Il coraggio di avere coraggio
14 Luglio 2021
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Il coraggio di avere coraggio

“Ho scritto un libro dove dico che il vero coraggio di educare non è aggiungere, ma togliere. E invece stanno tutti aggiungendo”. È una delle riflessioni con le quali Paolo Crepet, nel 2017, accompagnava l’uscita e la diffusione di un bel testo che mi piace proporre come “lettura estiva” destinata ai docenti… e non solo. Per chi lavora nella scuola o si occupa, in un modo o nell’altro, di educazione, Il coraggio. Vivere, amare, educare offre uno spunto di riflessione garbato, fluido, per niente serioso e, anzi, assai coinvolgente, per guardarsi dentro e intorno.

Un tempo il coraggio – nella sua accezione di ardimento fisico – era solo opera dell’uomo, dell’umano, diciamo così, poi le macchine se ne sono impossessate: non più il guerriero armato delle sue proprie mani, ma il soldato che manovra mitragliatrici, carri armati, lanciafiamme, cacciabombardieri. Un po’ come accade ora con la tecnologia: fino a trent’anni fa occorreva pronunciarsi, scrivere, telefonare, dunque esporsi. Oggi si può comunicare, anzi si è indotti a farlo, senza un’interfaccia (termine che pure detesto) umana, dunque senza rischio, senza paura di compromettersi.

Così, anche il coraggio, e la forza d’animo che vi è intrinsecamente connaturata, stanno diventando sempre più un’astrazione virtuale, a giudizio di Crepet, svuotata di senso, per uomini e donne che vagano senza bussola.

Dunque, dice Crepet, dovremmo “togliere” e invece, per mancanza di coraggio, non facciamo che aggiungere. E questo perché si fa fatica a dire di no. Perché è complicato e devi fare una battaglia per quel no. ‘Possedere il coraggio di educare significa essere capaci di credere nei ragazzi, di pensare che riusciranno a camminare con le loro gambe. L’eccesso di tutela di papà e mamma aiuta invece i figli a non crescere. Uno degli spettacoli più tristi – dice il famoso psichiatra – è vedere ragazzi che non hanno un sogno, non sanno cosa fare, non hanno voglia di fare nulla”.

È colpa nostra e bisogna rimediare con un poderoso esame di coscienza. Per fronteggiare “la più grande urgenza sociale odierna”, Paolo Crepet propone dunque a genitori, educatori e, in particolare, a quei “nativi digitali” che si accingono a esplorare la propria esistenza in una società ipertecnologica, un “ipotetico inventario” di alcune declinazioni del coraggio in vari ambiti dell’esperienza umana (il coraggio di educare, di dire no, di ricominciare, di avere paura, di scrivere, di immaginare, di creare). Un inventario concepito come un’associazione di idee, un brain-storming, un esercizio utile per stimolare adulti e non ancora adulti a ritrovare la forza della sfacciataggine e la capacità di resistenza che la vita ogni giorno ci chiede.

Il capitolo che mi stuzzica di più è senz’altro quello che osa intitolarsi “Il coraggio di bocciare”. Lo abbiamo perso, svendendoci e drammatizzando una dolorosa ma possibile esperienza (spesso utilissima) in cui ci si può imbattere in un normale corso di studi, segnato da alti e bassi, a volte da grosse difficoltà o da errori di cui è salutare prendere coscienza, senza che qualcuno li metta sotto al tappeto. Per paura dei genitori, per paura di un ricorso, di una rogna, di perdere iscrizioni, consenso, popolarità. Crepet parla di una generazione didatticamente condonata. “Basterebbe bocciare – dice lo psichiatra – chi non merita la promozione e credere nelle capacità degli insegnanti preparati. Credo sia indispensabile farlo. Se la scuola “patteggia”, nel senso più deteriore del termine, è la fine. Far credere ai giovani che i loro errori non hanno conseguenze credo sia il metodo di gran lunga peggiore per educare le nuove generazioni.

Ma i temi toccati nel libro sono numerosi, tutti collegati intimamente tra loro e, a fare da sfondo, c’è il grosso nodo della formazione della classe dirigente e delle dinamiche familiari tra genitore-figlio. Ad esempio, la tendenza ad educare con strumenti digitali fin dalla più tenera età (sia in famiglia che nella scuola, persino a partire dalla materna, “una bestemmia”, secondo il sociologo) porterà a una grave perdita di autonomia e a una dipendenza dalle tecnologie.

Bisogna avere il coraggio di dire no e di affidarsi al buon senso. Il buon senso ci dice che abbiamo bisogno di ragazzi e ragazze che crescano consapevoli, autonomi, forti, creativi, sognatori. Serve il coraggio di fare l’impresa, lo stesso che ha permesso alla generazione del Dopoguerra di risollevare le proprie sorti creando aziende e cooperative. L’Emilia ne è un esempio straordinario. Non dobbiamo permettere che le nuove generazioni vivano sulle spalle del coraggio delle due generazioni precedenti.

E in queste pagine Crepet parla, in effetti, soprattutto di un’altra e più ambiziosa forma di coraggio. Quella che dobbiamo inventarci per creare un mondo nuovo, se non vogliamo che siano altri a inventarlo per noi; quella che i giovani devono riscoprire per non ritrovarsi apatici, rassegnati a non credere più nei loro sogni; quella che tutti devono scovare in se stessi per iniziare un rinascimento ideale ed etico. Il coraggio, alla fin fine, “è la magica opportunità che permette di capire il presente e di costruire il futuro”.

Bisogna coltivarlo per se stessi e per gli altri, come una forma di servizio alla crescita della società.

Buone vacanze e buona lettura.☺

 

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