Dopo aver riflettuto per molto tempo sulla fraternità nella bibbia, ci rimane da considerare un aspetto: la possibilità di una fraternità negativa, un’associazione a “delin- quere” per commettere il male proprio in nome di un obbligo di fraternità. L’esempio più lampante nella bibbia è quello dei fratelli di Giuseppe che fanno causa comune per liberarsi di lui, costi quel che costi, anche la vita stessa di Giuseppe (Gen 37). L’altro diventa un pericolo per la comunità che, per salvaguardarsi, deve liberarsene.
Gesù ci insegna però che un atto malvagio è solo l’ultimo stadio di un processo che parte dall’invidia, passa per il disprezzo dell’altro fino ad arrivare a desiderare di toglierlo di mezzo (Mt 5,21-22). È il vangelo di Marco, tuttavia, a far riflettere meglio sul contesto in cui può nascere un atteggiamento di rifiuto dell’altro, proprio in nome di una pretesa fraternità o di uno spirito di gruppo, che porta poi a mettere in piedi un sistema basato sulla disuguaglianza, sul desiderio di dominio sull’altro che, anche nella storia della comunità cristiana, ha portato a progettare ed eseguire l’eliminazione fisica sia di singoli che di interi gruppi o popolazioni, sempre in nome del gruppo cui ci si lega e i cui interessi vengono difesi con ogni mezzo. Mi sto riferendo a ciò che accade dopo il terzo annuncio della passione (Mc 10, 32-34) quando due discepoli fratelli, Giacomo e Giovanni, vanno da Gesù per chiedergli di stare uno alla destra e uno alla sinistra quando sarà entrato nel suo regno, che probabilmente è identificato con la conquista del potere a Gerusalemme dove Gesù è diretto (10,35-37). Questo episodio è risultato così imbarazzante che gli altri evangelisti che hanno ripreso Marco, o lo hanno eliminato del tutto (Luca) o hanno attribuito la richiesta non ai discepoli, ma alla loro madre (Matteo).
Marco è spietato nel mostrare che la sete di potere, gli interessi del gruppo sono presenti anche all’interno dei dodici, seme della futura chiesa e che hanno già dentro il seme delle divisioni che porteranno fino all’eliminazione fisica reciproca, come se si trattasse di lotte di potere tra bande di malviventi. Infatti, anche gli altri dieci non si appellano all’insegnamento di Gesù che hanno già ascoltato in precedenza (9,33-35) e in base al quale potrebbero mettere alla berlina Giacomo e Giovanni per far capire loro di essersi allontanati dallo stile di Gesù; il vangelo dice in modo cinico che si sono arrabbiati con loro, molto probabilmente perché hanno sentito il pericolo di essere stati battuti in volata dai due intraprendenti fratelli, veri e propri antesignani delle famose cordate di cui si parla nella chiesa quando bisogna fare un papa o nominare vescovi e cardinali. Nell’episodio, quindi, non sono condannati solo il nepotismo e gli interessi di famiglia, ma anche il fare gruppo per ottenere dei privilegi o la supremazia sugli altri, come dimostrala reazione degli altri dieci.
Da questo episodio apprendiamo che non basta sbandierare la fraternità per essere secondo il vangelo, perché ci si può mettere insieme anche per perseguire scopi di potere oppure per segnare una differenza dagli altri, come hanno dimostrato le guerre di religione o le alleanze con i vari poteri di questo mondo da usare per distruggere chi non la pensa come il gruppo, all’interno del quale magari ci si chiama con l’appellativo di “fratelli carissimi”. Giovanni aveva già dato prova di questa deriva settaria quando aveva detto a Gesù di avere vietato a un tale che in nome di Gesù cacciava i demoni, si impegnava cioè per combattere il male (9,38), come se per fare il bene bisognasse avere un’autorizzazione. Ma è proprio nel nostro episodio che Giovanni e il fratello mostrano la loro vera faccia, quando dicono chiaro a Gesù che vogliono un posto di comando, forse perché sono stati i privilegiati, insieme a Pietro – che già cominciava ad avere il piglio del comandante quando voleva impedire a Gesù di andare verso la passione (8,32) – della visione della trasfigurazione. Ed è per questo, forse, che saranno proprio loro tre ad essere chiamati ad assistere al cedimento di Gesù nell’orto degli Ulivi, quando manifesterà la sua paura di fronte alla morte, facendo capire la posta in gioco dell’essere suoi discepoli. Anche in quel caso però perderanno un’occasione perché si addormenteranno fregandosene dell’angoscia del maestro.
