Labirinto: la parola significa, con buona probabilità, “palazzo della bipenne”e deriverebbe da Labrys, la doppia ascia, simbolo del potere regale a Creta nel terzo millennio a.C.; la forma di due quarti di luna, l’uno opposto all’altro secondo una immagine speculare, simboleggiava il potere di vita e di morte attribuito alla divinità lunare matriarcale.
Questa effigie ripropone già un percorso, un cammino, l’ingresso e l’uscita dall’esistenza terrena, forse, o solo un rito iniziatico secondo il quale l’andata e il ritorno dovevano essere identici e speculari, pena il mancato successo della prova. Tale doveva presentarsi la grotta-labirinto di Gortina, nei pressi di Cnosso, come un tortuoso itinerario a zig-zag, profondo fino a cinquantasei metri e sede di rituali religiosi riservati ai giovani.
Non c’è inganno in questo tipo di labirinto costruito come un percorso obbligato, una sola via che collega l'ingresso alla zona centrale secondo un andamento privo di bivi o vicoli ciechi. Altro è il labirinto creato volutamente per presentare stratagemmi; complicando il meccanismo con la possibilità di scelte alternative, l’artefice-architetto ci pone dinanzi al puro deserto, cioè all’assenza di punti di riferimento.
Il labirinto rimanda dunque ad una geometria che imprigiona, ad un groviglio di combinazioni, ad un sistema di decisioni chiave che esiste a priori.
Alla porta del labirinto, alla sfida che esso propone, difficilmente riusciamo a sottrarci; ma una volta entrati tutto si muta in ostacolo e la sua decifrazione richiede intelligenza, conoscenza, artificio.
Il labirinto per antonomasia rimanda al mondo leggendario di Minosse, re di Creta, e all’abilità di un geniale architetto, Dedalo, incaricato dal sovrano di costruire un palazzo che imprigionasse per sempre il Minotauro, mostro metà uomo e metà toro, in un percorso tortuoso e complicato, pieno di stratagemmi. Il filo di Arianna permetterà a Teseo di entrare nel labirinto e di uscirne. Altra sarà la sorte dello stesso Dedalo e del figlio Icaro; né l’ideatore del labirinto, né tanto meno il ragazzo sono in possesso di “gomitoli” al momento dell’entrata perciò toccherà loro fuggire dall’alto, per mezzo di ali fabbricate con piume di uccello e cera. L’indisciplinato Icaro, come si sa, volerà troppo vicino al calore del sole, che scioglierà la cera precipitandolo in mare.
Il labirinto come luogo è diventato nei secoli metafora dalle infinite sfaccettature: immagine che rimanda alla complessità della conoscenza, smisurata e sovrabbondante, difficile da dominare per decifrare la complessità del mondo che ci circonda; immagine altresì della prigione mentale del capire e dell’agire, sfida nella nostra ansia di sperimentarci “al limite” per superare la nostra finitezza.
Come un intricato labirinto ci appaiono spesso i casi della vita e dinanzi ad essi ci tocca imboccare la giusta direzione, non senza aver compiuto molti tentativi ed errori ed averne pagato le conseguenze. Ma se ogni situazione si potesse esaminare da altri punti di vista (ad esempio anche solo salendo su di una piccola altura), il labirinto rivelerebbe subito la sua ingannevole struttura, e sarebbe molto più facile trovarne l’uscita. Ci intrappolano, ahimè, e prepotentemente, i nostri rigidi schemi mentali, negandoci l’obiettività e rendendoci incapaci di giudicare le possibili soluzioni. La fuga da ogni sorta di labirinto potrebbe forse consistere proprio in questo: sperimentare della realtà i molteplici aspetti per far sì che lo sguardo possa spaziare lontano, comprendere porzioni sempre più vaste dei labirinti della nostra vita, e vedere infine come questi si intrecciano con quelli delle vite delle persone a noi più vicine.
