Gesù il liberatore
29 Aprile 2017
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Gesù il liberatore

Quella formula che Paolo aveva appreso e condiviso, tanto da ritenerla l’unica cosa importante riguardo a Gesù, che cioè è morto per i nostri peccati ed è risuscitato il terzo giorno, era uno dei primi tentativi di fare sintesi da parte dei cristiani della propria fede in Gesù. Questo particolare genere letterario ha avuto grande fortuna nella storia cristiana ed è giunto al proprio vertice nel credo niceno-costantinopolitano che noi recitiamo ogni domenica. Ha fatto notare uno studioso della fonte Q (J. M. Robinson), tuttavia, che questa bella sintesi della nostra fede ha totalmente ignorato la vita di Gesù, passando direttamente dall’incarnazione (per la nostra salvezza) alla morte e risurrezione, come se ciò che sta nel mezzo fosse del tutto irrilevante. A questo punto tanto valeva che Gesù fosse ucciso a Betlemme da Erode, se ciò che importava era solo la sua morte.
Il pregiudizio di Paolo sull’ irrilevanza della vita di Gesù (2 Cor 5,16), dettato forse dal fatto che lui non lo aveva mai incontrato da vivo, ha fatto strada nel cristianesimo che, per rendersi accettabile dal potere imperiale romano, ha preferito mettere in secondo piano le provocazioni di Gesù contro i potenti e le sue scelte in favore delle vittime del sistema. La riflessione cristiana, infatti, fin dai primi secoli ha enfatizzato le grandi questioni metafisiche interrogandosi sul perché teologico della morte di Gesù a cui ha collegato poi il perché dell’incarnazione, eliminando il perché storico e politico (l’opposizione dei poteri forti sia religiosi che politici) a tal punto che quando la teologia odierna (ma anche in altre fasi della storia con conseguenze simili a quelle subite da Gesù per chi aveva questo tipo di pensiero) si è interrogata sulle cause dell’ingiustizia sociale e sulla necessità di opporsi ai potenti in nome del vangelo (parlo della teologia della liberazione), le gerarchie ecclesiastiche, in ossequio alla prospettiva della dottrina, hanno giudicato fuorvianti queste riflessioni e persino ora che c’è un papa che ne parla continuamente, si è piuttosto propensi a mettere in dubbio l’autorità del papa piuttosto che rivedere certi presupposti teologici.
In realtà la “soppressione” del ricordo delle parole del Gesù reale era già avvenuta nell’antichità, quando Marco, scrivendo il suo vangelo, non vi ha aggiunto (forse perché già non li conosceva più o perché li ha volutamente ignorati) gli insegnamenti della fonte Q che proponevano per i discepoli di Gesù uno stile radicale, senza compromessi. Gli insegnamenti di quella fonte provenivano dalla Galilea, le cui comunità sono state totalmente ignorate anche dagli Atti degli Apostoli dove si ricostruisce una storia che passa direttamente dalla Giudea ai confini della terra senza passare per la Galilea. È qui infatti che i discepoli di Gesù hanno mantenuto un’adesione alla identità giudaica ma senza condividere l’ allineamento della comunità di Gerusalemme con il Tempio, la cui fine, anzi, è stata letta nelle comunità della Galilea come conseguenza della non accettazione di Gesù, andando contro la volontà di Dio, come era già avvenuto con l’esilio secoli prima. Ma quelle comunità dovettero fuggire verso il Nord, nella Siria dove, ad Antiochia, erano già presenti le comunità che avevano accolto la predicazione di Paolo e che quindi avevano al proprio interno molti non ebrei; questi conoscevano la vita di Gesù forse attraverso il vangelo di Marco che in breve tempo era diventato un bestseller.
La presenza di questi galilei però ha portato qualcosa di nuovo: la freschezza dell’ insegnamento di Gesù che oggi sappiamo appartenere alla fonte Q: un insegnamento che ha affascinato a tal punto quei cristiani che qualcuno ha sentito la necessità di scrivere una vita di Gesù che mettesse insieme Marco e Q. Nasce così il vangelo di Matteo che tiene insieme, senza confonderli, la forza e bellezza di entrambi i documenti, riconciliando in tal modo il cristianesimo paolino, aperto ai pagani, con i valori e gli insegnamenti più radicali che Gesù aveva espresso solo all’interno di Israele e che ora, grazie a questo incontro avvenuto nella Siria (quanto debito abbiamo verso questa nazione martoriata!) diventava patrimonio per tutta l’umanità. A tal punto che il nostro cristianesimo non è tanto paolino (forse lo è in alcune istanze della Riforma) ma matteano e non è un caso se Matteo è diventato il primo libro del Nuovo Testamento, il vangelo più commentato fino alla scoperta del primato di Marco e il testo di cui abbiamo più testimonianze manoscritte antiche.
Matteo non ha annullato né Marco né Q ma ha permesso loro di stare insieme per evitare il pericolo di ridurre l’importanza di Gesù alla sola sua morte e per ricordare anche a noi cristiani del terzo millennio che non si crede realmente in Gesù se non ci si impegna nella liberazione dell’uomo da ogni forma di oppressione: politica, economica e religiosa.
Concludo con la riflessione di Robinson sulla fonte Q conservata da Matteo (e Luca): “La chiesa oggi può ancora ascoltare Gesù (attraverso la fonte Q) ed è appunto ciò che dovremmo fare. Gesù mette molto a disagio… ma il suo obiettivo di una società altruista e disinteressata può rappresentare il futuro migliore in cui sperare e per cui lavorare”.

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