Alle mire “fraterne” di Giacomo e Giovanni Gesù risponde con un riferimento alla politica del suo tempo, parlando al plurale dei capi delle nazioni e dei grandi che stanno al vertice della piramide sociale (10,42), come a dire che tutti quelli che vogliono dominare sugli altri, anche se magari si fanno guerra per la conquista del potere, sono “affratellati” dall’unico scopo di sfruttare il resto del mondo e spesso fanno alleanza tra loro per ottenere più facilmente quello scopo (basti pensare al dominio dell’alta finanza nel nostro tempo), mentre il discepolo di Gesù è sempre solo (chi vuol essere il primo sia vostro servitore) nel momento in cui decide non di dominare ma di servire, come Gesù che va da solo sulla croce (10,45). Nel discepolato non ci sono alleanze previe per perseguire uno scopo, ma c’è solo un riconoscimento a consuntivo, quando ciascuno avrà svolto il suo servizio verso gli altri e avrà accolto con gratitudine l’altrui servizio, riconoscendosi fratelli non per delle idee o delle mire, ma per essersi ritrovati a servire insieme chi è nel bisogno.☺
Dopo aver riflettuto per molto tempo sulla fraternità nella bibbia, ci rimane da considerare un aspetto: la possibilità di una fraternità negativa, un’associazione a “delin- quere” per commettere il male proprio in nome di un obbligo di fraternità. L’esempio più lampante nella bibbia è quello dei fratelli di Giuseppe che fanno causa comune per liberarsi di lui, costi quel che costi, anche la vita stessa di Giuseppe (Gen 37). L’altro diventa un pericolo per la comunità che, per salvaguardarsi, deve liberarsene.
Gesù ci insegna però che un atto malvagio è solo l’ultimo stadio di un processo che parte dall’invidia, passa per il disprezzo dell’altro fino ad arrivare a desiderare di toglierlo di mezzo (Mt 5,21-22). È il vangelo di Marco, tuttavia, a far riflettere meglio sul contesto in cui può nascere un atteggiamento di rifiuto dell’altro, proprio in nome di una pretesa fraternità o di uno spirito di gruppo, che porta poi a mettere in piedi un sistema basato sulla disuguaglianza, sul desiderio di dominio sull’altro che, anche nella storia della comunità cristiana, ha portato a progettare ed eseguire l’eliminazione fisica sia di singoli che di interi gruppi o popolazioni, sempre in nome del gruppo cui ci si lega e i cui interessi vengono difesi con ogni mezzo. Mi sto riferendo a ciò che accade dopo il terzo annuncio della passione (Mc 10, 32-34) quando due discepoli fratelli, Giacomo e Giovanni, vanno da Gesù per chiedergli di stare uno alla destra e uno alla sinistra quando sarà entrato nel suo regno, che probabilmente è identificato con la conquista del potere a Gerusalemme dove Gesù è diretto (10,35-37). Questo episodio è risultato così imbarazzante che gli altri evangelisti che hanno ripreso Marco, o lo hanno eliminato del tutto (Luca) o hanno attribuito la richiesta non ai discepoli, ma alla loro madre (Matteo).
Marco è spietato nel mostrare che la sete di potere, gli interessi del gruppo sono presenti anche all’interno dei dodici, seme della futura chiesa e che hanno già dentro il seme delle divisioni che porteranno fino all’eliminazione fisica reciproca, come se si trattasse di lotte di potere tra bande di malviventi. Infatti, anche gli altri dieci non si appellano all’insegnamento di Gesù che hanno già ascoltato in precedenza (9,33-35) e in base al quale potrebbero mettere alla berlina Giacomo e Giovanni per far capire loro di essersi allontanati dallo stile di Gesù; il vangelo dice in modo cinico che si sono arrabbiati con loro, molto probabilmente perché hanno sentito il pericolo di essere stati battuti in volata dai due intraprendenti fratelli, veri e propri antesignani delle famose cordate di cui si parla nella chiesa quando bisogna fare un papa o nominare vescovi e cardinali. Nell’episodio, quindi, non sono condannati solo il nepotismo e gli interessi di famiglia, ma anche il fare gruppo per ottenere dei privilegi o la supremazia sugli altri, come dimostrala reazione degli altri dieci.