Orientarsi nel labirinto e uscirne non è dunque impossibile come ci dimostra lo stesso mito con due esempi di fuga, l’uno empirico, e mi riferisco al filo di Arianna; l’altro contrassegnato dalla genialità propria di chi cerca di superare la nozione di inclusione, di frontiera, e questo è il volo di Dedalo.☺
annama.mastropietro@tiscali.it
Labirinto: la parola significa, con buona probabilità, “palazzo della bipenne”e deriverebbe da Labrys, la doppia ascia, simbolo del potere regale a Creta nel terzo millennio a.C.; la forma di due quarti di luna, l’uno opposto all’altro secondo una immagine speculare, simboleggiava il potere di vita e di morte attribuito alla divinità lunare matriarcale.
Questa effigie ripropone già un percorso, un cammino, l’ingresso e l’uscita dall’esistenza terrena, forse, o solo un rito iniziatico secondo il quale l’andata e il ritorno dovevano essere identici e speculari, pena il mancato successo della prova. Tale doveva presentarsi la grotta-labirinto di Gortina, nei pressi di Cnosso, come un tortuoso itinerario a zig-zag, profondo fino a cinquantasei metri e sede di rituali religiosi riservati ai giovani.
Non c’è inganno in questo tipo di labirinto costruito come un percorso obbligato, una sola via che collega l'ingresso alla zona centrale secondo un andamento privo di bivi o vicoli ciechi. Altro è il labirinto creato volutamente per presentare stratagemmi; complicando il meccanismo con la possibilità di scelte alternative, l’artefice-architetto ci pone dinanzi al puro deserto, cioè all’assenza di punti di riferimento.
Il labirinto rimanda dunque ad una geometria che imprigiona, ad un groviglio di combinazioni, ad un sistema di decisioni chiave che esiste a priori.
Alla porta del labirinto, alla sfida che esso propone, difficilmente riusciamo a sottrarci; ma una volta entrati tutto si muta in ostacolo e la sua decifrazione richiede intelligenza, conoscenza, artificio.
Il labirinto per antonomasia rimanda al mondo leggendario di Minosse, re di Creta, e all’abilità di un geniale architetto, Dedalo, incaricato dal sovrano di costruire un palazzo che imprigionasse per sempre il Minotauro, mostro metà uomo e metà toro, in un percorso tortuoso e complicato, pieno di stratagemmi. Il filo di Arianna permetterà a Teseo di entrare nel labirinto e di uscirne. Altra sarà la sorte dello stesso Dedalo e del figlio Icaro; né l’ideatore del labirinto, né tanto meno il ragazzo sono in possesso di “gomitoli” al momento dell’entrata perciò toccherà loro fuggire dall’alto, per mezzo di ali fabbricate con piume di uccello e cera. L’indisciplinato Icaro, come si sa, volerà troppo vicino al calore del sole, che scioglierà la cera precipitandolo in mare.
Il labirinto come luogo è diventato nei secoli metafora dalle infinite sfaccettature: immagine che rimanda alla complessità della conoscenza, smisurata e sovrabbondante, difficile da dominare per decifrare la complessità del mondo che ci circonda; immagine altresì della prigione mentale del capire e dell’agire, sfida nella nostra ansia di sperimentarci “al limite” per superare la nostra finitezza.
Come un intricato labirinto ci appaiono spesso i casi della vita e dinanzi ad essi ci tocca imboccare la giusta direzione, non senza aver compiuto molti tentativi ed errori ed averne pagato le conseguenze. Ma se ogni situazione si potesse esaminare da altri punti di vista (ad esempio anche solo salendo su di una piccola altura), il labirinto rivelerebbe subito la sua ingannevole struttura, e sarebbe molto più facile trovarne l’uscita. Ci intrappolano, ahimè, e prepotentemente, i nostri rigidi schemi mentali, negandoci l’obiettività e rendendoci incapaci di giudicare le possibili soluzioni. La fuga da ogni sorta di labirinto potrebbe forse consistere proprio in questo: sperimentare della realtà i molteplici aspetti per far sì che lo sguardo possa spaziare lontano, comprendere porzioni sempre più vaste dei labirinti della nostra vita, e vedere infine come questi si intrecciano con quelli delle vite delle persone a noi più vicine.
