Il gesù di giovanni
24 Ottobre 2017
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Il gesù di giovanni

Se si volesse sintetizzare il Vangelo di Giovanni in una sola frase, basterebbero queste parole: “La Parola si è fatta carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi” (1,14). Lo scopo del vangelo è illustrare come in Gesù quella Parola personificata, oggetto della riflessione ebraica dei tempi del Nuovo Testamento, la Parola che presiedeva alla creazione del mondo e che è espressione del cuore stesso di Dio, ha avuto la forma di un uomo, che è manifestazione piena e definitiva di quel Dio che aveva parlato ad Israele attraverso Mosè e i profeti, per liberare tutta l’umanità non solo da oppressori umani e politici (come era avvenuto per il popolo ebraico) ma dal male che porta alla disperazione e alla morte. La motivazione di questo interesse per l’umanità è espressa in modo chiaro da Gesù nel dialogo con Nicodemo: “Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito” (3,16).

Nei diversi segni che Gesù compie si manifesta il Padre (“chi vede me vede il Padre”, dice Gesù) che si china sull’umanità dolente e schiacciata dal male a cui spesso contribuisce essa stessa. I gesti concreti di Gesù diventano per il vangelo di Giovanni segno di un’azione più profonda e universale. Proprio per questo sono detti “segni” con un duplice riferimento: manifestano che in Gesù agisce Dio stesso ma allo stesso tempo dicono che tipo di azione è compiuta e verso chi. Il paralitico guarito (Gv 5) indica l’umanità immobilizzata dal male che viene liberata. Il pane moltiplicato (Gv 6) rimanda a Gesù che è la Parola discesa dal cielo per far vivere pienamente. Il cieco guarito (Gv 9) rappresenta quell’umanità che vede realmente come stanno le cose e chi ha realmente in mano le sorti della storia, se accoglie Gesù come Signore della propria vita. Lazzaro che esce dalla tomba (Gv 11) rappresenta il vertice di tutti gli altri segni, indicando che chi crede in Gesù vive ormai sotto la luce della vita vera inaugurata dal Risorto.

Allo stesso tempo, però, il vangelo di Giovanni racconta la concretezza dell’azione di Dio che non si rivolge in maniera vaga all’umanità, ma a persone che hanno un nome e un volto: i discepoli che hanno accolto Gesù, che sono rinati dall’alto, come ha detto Gesù a Nicodemo; essi sono il seme della umanità trasformata, sono il segno tangibile che il cambiamento ha avuto inizio. Ed è per questo che quell’amore universale di Dio, di cui si è parlato, trova la sua immediata concretizzazione nei gesti che Gesù compie verso i suoi amici più intimi: “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (oppure: fino in fondo, secondo un’altra traduzione)” (Gv 13). E questo amore diventa umile servizio. La prova dell’amore non passa solo e innanzitutto attraverso il gesto eroico della croce. Gesù non emula la morte solenne di Socrate, ma si abbassa fisicamente, compiendo il gesto umiliante dello schiavo, per lavare i piedi a coloro che avrebbero dovuto compiere questo gesto nei suoi confronti, essendo lui loro Maestro e Signore.

Questo abbassamento che ancora più della croce riecheggia l’abbassamento stesso di Dio che diventa criterio per l’unico mandato che Gesù fa ai suoi discepoli, unito all’unico comandamento che assume e supera ogni altra legislazione divina e umana: “Vi ho dato l’esempio perché anche voi facciate come ho fatto io, dovrete lavarvi i piedi gli uni gli altri… Vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Il come indica che non ci sono dottrine da insegnare, non ci sono dogmi da asserire né morali di imporre, ma solo la fattualità del servizio che riecheggia lo stile di Gesù e che a sua volta rivela l’identità di Dio, di Colui, cioè, che essendo il Primo non può far altro che chinarsi verso il basso nella totale gratuità che lo caratterizza.

Il Vangelo di Giovanni parla di Gesù usando le categorie teologiche della sua cultura giudaica ma le stravolge perché parte dall’esperienza dell’incontro con il Gesù che conosciamo attraverso gli altri vangeli, che ha guarito i malati e ha perdonato i peccatori, che non si è vergognato di stare con i reietti della storia e non ha avuto paura di accusare chi in nome di Dio avallava le ingiustizie. Per Giovanni l’affermazione che la Parola si è fatta carne, quindi, non è l’ennesima definizione teologica o filosofica per discutere di cose astratte (come spesso Dio è presentato), ma è la sfida radicale ad ogni pensiero che non si trasforma in azione concreta, in impegno di cambiamento di un mondo che deve passare dalle tenebre dell’egoismo alla luce dell’amore gratuito di Dio.

Quest’azione non si è esaurita con la vita terrena di Gesù ma deve continuare nello stile di servizio della sua comunità che non solo può fare ciò che Lui ha fatto, ma può fare opere ancora più grandi (14,12) perché se accogliamo veramente Gesù come Signore della nostra vita, la Sua presenza nel mondo si moltiplica attraverso tutti coloro che obbediscono al suo comandamento.☺

 

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