Il grano e il loglio
4 Aprile 2024
laFonteTV (3889 articles)
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Il grano e il loglio

Comunque la giriamo la situazione non è buona.
Se guardiamo al mondo, per la prima volta dopo quasi 60 anni, dopo la crisi dei missili russi a Cuba, si sta sfiorando la terza guerra mondiale, il conflitto militare nel cuore dell’Europa conta decine e decine di migliaia di morti. Le responsabilità sono tante e vengono da lontano. Troppo facile evocare la malvagità dell’autocrate Putin, troppo facile non andare alla radici dei problemi e buttarla irresponsabilmente in propaganda di guerra. Il primo degli errori sono stati i festini e le grida di giubilo delle potenze occidentali nel 1989, quando crollò il regime e l’impero sovietico. La cosa grave è stata quella di pensare che una volta liquidato il “socialismo reale”, si potessero cancellare la Russia e la sua storia. “Uccidere il can che affoga”, questa deve essere stata la parola d’ordine dei governi occidentali in quei mesi. Da questa strategia viene il boicottaggio miope e irresponsabile contro la “glasnost” e la “perestrojka” di Gorbacev e il sostegno al pessimo capo degli oligarchi russi, Boris Eltsin. Bisognerebbe scrivere il secondo volume di quel bellissimo libro Le conseguenze economiche della pace del 1919, un testo illuminante con il quale Keynes sottolineò quanto fosse pericoloso e ottuso imporre i crediti di guerra alla Germania. Una ferita purulenta che portò all’ascesa di Hitler e alla seconda guerra mondiale. Ma gli insegnamenti della storia si dimenticano rapidamente. Aver ucciso il sogno democratico di Gorbacev è stato il primo grande errore dell’occidente. Putin, la sua autocrazia, la sua aggressività militare sono le conseguenze più drammatiche di quell’errore.
Il secondo errore, parente stretto del primo, è stato quello di non aver compreso che il crollo del muro di Berlino avrebbe lasciato dietro di sé una faglia ad alto rischio, un confine pericoloso lungo il quale si erano mescolate popolazioni, etnie e culture e che avrebbe richiesto un’attenzione, un governo, una intelligenza politico-diplomatica straordinaria per prevenire contenziosi, conflitti e nuove tentazioni imperiali della Russia. Così non è stato ed oggi su quella linea di confine che va dall’Ucraina al Caucaso esplodono problemi irrisolti e ritorna all’ordine del giorno la guerra. Se non si parte dalla realtà, se non si dà fondamento oggettivo alle contraddizioni in campo, se si continua nella logica manichea in virtù della quale l’occidente è la culla del bene e di là vi è solo il male, allora l’unica via di uscita è vincere sui campi di guerra e, come dice Macron, mandare truppe ed armi in Ucraina.
Perché la via diplomatica non sia solo un lamento sterile, peggio una foglia di fico che nasconde ben altre intenzioni, allora bisogna affrontare con spirito di realtà e di verità i problemi complessi che sono dinnanzi a noi, problemi che rappresentano l’eredità amara e difficile che la Storia di questi decenni ci consegna.
Se poi dall’Europa ci muoviamo verso il Medio-Oriente il dramma diviene tragedia. Una tragedia che ho toccato con mano sin dai primi anni ’80, in Israele come in Cisgiordania. Dagli anni di Peacenow in Israele, quando pacifisti ebrei e palestinesi manifestavano e si mobilitavano insieme contro la guerra in Libano, agli anni della “prigionia” di Arafat a Ramallah, ed oggi siamo al massacro di un popolo inerme. Non è la prima volta, fu così anche a Sabra e Chatila, allora fu opera di un gruppo di assassini terroristi, anche se la complicità fu di molti. Oggi no, oggi è lo stato di Israele il protagonista di questa mattanza, oggi avviene alla luce del giorno e sotto gli occhi del mondo. È giusto ricordare la violenza e la viltà dell’ attacco terroristico del 7 Ottobre, ma vi è non solo una sproporzione enorme fra i morti del 7 di Ottobre e le decine di migliaia di palestinesi uccisi a Gaza, ma anche una qualità diversa fra la violenza di un gruppo di terroristi e il massacro a Gaza che per settimane e settimane un esercito in divisa ha compiuto nei confronti di un popolo inerme e innocente. A Gaza, sono stati uccisi in quattro mesi 13mila bambini e 17mila sono rimasti orfani. Una immensa tragedia nella tragedia. Gli errori e le responsabilità di questa catastrofe umanitaria vengono da lontano e sono di tanti. I bambini di Gaza, come il cimitero dei migranti nel Mediterraneo, sono fra le pagine più nere della nostra Storia, esse interrogano la politica, la morale e la nostra coscienza.
Quel che è certo che in Ucraina come a Gaza, come nelle acque del Mediterraneo vi è un grande assente, un latitante che porta le stesse responsabilità degli attori protagonisti. Mi riferisco all’Europa, a questo fantasma che fra pochi mesi celebrerà il suo rito democratico. E in questo vuoto non c’è da meravigliarsi, se la destra estrema, se la cultura intollerante e razzista conquistano consenso e posizioni di potere. Il tramonto della politica, la crisi della democrazia e di quei valori che hanno dato solidità alle nostre società, aprono le porte al buio della ragione. È questione che non interroga solo i grandi tabernacoli della politica, ma deve interrogare ciascuno di noi.
E “dal sacro vengo al profano”.
Sono rimasto sconcertato per la discussione preelettorale in quel di Termoli. È sacrosanto, pretendere che vi sia una vera discontinuità politica e progettuale con il passato e che si abbandoni la via del trasformismo e delle clientele, ma avendo la capacità di distinguere “il grano dal loglio”. La nostra è una fase nella quale bisognerebbe avere lo spirito che diversi decenni fa portò alla formazione dei Comitati di Liberazione, dovremmo tutti – sinistra più o meno radicale, riformisti, progressisti e democratici – curare l’unità contro questa destra infida e pericolosa come il primo degli obiettivi e invece si cerca nel vicino di casa il primo dei nemici.
Ma come dice il vecchio detto, “la speranza è l’ultima a morire”.☺

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