Il reddito di contadinanza
4 Giugno 2024
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Il reddito di contadinanza

Da ormai più di dieci anni ho impegnato gran parte delle mie energie nella costruzione del Biodistretto della via Amerina e delle Forre, anni spesi bene. Non solo perché in questi paesi della bassa Tuscia ho ritrovato una parte della mia prima età, ma soprattutto perché ho avuto la opportunità di cimentarmi con i grandi problemi delle zone rurali e di riflettere su una delle ragioni fondamentali dello smarrimento della Sinistra, su una sua dimenticanza strategica che è all’origine di tanti errori. Senza nulla togliere alla drammatica epicità delle lotte bracciantili, al fondo la Sinistra è stata nella sua parte migliore operaista e metropolitana. Ieri questo errore è stato serio, molto serio, oggi insistere su questo orientamento sarebbe diabolico. Ieri ha significato una debolezza sociale e politica, oggi significherebbe non comprendere che proprio nelle zone rurali, nelle campagne passa una delle vie maestre per affrontare le grandi questioni della nostra epoca. Il senso generale del saggio – libro che ho scritto, Il reddito di contadinanza – l’agricoltura al centro della transizione ecologica, è proprio questo.
L’esperienza e la riflessione di questi anni mi ha portato a due conclusioni.
a) Il sistema di produzione agricolo è il cuore delle due questioni vitali della nostra epoca: il cambiamento climatico e la sicurezza alimentare. Due questioni, un solo problema. I primi 60/70 centimetri di suolo che sono sotto i nostri piedi sono il vero laboratorio della vita, lì si decide molto dell’equilibrio eco-sistemico del pianeta. L’agricoltura, che ha rappresentato il primo vero passo della civiltà umana, è divenuta con la rivoluzione chimica di questo ultimo secolo la massima espressione della frattura fra l’uomo e la natura. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: dopo 80 anni di rivoluzione verde, (così incredibilmente venne definita l’invasione della chimica in agricoltura), noi abbiamo 700 milioni di persone che soffrono la fame, 600 milioni di obesi, quasi due miliardi in sovrappeso e il 30% del cibo che va in discarica.
L’aggressione dell’uomo nei confronti della natura ha poi avuto conseguenze devastanti sull’altro enorme problema che è all’ordine del giorno: il cambiamento climatico. Il ciclo dell’alimentazione rappresenta più del 35% delle emissioni di CO2, la situazione è ancora più inquietante se scaviamo nel problema. In una conferenza della FAO a Roma del 2017 si è sottolineato come nei primi 60 cm del suolo sia concentrato il doppio della CO2 che è in atmosfera. La trasformazione del suolo in una discarica chimica può trasformarlo nel classico vaso di Pandora e aprire scenari apocalittici per il futuro del pianeta
b) Se così stanno le cose, allora viene naturale porre un quesito. Quali i protagonisti per cambiare verso alla storia del mondo agricolo? Non ho alcun dubbio. Malgrado abbia avuto per 10 anni conflitti seri con grandi associazioni del mondo agricolo proprio sul sistema di produzione (la Tuscia è il primo luogo di produzione della nocciola, una coltivazione intensiva al servizio della multinazionale Ferrero) il protagonismo dei produttori agricoli e una nuova generazione di giovani agricoltori sono la condizione prima per affrontare quella che deve essere una rivoluzione in agricoltura e più in generale nel “siste- ma” economico-sociale.
Una nuova condizione economica e sociale dell’agricoltore è la sfida, tre le prime scelte strategiche.
– Un reddito di contadinanza che deve essere pensato come una integrazione al reddito per quei produttori che scelgono, come afferma Slow food, di produrre un cibo “buono, sano e giusto” e che si pongono come veri custodi del territorio e dell’equilibrio ecologico.
– Un mutamento della vita sociale nelle zone rurali, una nuova armonia e un nuovo equilibrio culturale ed esistenziale fra la città e le campagne. Questione cruciale se vogliamo evitare quella catastrofe annunciata, ovvero il trasferimento dell’80% della popolazione mondiale nelle metropoli nei prossimi 20, 30 anni.
– Un argine “pubblico” alla manipolazione mercantile del cibo sia attraverso la formazione a partire dalla scuola, sia attraverso un controllo severo sulla induzione al consumo di alimenti che sono dannosi per la salute dei cittadini.
È dinnanzi a noi una grande sfida che chiama in causa quella montagna di potere economico e politico che la riduzione del cibo a “merce fra le merci” ha determinato.
In questi decenni vi sono due settori nell’economia globale che hanno guadagnato straordinari profitti: l’energia e l’ industria agro-alimentare, ed è certo che grandi profitti si sono accumulati anche nel settore della grande distribuzione del cibo. Cambiare il futuro dell’agricoltura non è ipotizzabile se non si mette un argine a queste diseguaglianze, ingiustizie e ricchezze che si sono affermate speculando in modo parassitario su quello che dovrebbe essere un bene comune fondamentale, quale è il cibo. Nel mercato dell’alimentazione, secondo le Nazioni Unite, si annidano spese occulte pari al 10% del PIL mondiale, 12mila miliardi di dollari. Il 25% di queste spese che sfuggono al PIL sono rappresentate dai danni ambientali e il restante 70% sono riconducibili a quelle spese socio-sanitarie indotte dalla manipolazione genetica del mercato del cibo.☺

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