I cetto laqualunque
18 Aprile 2023
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I cetto laqualunque

“O voi che siete in piccioletta barca, desiderosi d’ascoltar, seguiti dietro al mio legno che cantando varca, tornate a riveder li vostri liti: non vi mettete in pelago, ché, forse, perdendo me rimarreste smarriti” (Par. II, 1-6). Non sono le parole di quell’illustre ministro che aveva già dato prova di sé definendo i migranti “carico residuale” e che, non pago di cotanto ingegno, ha voluto superare sé stesso e ogni salvinata di turno, dicendo che, l’unico modo per non crepare è quello di non partire dedicandosi invece a migliorare la propria patria, come ad esempio quella dei talebani istallatisi grazie ai soldi del Qatar mondialista e dell’ignavia americana; sono invece le parole del Sommo Poeta che mette sull’avviso coloro che si accingono a scalare le vette del Paradiso, cantica piena di discussioni di alta teologia. Eppure quelle parole sono risuonate nella mia testa vedendovi una sorta di macabro presagio di quella triste uscita di Piantedosi che ha perso un’occasione d’oro per tacere e onorare i morti.

Così, in meno di cinque mesi di governo Meloni, siamo stati, tra le altre cose, travolti e tramortiti dalla cooptazione di Dante a ideologo della destra (Sangiuliano), dalla candida constatazione che in Italia il fascismo non esiste, salvo poi minacciare in modo maschio e fascista la preside che voleva istruire gli italici alunni sui segni che indicano il sorgere di ogni fascismo (Valditara), fino al vertice dell’offesa all’intelligenza media degli umani quando si sostiene che i migranti sono colpevoli anche della morte dei figli piccoli perché hanno deciso di mettersi in mare persino non facendo attenzione alle previsioni meteorologiche, oltre che per omissione di impegno nei confronti di quei Paesi dove, normalmente,vengono torturati, incarcerati, uccisi, ridotti alla fame e privati di qualsiasi diritto civile. Quando poi si scusa il geniale ministro col fatto che non è un politico ma un funzionario di carriera nel ministero dell’Interno, dove ha ricoperto anche la carica di prefetto, mi chiedo: ma non sono i prefetti quelli di solito chiamati a dirimere contenziosi quando fanno tavoli di mediazione, ad esempio, tra dipendenti e datori di lavoro? Non sono loro i campioni di diplomazia e di moderazione quando sorgono i conflitti sociali? Ritenere che il dire con leggerezza e imprudenza scempiaggini sia dovuto all’essere quel tipo di funzionario dovrebbe far sollevare tutti i prefetti d’Italia per difendere il proprio onore contro quei politici scaricabarile che vengono eletti in una sorta di terno al lotto e si ritengono poi liberi di dire laqualunque (come il famoso Cetto) perché coperti da immunità, di certo sulle parole dette, ma non sulla stupidità innata.

Ma cosa dice Dante, nella Commedia, di quelli che governano quell’Italia che definisce non solo da analista del suo tempo, ma da profeta dei nostri tempi, un bordello? In quello stesso VI canto del Purgatorio così parla degli antesignani dei nostri politici e del popolo intero: “Ora in te non stanno senza guerra li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode di quei ch’un muro ed una fossa serra. Cerca, misera, intorno dalle prode le tue marine, e poi ti guarda in seno, s’alcuna parte in te di pace gode” (Purg. VI, 82-87): come non vedervi descritte le odierne divisioni politiche e sociali causate da interessi di parte anziché la ricerca del bene comune? Anche per il mondo ecclesiastico, così ingombrante in Italia, Dante ha profetizzato: “Ahi gente che dovresti esser devota (di chiesa), e lasciar sedere Cesare (lo stato laico) in la sella, se bene intendi ciò che Dio ti nota (il riferimento al detto di Gesù sul dare a Cesare e dare a Dio), guarda come esta fiera (Italia) è fatta fella (ribelle) per non esser corretta dalli sproni (seguire cioè i dettami della legge) poi che ponesti mano alla predella (briglia) (avendo voluto porre i tuoi privilegi davanti al rispetto delle regole democratiche di uno stato laico)” (Purg. VI, 91-96).

Sull’inadeguatezza ma anche sulla violenza (almeno verbale, ma a volte anche fisica, se ricordiamo i fatti di Genova del 2001, ad esempio) della classe dirigente italiana Dante dice: “Ché le città d’Italia tutte piene son di tiranni, e un Marcel (condottiero romano) diventa ogni villan (cioè zotico e ignorante) che parteggiando viene” (Purg. VI, 124-126). Ed infine sulla facilità a non mantenere le promesse fatte (in campagna elettorale) o a demolire diritti acquisiti per legge in campo etico, economico e sociale, mi sembrano profetiche queste ultime parole: “Atene e Lacedemona (Sparta), che fenno l’antiche leggi e furon sì civili, fecero al viver bene un picciol cenno verso di te (erano nulla in confronto all’Italia) che fai tanto sottili provedimenti, ch’a mezzo novembre non giugne quel che tu d’ottobre fili (basti pensare ai repentini passi indietro su leggi fatte con grande approssimazione). Quante volte, del tempo che rimembre, legge, moneta, officio e costume hai tu mutato e rinovate membre!” (Purg. VI, 139-147).

Che fine fanno quelli che hanno fatto della violenza e del sopruso lo strumento della gestione del potere, anche se andavano a tutte le messe e facevano le loro devozioni (rosari compresi da ostentare all’occorrenza)? Vengono eternamente immersi nel sangue bollente come essi hanno sparso sangue sulla terra, non solo fisicamente, ma anche istigando alla violenza altri: “E’ son tiranni che dier nel sangue e nell’aver (nell’accumulo dei beni dei popoli) di piglio. Quivi si piangon gli spietati danni” (Inf. XII, 104-106). Ma se un manipolo di gente può fare il bello e il cattivo tempo, non dimentichiamo che viene loro permesso da una stragrande maggioranza che non fa nulla, che resta a guardare, che non prende posizione: gli ignavi. Dante si meraviglia che ce ne siano tanti al mondo: “Dietro (allo stendardo inseguito dagli ignavi) le venìa sì lunga tratta di gente, ch’io non averei mai creduto che morte tanta ne avesse disfatta” (Inf. III, 55-57). Ed è il messaggio che la preside di Firenze (che avrebbe fatto felice il don Milani della Lettera a una professoressa) voleva dare ai ragazzi: uno stato dispotico non nasce solo per la violenza di pochi ma per il disinteresse di molti (vedi l’astensionismo elettorale o la supina accettazione delle falsità sui migranti) che diventa complicità, perché, come diceva don Milani, tanto è ladro chi ruba quanto chi para il sacco. ☺

 

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