Da questo episodio apprendiamo che non basta sbandierare la fraternità per essere secondo il vangelo, perché ci si può mettere insieme anche per perseguire scopi di potere oppure per segnare una differenza dagli altri, come hanno dimostrato le guerre di religione o le alleanze con i vari poteri di questo mondo da usare per distruggere chi non la pensa come il gruppo, all’interno del quale magari ci si chiama con l’appellativo di “fratelli carissimi”. Giovanni aveva già dato prova di questa deriva settaria quando aveva detto a Gesù di avere vietato a un tale che in nome di Gesù cacciava i demoni, si impegnava cioè per combattere il male (9,38), come se per fare il bene bisognasse avere un’autorizzazione. Ma è proprio nel nostro episodio che Giovanni e il fratello mostrano la loro vera faccia, quando dicono chiaro a Gesù che vogliono un posto di comando, forse perché sono stati i privilegiati, insieme a Pietro – che già cominciava ad avere il piglio del comandante quando voleva impedire a Gesù di andare verso la passione (8,32) – della visione della trasfigurazione. Ed è per questo, forse, che saranno proprio loro tre ad essere chiamati ad assistere al cedimento di Gesù nell’orto degli Ulivi, quando manifesterà la sua paura di fronte alla morte, facendo capire la posta in gioco dell’essere suoi discepoli. Anche in quel caso però perderanno un’occasione perché si addormenteranno fregandosene dell’angoscia del maestro.
Alle mire “fraterne” di Giacomo e Giovanni Gesù risponde con un riferimento alla politica del suo tempo, parlando al plurale dei capi delle nazioni e dei grandi che stanno al vertice della piramide sociale (10,42), come a dire che tutti quelli che vogliono dominare sugli altri, anche se magari si fanno guerra per la conquista del potere, sono “affratellati” dall’unico scopo di sfruttare il resto del mondo e spesso fanno alleanza tra loro per ottenere più facilmente quello scopo (basti pensare al dominio dell’alta finanza nel nostro tempo), mentre il discepolo di Gesù è sempre solo (chi vuol essere il primo sia vostro servitore) nel momento in cui decide non di dominare ma di servire, come Gesù che va da solo sulla croce (10,45). Nel discepolato non ci sono alleanze previe per perseguire uno scopo, ma c’è solo un riconoscimento a consuntivo, quando ciascuno avrà svolto il suo servizio verso gli altri e avrà accolto con gratitudine l’altrui servizio, riconoscendosi fratelli non per delle idee o delle mire, ma per essersi ritrovati a servire insieme chi è nel bisogno.☺
Dopo aver riflettuto per molto tempo sulla fraternità nella bibbia, ci rimane da considerare un aspetto: la possibilità di una fraternità negativa.
Dopo aver riflettuto per molto tempo sulla fraternità nella bibbia, ci rimane da considerare un aspetto: la possibilità di una fraternità negativa, un’associazione a “delin- quere” per commettere il male proprio in nome di un obbligo di fraternità. L’esempio più lampante nella bibbia è quello dei fratelli di Giuseppe che fanno causa comune per liberarsi di lui, costi quel che costi, anche la vita stessa di Giuseppe (Gen 37). L’altro diventa un pericolo per la comunità che, per salvaguardarsi, deve liberarsene.
Gesù ci insegna però che un atto malvagio è solo l’ultimo stadio di un processo che parte dall’invidia, passa per il disprezzo dell’altro fino ad arrivare a desiderare di toglierlo di mezzo (Mt 5,21-22). È il vangelo di Marco, tuttavia, a far riflettere meglio sul contesto in cui può nascere un atteggiamento di rifiuto dell’altro, proprio in nome di una pretesa fraternità o di uno spirito di gruppo, che porta poi a mettere in piedi un sistema basato sulla disuguaglianza, sul desiderio di dominio sull’altro che, anche nella storia della comunità cristiana, ha portato a progettare ed eseguire l’eliminazione fisica sia di singoli che di interi gruppi o popolazioni, sempre in nome del gruppo cui ci si lega e i cui interessi vengono difesi con ogni mezzo. Mi sto riferendo a ciò che accade dopo il terzo annuncio della passione (Mc 10, 32-34) quando due discepoli fratelli, Giacomo e Giovanni, vanno da Gesù per chiedergli di stare uno alla destra e uno alla sinistra quando sarà entrato nel suo regno, che probabilmente è identificato con la conquista del potere a Gerusalemme dove Gesù è diretto (10,35-37). Questo episodio è risultato così imbarazzante che gli altri evangelisti che hanno ripreso Marco, o lo hanno eliminato del tutto (Luca) o hanno attribuito la richiesta non ai discepoli, ma alla loro madre (Matteo).
