Francesco Forgione nasce a Pietrelcina, a pochi chilometri da Benevento, il 25 maggio 1887. A quindici anni entra nel convento dei frati minori cappuccini a Morcone per iniziare il noviziato. Prende il nome di Pio. Nel 1910 viene ordinato sacerdote. Nello stesso anno “dal giovedì sera fino al sabato, come anche il martedì, scrive, è una tragedia dolorosa per me. Il cuore, le mani e i piedi sembrami che siano trapassati da una spada. Tanto è il dolore che sento”. È un fenomeno mistico, preludio delle stigmate che si visibilizzano il 20 settembre 1918 durante il ringraziamento della messa nel coro del convento di San Giovanni Rotondo (Fg): “Io mi avvidi che mani, piedi e costato erano traforati e grondavano sangue. Immaginate lo strazio che esperimentai allora e che vado esperimentando continuamente quasi tutti i giorni”.
La solitudine e la pace del convento cominciano ad essere un dolce ricordo, rotto dal frastuono di folle disordinate, attirate dal grande avvenimento. Iniziano anche le prove per l’intervento della chiesa istituzionale che guarda con diffidenza questo umile fraticello. Il 23 settembre 1968, ricevuto il sacramento dell’unzione dei malati, muore serenamente, con la corona del santo rosario in mano e con “Gesù! Maria!” sulle labbra.
Sensibile al dolore e alle sofferenze dell’umanità nel 1940 inizia la realizzazione in San Giovanni Rotondo di quel monumento in favore dell’uomo che soffre: la Casa Sollievo della Sofferenza, ospedale ormai tra i primi in Europa per attrezzature e professionalità. Vuole che la formazione professionale del personale venga impostata sull’educazione a contemplare nell’ammalato il volto di Cristo crocifisso. Solo un “crocifisso d’amore”, come è stato definito, può comprendere l’urgenza della risposta alla sofferenza umana.
Ha una grande attenzione per chiunque si rivolge a lui, per tutti un farmaco adatto ed efficace, capace di liberare l’anima dalla malattia spirituale. Dolce e severo nello stesso momento, nessuno si congeda da lui senza provare la gioia della conversione, la contrizione del pentimento. Ha la giusta terapia per ciascun malato: dolcezza per alcuni, mano pesante e deciso intervento per altri, senza temere di ricorrere alla recisione, pur di estirpare il tumore del peccato nel profondo dell’uomo. Guarigioni che gli costano sofferenze indicibili, digiuni e ristrettezze di ogni genere. È il cireneo che aiuta Cristo a portare il peso di tutto il mondo sulle spalle.
Avverte il desiderio missionario, per evangelizzare i popoli che ancora non conoscono il Cristo, ma gli viene negata la licenza di partire. “La mia missione la eserciterò con l’umile, fervente e assidua preghiera. Sì, padre, io sto qui col corpo, ma con lo spirito sono a voi vicino ed a voi strettamente unito” scrive nel 1922 a un missionario in India.
Altri sono i progetti di Dio su di lui. Il Signore gli prepara un campo immenso di lavoro di evangelizzazione. A San Giovanni Rotondo ospita una clientela mondiale. La sua missione attraverso la parola, l’esempio, il ministero di riconciliazione, la celebrazione eucaristica come la sua donazione attraverso la sofferenza, la penitenza e la continua e fervente preghiera rendono la sua voce una delle più forti e autentiche, lasciano un segno indelebile nella storia. Paolo VI ha indicato con esattezza la missione di padre Pio: “Che clientela mondiale ha adunato intorno a sé! Ma perché? Forse perché era filosofo, perché era un sapiente, perché aveva mezzi a disposizione? No. Perché diceva la messa umilmente, confessava dal mattino alla sera ed era, difficile a dire, rappresentante stampato delle stigmate di Nostro Signore. Era un uomo di preghiera e di sofferenza”.
La chiesa istituzionale attraverso un regolare processo canonico arriverà a dichiararlo santo. Per il popolo di Dio lo era già.
