Il grande inquisitore
8 Novembre 2023
laFonteTV (3191 articles)
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Il grande inquisitore

La michelangiolesca Pietà Rondanini – Castello Sforzesco, Milano – è l’opera che più delle altre Pietà dello scultore, dal nostro punto di vista, rende compiutamente il significato di “pietà”, laddove l’opera incompiuta di Michelangelo nell’abbraccio della Madonna/Madre con figlio/Cristo ci comunica quanto sia intensamente significante il perdersi, il confondersi di Lei, come in un unico corpo, quello della Madre, nel Figlio, il Cristo morto. L’opera non è stata completata per la sopraggiunta scomparsa di Michelangelo; ma, probabilmente, proprio perché incompiuta – i due corpi sono ancora avvinti l’uno nell’altro in modo ancora informe – l’opera comunica in maniera chiarissima e coinvolgente il perdersi, il compenetrarsi della Madonna col e nel Figlio.
Prendendo a modello un’opera artistica, ribadiamo il concetto di “pietà” che il Cristo, nella narrazione dostoevskjana, esprime e mostra nei confronti del Grande Inquisitore: la pietà del Cristo si misura, si con-fonde nell’Inquisitore infelice, nella misura in cui il Cristo comprende il dramma umano e spirituale che vive l’ Inquisitore… Anche noi oggi – mutatis mutandis – sappiano bene cosa significhi tale sentimento nella misura in cui partecipiamo, in esso confondendoci completamente, al dramma, per esempio, del popolo palestinese scacciato proditoriamente dalla sua terra. Ma torniamo all’Inquisitore sivigliese. Questi sottolinea con forza, pur non riuscendo a nascondere un timoroso rispetto per il Cristo, che il suo compito è quello di assecondare gli uomini nelle scelte libere ed autonome che essi fanno, nel convincimento, sensibilmente umano, che la libertà degli uomini debba essere svincolata da qualsiasi credo religioso, ed in questo modo l’Inquisitore dimostra di essersi completamente liberato da qualsiasi presupposto squisitamente filosofico e sotto certi aspetti anche ideologico (nel senso di “fideistico”).
“Questo anticristo non propone un’ altra visione del mondo a venire, in una dimensione ultraterrena, ma si propone il governo del mondo terreno, di tenerlo insieme per impedire la forza salvifica del Cristo. Onde, il rovesciamento morale si trasforma in forza politica che impone le sue verità come verità di fede, come ideologie pubbliche che richiedono adesione incondizionata, totale, pena la separazione dalla comunità dei sudditi fedeli ed il rigetto nell’ inferno dei miscredenti”. (Gustavo Zagrebelsky, Liberi servi – Il Grande Inquisitore e l’enigma del potere, Einaudi, 2015, p.166).
Alla luce di queste considerazioni cosa ci suggerisce la narrazione dostoevskjana? Proviamo, dunque, a svolgere la matassa. Il mondo dell’anticristo – ossia dell’Inquisitore sivi- gliese – non si impone con la violenza ad una società recalcitrante, che confuta la predicazione e il comportamento del Cristo. L’universo anticristico appare come una realtà sociale e storica nella quale l’uomo vuole essere pienamente libero e a questa realtà noi potremmo tranquillamente dare un nome e cioè quello di “neolibe- rismo”, la cui principale regola, in una sintesi estrema, – è la piena realizzazione – senza condizionamenti di sorta – dell’individuo nel suo vissuto quotidiano. Mentre i regimi totalitari modificano profondamente l’uomo e la sua natura, l’ Inquisitore con la sua eccezionale dote di far presa sull’elemento popolare non intende affatto costringere, obbligare, ma aspira a compiacere, ad assecondare gli uomini nelle loro volontà e nei loro sogni.
