Il profeta, carne della parola
“Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore” (Ger 15,16).
Il Libro di Geremia è il più lungo del Primo Testamento e presenta l’attività di un profeta che si estende dal 627 a.C. a una data non precisabile dell’esilio, forse il 580 a.C. L’importanza di questo libro è dovuta al tema dell’alleanza nuova tra Dio e il suo popolo, ma anche al fascino e alla centralità di Geremia che tra i profeti biblici è quello di cui si hanno maggiori notizie biografiche. La visceralità con cui egli vive il suo ministero profetico è tale da renderlo una cosa sola con la sua vita. Di lui si può dire davvero che la sua carne è stato lo spazio non solo di proclamazione della Parola, ma anche del suo compimento. Il corpo della Scrittura e il corpo del profeta nella vicenda di Geremia si sono corrisposti.
Con Geremia si viene proiettati negli anni bui che portano Israele alla catastrofe dell’esilio e si viene condotti anche nell’interiorità di un uomo continuamente in lotta: con Dio che lo ha sedotto con le sue parole, che sono il motivo della sua gioia ma anche la causa della sua solitudine; con i destinatari dei suoi annunci che rifiutano aspramente la sua parola; con se stesso, che tante volte penserà alla fuga o alle dimissioni dall’incarico profetico, senza mai riuscirci.
Il capitolo 1 funge da introduzione a tutto il libro: ne presenta i temi e annuncia la missione di Geremia, che è definito “profeta delle nazioni” (Ger 1,5), che ha l’incarico di “sradicare e demolire, distruggere e abbattere, edificare e piantare” (1,10), cioè di rappresentare il Signore sul piano del giudizio e della comunicazione della salvezza.
Il libro presenta una parte in prosa (che include il racconto di vocazione, i racconti di visioni, i discorsi deuteronomistici e i racconti di azioni simboliche) e la parte poetica degli oracoli (annuncio di giudizio; requisitoria profetica o rîb, dove l’accusa non motiva il giudizio ma si propone di convincere Israele di peccato; oppure annuncio di salvezza). Nel blocco dei capitoli 11-20 appaiono cinque brani poetici chiamati tradizionalmente confessioni per via del loro carattere biografico e intimo. Essi sono molto vicini ai lamenti individuali del Salterio. In questi testi, Geremia apre il suo cuore a Dio, lotta con lui, gli chiede aiuto, reclama il suo intervento nei confronti dei suoi detrattori. Si tratta di testi che danno voce a una collettività che s’interroga sul destino del giusto.
Tutta la vita del profeta è sotto il segno dell’incomprensione e della persecuzione. Sotto il regno di Ioiakim egli condanna il falso culto che si svolge nel tempio e ne predice la distruzione, poi predice la distruzione di Gerusalemme e per questo viene minacciato di morte, percosso, imprigionato. Con Sedecia viene accusato di tradimento e imprigionato in una cisterna priva d’acqua. Gli ultimi suoi anni si perdono nell’oscurità. Sarà infine trascinato in Egitto e considerato dai babilonesi un collaborazionista. Un profeta incompreso dunque fino alla fine.
Restano nel cuore del lettore le parole di fuoco di un brano delle Confessioni che sottolinea la forza dell’elezione, il difficile travaglio della risposta, la possibilità di fuggire alla propria missione e la passione profetica: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso […] La parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: “Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!”. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,7-9). Le sue parole ci parlano di un profeta amico di quanti con passione s’investono per l’edificazione di un popolo, della società. Patrono di coloro che sanno che i sogni chiedono casa in una carne che abbia la pazienza e la costanza di ospitarli e realizzarli, anche a prezzo della propria vita.
Vivere profeticamente ha un prezzo. Vale la propria carne. La parola che non si traduce in vita, infatti, non è profezia ma retorica che accarezza i desideri senza nutrirli, anzi affamandoli. La profezia invece sferza i desideri, li scuote per purificarli, nutrirli e spingerli verso il compimento attraverso progetti robusti e concreti, mete alte e realizzazioni possibili.☺