Francesco Forgione nasce a Pietrelcina, a pochi chilometri da Benevento, il 25 maggio 1887. A quindici anni entra nel convento dei frati minori cappuccini a Morcone per iniziare il noviziato. Prende il nome di Pio. Nel 1910 viene ordinato sacerdote. Nello stesso anno “dal giovedì sera fino al sabato, come anche il martedì, scrive, è una tragedia dolorosa per me. Il cuore, le mani e i piedi sembrami che siano trapassati da una spada. Tanto è il dolore che sento”. È un fenomeno mistico, preludio delle stigmate che si visibilizzano il 20 settembre 1918 durante il ringraziamento della messa nel coro del convento di San Giovanni Rotondo (Fg): “Io mi avvidi che mani, piedi e costato erano traforati e grondavano sangue. Immaginate lo strazio che esperimentai allora e che vado esperimentando continuamente quasi tutti i giorni”.
La solitudine e la pace del convento cominciano ad essere un dolce ricordo, rotto dal frastuono di folle disordinate, attirate dal grande avvenimento. Iniziano anche le prove per l’intervento della chiesa istituzionale che guarda con diffidenza questo umile fraticello. Il 23 settembre 1968, ricevuto il sacramento dell’unzione dei malati, muore serenamente, con la corona del santo rosario in mano e con “Gesù! Maria!” sulle labbra.
Sensibile al dolore e alle sofferenze dell’umanità nel 1940 inizia la realizzazione in San Giovanni Rotondo di quel monumento in favore dell’uomo che soffre: la Casa Sollievo della Sofferenza, ospedale ormai tra i primi in Europa per attrezzature e professionalità. Vuole che la formazione professionale del personale venga impostata sull’educazione a contemplare nell’ammalato il volto di Cristo crocifisso. Solo un “crocifisso d’amore”, come è stato definito, può comprendere l’urgenza della risposta alla sofferenza umana.
Ha una grande attenzione per chiunque si rivolge a lui, per tutti un farmaco adatto ed efficace, capace di liberare l’anima dalla malattia spirituale. Dolce e severo nello stesso momento, nessuno si congeda da lui senza provare la gioia della conversione, la contrizione del pentimento. Ha la giusta terapia per ciascun malato: dolcezza per alcuni, mano pesante e deciso intervento per altri, senza temere di ricorrere alla recisione, pur di estirpare il tumore del peccato nel profondo dell’uomo. Guarigioni che gli costano sofferenze indicibili, digiuni e ristrettezze di ogni genere. È il cireneo che aiuta Cristo a portare il peso di tutto il mondo sulle spalle.
Avverte il desiderio missionario, per evangelizzare i popoli che ancora non conoscono il Cristo, ma gli viene negata la licenza di partire. “La mia missione la eserciterò con l’umile, fervente e assidua preghiera. Sì, padre, io sto qui col corpo, ma con lo spirito sono a voi vicino ed a voi strettamente unito” scrive nel 1922 a un missionario in India.
Altri sono i progetti di Dio su di lui. Il Signore gli prepara un campo immenso di lavoro di evangelizzazione. A San Giovanni Rotondo ospita una clientela mondiale. La sua missione attraverso la parola, l’esempio, il ministero di riconciliazione, la celebrazione eucaristica come la sua donazione attraverso la sofferenza, la penitenza e la continua e fervente preghiera rendono la sua voce una delle più forti e autentiche, lasciano un segno indelebile nella storia. Paolo VI ha indicato con esattezza la missione di padre Pio: “Che clientela mondiale ha adunato intorno a sé! Ma perché? Forse perché era filosofo, perché era un sapiente, perché aveva mezzi a disposizione? No. Perché diceva la messa umilmente, confessava dal mattino alla sera ed era, difficile a dire, rappresentante stampato delle stigmate di Nostro Signore. Era un uomo di preghiera e di sofferenza”.
La chiesa istituzionale attraverso un regolare processo canonico arriverà a dichiararlo santo. Per il popolo di Dio lo era già.
