccio teso che indica la direzione”. E ancora, dall’organizzazione del materiale raccolto, grazie al sapiente uso delle schede, alla cura per la scrittura e lo stile, perché, se “cercare la composizione significa avvicinarsi alla verità”, “esprimersi significa avvicinarsi alla bellezza”. Un interessante capitolo è dedicato al lavoro intellettuale di chi è ammalato, e, in generale, colpisce il gran numero di riflessioni sulla “notte dello spirito” (in tutte le attività si ritrovano momenti di depressione e di sofferenza) o sull’importanza di accettare i propri limiti (“il limite dà la forma, che è una condizione della pienezza”). Ma il più valido di tutti i princìpi rimane a mio avviso quello ripreso dall’Ecclesiaste: “essere lieto nel proprio lavoro, far gioire la propria anima in mezzo al lavoro”.
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