Una storia d’amore ritrovata
14 Febbraio 2018
laFonteTV (3191 articles)
Share

Una storia d’amore ritrovata

Era l’autunno del 1939, quando, in fuga dal regime nazista e dalla guerra appena scoppiata, giunse a Sovere, un paesino in provincia di Bergamo, Franziska, una donna tedesca. Portava con sé tre valigie: in una c’erano pochi vestiti e della biancheria, le altre due erano piene di libri, con cui la giovane trascorreva la giornata, chiusa in una stanza presa in affitto da una signora del posto. Nelle valli bergamasche risiedevano in quegli anni decine e decine di ebrei stranieri, inviati al confino dalle autorità fasciste dopo l’emanazione, nel 1938, delle leggi razziali (di cui ricorre, quest’anno, l’ottantesimo dalla promulgazione durante il fascismo). Ma Franziska non era ebrea. Lo era invece il suo fidanzato Charles, di cui Franziska aveva deciso di condividere la sorte, lasciando prima Monaco, dove vivevano, poi Zurigo, dove si erano rifugiati. L’impossibilità di fornire motivi validi per la sua permanenza in Svizzera la costrinse tuttavia alla separazione da Charles e a una nuova fuga nell’unico paese che, in quanto alleato della Germania, le avrebbe concesso l’ingresso: l’Italia. Il fidanzato, nel frattempo, si era rifugiato negli Stati Uniti, da dove le inviava regolarmente soldi e dischi, sui quali non era incisa musica, ma la voce dello stesso Charles, che, per sfuggire alla censura, leggeva, anziché scrivere, lettere alla sua fidanzata. Nonostante l’oceano a separarli e la bufera a imperversare intorno a loro, Charles e Franziska si ritrovarono nel 1948, si sposarono in Germania e l’anno dopo si trasferirono negli Stati Uniti, dove ricominciarono una nuova vita a Tucson, in Arizona.

La loro vicenda si può leggere nel libro, pubblicato lo scorso novembre, Acheronta movebo, di Pierluigi Lanfranchi, che, nato a Sovere nel 1973, vive ad Amsterdam e insegna Letteratura greca presso l’Università di Aix-Marseille in Francia. La “signora del posto”, che nel 1939 ospitò Fraülein Francesca, era infatti sua nonna Giuseppina.

Acheronta movebo presenta, a prima vista, tutti gli ingredienti tipici del genere romanzesco: una storia d’amore, per di più in tempi di guerra; la separazione, per quasi dieci anni, dei protagonisti; le incertezze e i pericoli della fuga; il ricongiungimento finale. E questo ne fa in effetti un originale – e ben poco consumistico – regalo per l’imminente festa di san Valentino. Ma, pur riconoscendo che su certe epoche si è imparato molto di più leggendo romanzi, quali Guerra e pace o La montagna incantata, che manuali di storia, l’autore, in questo libro, dichiara di non aver ceduto alla “tentazione del romanzo”. Così, invece di rendere tridimensionali i personaggi, stabilire fantasiosi nessi causali e riempire le lacune lasciate dalla documentazione, piegandola a un progetto narrativo, ha preferito che “fossero i documenti a dettare la struttura del libro”. Questa scelta strutturale fa emergere in primo piano la vera trama di queste pagine, ovvero la ricerca e la progressiva scoperta delle tracce che Franziska e Charles hanno lasciato. La lunga e faticosa ricostruzione della loro vicenda è infatti avvenuta a partire, oltre che dalle domande che per anni hanno ossessionato l’autore, dai pochissimi indizi a sua disposizione a Sovere e, in seguito, grazie a una capillare indagine, puntualmente ripercorsa nel libro, tra gli archivi di Italia, Germania, Svizzera e Stati Uniti, e tra alcuni uomini e donne di Tucson che hanno conosciuto personalmente i protagonisti. È così che Lanfranchi è riuscito a raggiungere due distinti obiettivi. In primo luogo, trasmettere l’idea che “la Storia, quella che aveva sconvolto il secolo, che aveva distrutto e disperso le esistenze di milioni di individui, era passata anche per quell’ insignificante e sperduto paese di provincia, era entrata nelle stanze della casa dei nonni”. In seconda battuta, quello di far incontrare di nuovo sulla pagina Franziska e Giuseppina, che si erano incrociate nei tempi più bui del secolo scorso e che si erano poi allontanate per le circostanze della vita: “Anche a questo servono i libri, a ricongiungere i destini di chi non c’è più”.

A quest’ultimo aspetto è infine collegato un altro motivo di interesse per Acheronta movebo: il titolo stesso. Le due parole latine sono tratte dal verso Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo (“Se non posso piegare gli dei superni, muoverò l’Acheronte”). Il famoso verso virgiliano (Eneide VII 312) è stato ripreso da Freud che, ponendolo come esergo del saggio L’interpretazione dei sogni, ne ha fatto il motto della nuova scienza che si accingeva a fondare, la psicanalisi. Lanfranchi ne ha fatto a sua volta il titolo del suo libro sia perché Charles Maylan, il protagonista della storia, fu allievo e avversario di Freud, sia perché, in fondo, la sua ricerca, altro non è che un attraversamento dell’ Acheronte, una discesa nel regno dei morti per recuperare la storia di Franziska e Charles, e impedire che venga dimenticata per sempre.☺

 

laFonteTV

laFonteTV