Francesco Forgione nasce a Pietrelcina, a pochi chilometri da Benevento, il 25 maggio 1887. A quindici anni entra nel convento dei frati minori cappuccini a Morcone per iniziare il noviziato. Prende il nome di Pio. Nel 1910 viene ordinato sacerdote. Nello stesso anno “dal giovedì sera fino al sabato, come anche il martedì, scrive, è una tragedia dolorosa per me. Il cuore, le mani e i piedi sembrami che siano trapassati da una spada. Tanto è il dolore che sento”. È un fenomeno mistico, preludio delle stigmate che si visibilizzano il 20 settembre 1918 durante il ringraziamento della messa nel coro del convento di San Giovanni Rotondo (Fg): “Io mi avvidi che mani, piedi e costato erano traforati e grondavano sangue. Immaginate lo strazio che esperimentai allora e che vado esperimentando continuamente quasi tutti i giorni”.
La solitudine e la pace del convento cominciano ad essere un dolce ricordo, rotto dal frastuono di folle disordinate, attirate dal grande avvenimento. Iniziano anche le prove per l’intervento della chiesa istituzionale che guarda con diffidenza questo umile fraticello. Il 23 settembre 1968, ricevuto il sacramento dell’unzione dei malati, muore serenamente, con la corona del santo rosario in mano e con “Gesù! Maria!” sulle labbra.
Sensibile al dolore e alle sofferenze dell’umanità nel 1940 inizia la realizzazione in San Giovanni Rotondo di quel monumento in favore dell’uomo che soffre: la Casa Sollievo della Sofferenza, ospedale ormai tra i primi in Europa per attrezzature e professionalità. Vuole che la formazione professionale del personale venga impostata sull’educazione a contemplare nell’ammalato il volto di Cristo crocifisso. Solo un “crocifisso d’amore”, come è stato definito, può comprendere l’urgenza della risposta alla sofferenza umana.
Ha una grande attenzione per chiunque si rivolge a lui, per tutti un farmaco adatto ed efficace, capace di liberare l’anima dalla malattia spirituale. Dolce e severo nello stesso momento, nessuno si congeda da lui senza provare la gioia della conversione, la contrizione del pentimento. Ha la giusta terapia per ciascun malato: dolcezza per alcuni, mano pesante e deciso intervento per altri, senza temere di ricorrere alla recisione, pur di estirpare il tumore del peccato nel profondo dell’uomo. Guarigioni che gli costano sofferenze indicibili, digiuni e ristrettezze di ogni genere. È il cireneo che aiuta Cristo a portare il peso di tutto il mondo sulle spalle.
Avverte il desiderio missionario, per evangelizzare i popoli che ancora non conoscono il Cristo, ma gli viene negata la licenza di partire. “La mia missione la eserciterò con l’umile, fervente e assidua preghiera. Sì, padre, io sto qui col corpo, ma con lo spirito sono a voi vicino ed a voi strettamente unito” scrive nel 1922 a un missionario in India.
Altri sono i progetti di Dio su di lui. Il Signore gli prepara un campo immenso di lavoro di evangelizzazione. A San Giovanni Rotondo ospita una clientela mondiale. La sua missione attraverso la parola, l’esempio, il ministero di riconciliazione, la celebrazione eucaristica come la sua donazione attraverso la sofferenza, la penitenza e la continua e fervente preghiera rendono la sua voce una delle più forti e autentiche, lasciano un segno indelebile nella storia. Paolo VI ha indicato con esattezza la missione di padre Pio: “Che clientela mondiale ha adunato intorno a sé! Ma perché? Forse perché era filosofo, perché era un sapiente, perché aveva mezzi a disposizione? No. Perché diceva la messa umilmente, confessava dal mattino alla sera ed era, difficile a dire, rappresentante stampato delle stigmate di Nostro Signore. Era un uomo di preghiera e di sofferenza”.
La chiesa istituzionale attraverso un regolare processo canonico arriverà a dichiararlo santo. Per il popolo di Dio lo era già.
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