Marco è spietato nel mostrare che la sete di potere, gli interessi del gruppo sono presenti anche all’interno dei dodici, seme della futura chiesa e che hanno già dentro il seme delle divisioni che porteranno fino all’eliminazione fisica reciproca, come se si trattasse di lotte di potere tra bande di malviventi. Infatti, anche gli altri dieci non si appellano all’insegnamento di Gesù che hanno già ascoltato in precedenza (9,33-35) e in base al quale potrebbero mettere alla berlina Giacomo e Giovanni per far capire loro di essersi allontanati dallo stile di Gesù; il vangelo dice in modo cinico che si sono arrabbiati con loro, molto probabilmente perché hanno sentito il pericolo di essere stati battuti in volata dai due intraprendenti fratelli, veri e propri antesignani delle famose cordate di cui si parla nella chiesa quando bisogna fare un papa o nominare vescovi e cardinali. Nell’episodio, quindi, non sono condannati solo il nepotismo e gli interessi di famiglia, ma anche il fare gruppo per ottenere dei privilegi o la supremazia sugli altri, come dimostrala reazione degli altri dieci.
Da questo episodio apprendiamo che non basta sbandierare la fraternità per essere secondo il vangelo, perché ci si può mettere insieme anche per perseguire scopi di potere oppure per segnare una differenza dagli altri, come hanno dimostrato le guerre di religione o le alleanze con i vari poteri di questo mondo da usare per distruggere chi non la pensa come il gruppo, all’interno del quale magari ci si chiama con l’appellativo di “fratelli carissimi”. Giovanni aveva già dato prova di questa deriva settaria quando aveva detto a Gesù di avere vietato a un tale che in nome di Gesù cacciava i demoni, si impegnava cioè per combattere il male (9,38), come se per fare il bene bisognasse avere un’autorizzazione. Ma è proprio nel nostro episodio che Giovanni e il fratello mostrano la loro vera faccia, quando dicono chiaro a Gesù che vogliono un posto di comando, forse perché sono stati i privilegiati, insieme a Pietro – che già cominciava ad avere il piglio del comandante quando voleva impedire a Gesù di andare verso la passione (8,32) – della visione della trasfigurazione. Ed è per questo, forse, che saranno proprio loro tre ad essere chiamati ad assistere al cedimento di Gesù nell’orto degli Ulivi, quando manifesterà la sua paura di fronte alla morte, facendo capire la posta in gioco dell’essere suoi discepoli. Anche in quel caso però perderanno un’occasione perché si addormenteranno fregandosene dell’angoscia del maestro.
Alle mire “fraterne” di Giacomo e Giovanni Gesù risponde con un riferimento alla politica del suo tempo, parlando al plurale dei capi delle nazioni e dei grandi che stanno al vertice della piramide sociale (10,42), come a dire che tutti quelli che vogliono dominare sugli altri, anche se magari si fanno guerra per la conquista del potere, sono “affratellati” dall’unico scopo di sfruttare il resto del mondo e spesso fanno alleanza tra loro per ottenere più facilmente quello scopo (basti pensare al dominio dell’alta finanza nel nostro tempo), mentre il discepolo di Gesù è sempre solo (chi vuol essere il primo sia vostro servitore) nel momento in cui decide non di dominare ma di servire, come Gesù che va da solo sulla croce (10,45). Nel discepolato non ci sono alleanze previe per perseguire uno scopo, ma c’è solo un riconoscimento a consuntivo, quando ciascuno avrà svolto il suo servizio verso gli altri e avrà accolto con gratitudine l’altrui servizio, riconoscendosi fratelli non per delle idee o delle mire, ma per essersi ritrovati a servire insieme chi è nel bisogno.☺
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