Orientarsi nel labirinto e uscirne non è dunque impossibile come ci dimostra lo stesso mito con due esempi di fuga, l’uno empirico, e mi riferisco al filo di Arianna; l’altro contrassegnato dalla genialità propria di chi cerca di superare la nozione di inclusione, di frontiera, e questo è il volo di Dedalo.☺
Labirinto: la parola significa, con buona probabilità, “palazzo della bipenne”e deriverebbe da Labrys, la doppia ascia, simbolo del potere regale a Creta nel terzo millennio a.C.; la forma di due quarti di luna, l’uno opposto all’altro secondo una immagine speculare, simboleggiava il potere di vita e di morte attribuito alla divinità lunare matriarcale.
Questa effigie ripropone già un percorso, un cammino, l’ingresso e l’uscita dall’esistenza terrena, forse, o solo un rito iniziatico secondo il quale l’andata e il ritorno dovevano essere identici e speculari, pena il mancato successo della prova. Tale doveva presentarsi la grotta-labirinto di Gortina, nei pressi di Cnosso, come un tortuoso itinerario a zig-zag, profondo fino a cinquantasei metri e sede di rituali religiosi riservati ai giovani.
Non c’è inganno in questo tipo di labirinto costruito come un percorso obbligato, una sola via che collega l'ingresso alla zona centrale secondo un andamento privo di bivi o vicoli ciechi. Altro è il labirinto creato volutamente per presentare stratagemmi; complicando il meccanismo con la possibilità di scelte alternative, l’artefice-architetto ci pone dinanzi al puro deserto, cioè all’assenza di punti di riferimento.
Il labirinto rimanda dunque ad una geometria che imprigiona, ad un groviglio di combinazioni, ad un sistema di decisioni chiave che esiste a priori.
Alla porta del labirinto, alla sfida che esso propone, difficilmente riusciamo a sottrarci; ma una volta entrati tutto si muta in ostacolo e la sua decifrazione richiede intelligenza, conoscenza, artificio.
Il labirinto per antonomasia rimanda al mondo leggendario di Minosse, re di Creta, e all’abilità di un geniale architetto, Dedalo, incaricato dal sovrano di costruire un palazzo che imprigionasse per sempre il Minotauro, mostro metà uomo e metà toro, in un percorso tortuoso e complicato, pieno di stratagemmi. Il filo di Arianna permetterà a Teseo di entrare nel labirinto e di uscirne. Altra sarà la sorte dello stesso Dedalo e del figlio Icaro; né l’ideatore del labirinto, né tanto meno il ragazzo sono in possesso di “gomitoli” al momento dell’entrata perciò toccherà loro fuggire dall’alto, per mezzo di ali fabbricate con piume di uccello e cera. L’indisciplinato Icaro, come si sa, volerà troppo vicino al calore del sole, che scioglierà la cera precipitandolo in mare.
Il labirinto come luogo è diventato nei secoli metafora dalle infinite sfaccettature: immagine che rimanda alla complessità della conoscenza, smisurata e sovrabbondante, difficile da dominare per decifrare la complessità del mondo che ci circonda; immagine altresì della prigione mentale del capire e dell’agire, sfida nella nostra ansia di sperimentarci “al limite” per superare la nostra finitezza.
Come un intricato labirinto ci appaiono spesso i casi della vita e dinanzi ad essi ci tocca imboccare la giusta direzione, non senza aver compiuto molti tentativi ed errori ed averne pagato le conseguenze. Ma se ogni situazione si potesse esaminare da altri punti di vista (ad esempio anche solo salendo su di una piccola altura), il labirinto rivelerebbe subito la sua ingannevole struttura, e sarebbe molto più facile trovarne l’uscita. Ci intrappolano, ahimè, e prepotentemente, i nostri rigidi schemi mentali, negandoci l’obiettività e rendendoci incapaci di giudicare le possibili soluzioni. La fuga da ogni sorta di labirinto potrebbe forse consistere proprio in questo: sperimentare della realtà i molteplici aspetti per far sì che lo sguardo possa spaziare lontano, comprendere porzioni sempre più vaste dei labirinti della nostra vita, e vedere infine come questi si intrecciano con quelli delle vite delle persone a noi più vicine.
Orientarsi nel labirinto e uscirne non è dunque impossibile come ci dimostra lo stesso mito con due esempi di fuga, l’uno empirico, e mi riferisco al filo di Arianna; l’altro contrassegnato dalla genialità propria di chi cerca di superare la nozione di inclusione, di frontiera, e questo è il volo di Dedalo.☺
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