La strategia del Grande Inquisitore è, dunque, la seduzione, il corteggiamento, la lusinga, l’adulazione, il fascino. In questo modo l’Inquisitore, l’anticristo per Dostoevskj, tende a far crescere un mondo che è controllato e perciò assopito; contribuisce ad alimentare la crescita, inoltre, di una società praticamente sotto continuo controllo, che appare felice, gaudente, ma superficiale, vuota dentro di sé, in quanto ha abdicato ad ogni forma di pensiero critico che metta in discussione tale condizione di vita consapevolmente asservita. Di qui, una forma di società totalitaria, irreggimentata, ma nello stesso tempo in superficie appagata, soddisfatta, e che, proprio perché manifesta tali caratteristiche di deresponsabilizzazione civile e culturale, viene subdolamente circuita e plagiata dal potere economico e politico anche. È la cosiddetta democrazia plutocratica, che oggi governa il mondo ed anche seduce la coscienza delle popolazioni, in modo speciale nel mondo occidentale che acconsente di essere privato delle proprie capacità raziocinanti, come pure della tensione naturale a chiedersi il perché delle cose. L’Inquisitore del racconto di Ivàn Karamazov non perseguita, ma attrae e affascina le persone; ha di fronte a sé una umanità che lui deve guidare e della quale si rende garante. Infatti, dalle parole che rivolge al Cristo, sempre silente dinanzi a lui, emerge che il suo compito è quello di compiacere, di appagare gli uomini in quello che essi dicono di volere o di voler fare.
L’Inquisitore della Leggenda conosce bene la natura umana e ne ha anche pietà; la vuole semplicemente assopire prima che essa si affacci alla conoscenza del bene e del male, e cioè alla ‘libertà’. Tale è la condizione di vita nella quale oggi vive l’uomo che si lascia soggiogare dalla forza di seduzione della filosofia neocapitalistica, perdendo o consapevolmente accettando di essere privato della propria capacità razionale, della tensione naturale a chiedersi il perché delle cose e della propria condizione. Il contraltare di questa beata simplicitas è lo stato di profonda insoddisfazione, di afflizione malinconica dell’uomo nel suo complesso, e perché non?, anche dello stesso Inquisitore – come mette in bella evidenza nel suo volume Zagrebelskj – Inquisitore al quale il Cristo col suo bacio esprime tutta la sua intensa e amorevole pietà. L’Inquisitore dostoevskjiano alla fine va via triste e turbato, ma sapendo bene che l’umanità che lui controlla non ha più l’energia, la capacità di capire la propria condizione di subalternità a vantaggio degli interessi di chi la domina… E questi sono anche il turbamento doloroso e l’afflizione sconsolata ed infelice del Grande Inquisitore: “(…) da noi, invece, tutti saranno felici e non si ribelleranno né si trucideranno più, come fanno con la tua libertà, per tutta la terra. Oh, noi li convinceremo che diventeranno liberi solo quando avranno rinunciato alla loro libertà per noi, e si saranno assoggettati a noi. Mentiremo o diremo il vero? Si convinceranno da sé che diremo il vero (…) La libertà, il libero pensiero e la scienza li condurrà in labirinti così intricati e insolubili che alcuni di loro, indomiti e violenti, si suicideranno; altri indomiti ma fiacchi, si uccideranno l’uno con l’altro, e i rimanenti, deboli ed infelici, strisceranno ai nostri piedi e inneggeranno a noi (…) ricorderanno sin troppo bene che in passato, senza di noi, i pani che producevano si trasformavano in pietre nelle loro mani, mentre, dopo essersi rivolti a noi, quelle stesse pietre si sono trasformate in pane nelle loro mani. Apprezzeranno molto, moltissimo cosa significa assoggettarsi per sempre! (…)” (Fedor Dostoevkij, I fratelli Karamazov, Ed. Crescere, Pd, 2022, pp. 343/344).
Pertanto, l’uomo non solo sembra non aspirare più ad una felicità ultraterrena, ma gli appare anche talmente arduo costruirsi una storia alternativa, avere cioè consapevolezza che non solo non godrà di una migliore condizione futura, ma non è neppure cosciente della sua stoltezza e della sua incapacità di vedersi schiavo di un altro dio, ossia del denaro… ☺

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