Il seccatore
11 Dicembre 2019
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Il seccatore

Ibam forte via Sacra (camminavo per caso lungo la Via Sacra): celeberrimo incipit del più famoso tra i Sermones di Orazio, noto anche a chi di letteratura latina abbia ricordi scarni e lontani; nei modi di un mito realistico e mobilissimo, coi toni tipici di tanta della sua satira, eleganti e garbati, arguti e mai violenti, Orazio vi ritrae una figura umana di ieri e di sempre, il “seccatore”, che ti arpiona per strada, quando pensi ai fatti tuoi, e ti blandisce e non ti molla più, a meno che un evento cogente e improvviso non lo freni, come accade al seccatore di Orazio. “Sic me servavit Apollo” (così mi salvò Apollo), conclude la sua satira Orazio, quasi il dio della poesia fosse in persona intervenuto in suo favore, e quasi lui stesso fosse un eroe di rango umano per aver tollerato tanto umano strazio.

Non si ride a crepapelle con le satire di Orazio, ma si sorride dentro, e di gusto, perché si riconoscono come propri vizi, difetti, ambizioni e sfrenatezze della varia umanità che egli mette in scena. Perciò, forse, amo tanto Orazio, perché mi ricorda il mio limite, anche quando nella sua lirica, impareggiabile per raffinatezza, canta la struggente bellezza della vita, con l’aria di chi in fin dei conti sa che tanta bellezza è tale e tanto struggente perché ogni singola vita non è che un segmento di eterno, un tempo breve, destinato ad estinguersi senza lasciar traccia.

Dicembre 2019: di nuovo, come ad ogni dicembre, si guarda al Capodanno, ai bilanci, ai progetti; per quanto io sia della scuola di Dalla e non creda nella palingenesi radicale, per quanto sappia che l’anno che sta arrivando tra un anno passerà e che questa sia la novità, oserei per l’anno venturo un proposito terapeutico a base di mediocritas oraziana, per me e per tutti quelli che, come me, facilmente straripano, fino a non riconoscere più l’alveo del proprio piccolo fiume. Non si sa mai che il proposito si traduca in cura e che la cura funzioni.

Proporrei, ad esempio, una terapia oraziana a tutti quelli che malvolentieri arrestano la macchina quando il semaforo davanti a loro si fa rosso e comunque premono a freno tirato sull’acceleratore e la furia all’idea della corsa imminente gliela leggi sulla faccia, se casomai dalle strisce pedonali riesci a guardarli in viso, e già ti senti tremare dalla paura di diventare a tua volta striscia, di lì a poco; medesima prospettiva oraziana per chi, in fila alle poste o dal medico, pare ti incalzi da ogni lato e non attenda altro che un tuo errore per reclamare il diritto alla precedenza, esibito puntualmente con una sorta di ira soddisfatta; la cura oraziana andrebbe a pennello per chi mai contiene il profluvio di parole, chissà non sia convinto che l’equivalenza greca di logos quale parola e pensiero lo accrediti agli altri come persona di somma vivacità intellettiva, quasi che intelligenti non possano voler parere i pazienti ascoltatori, quasi che la parola, per essere pensiero, debba per forza farsi voce; terapia oraziana intensissima per coloro che, in vena di semplificazioni al sapor di estremo, se canti l’Inno di Italia, sei fascista, se canti “Bella ciao”, sei comunista, e tanto basti, non importa la prassi di vita; misura oraziana per tutti quelli che issano la bandiera del green dopo un passato recentissimo di molto sperpero e molto dark e che vorrebbero convincerti che il proclama green di per sé ci sottragga alle logiche impietose di un sistema che usa e getta, sia che imponga mode materiali sia che imponga trend ideali, inevitabilmente destinati a tradursi in consumi e consumi ancora; cura oraziana, infine, per quanti gridano che, a tirar giù un muro, libertà è fatta, ma non aggiungono che non c’è libertà senza giustizia e senza equità, e la storia dell’Est Europa dopo la caduta del muro di Belino lo dimostra.

La mediocritas di Orazio ci inviterebbe ad osservare il nostro mondo, a ponderarne l’essenza, ad operare per conseguenza; nulla ha a che fare con la nostra mediocrità, non è insipienza sciatta, abulia, inconsistenza al confine di due dove, incapacità di decidere; se mai il contrario: è conoscenza matura della misura della realtà e consapevolezza dei limiti della realtà stessa, che rispettata, meditata, riflessa, interiorizzata, diventa unica scaturigine di un agire prossimo, vero, e perciò rectum. Aurea mediocritas, appunto, per dirla con Orazio e per strano che ci paia.

A presto.☺

 

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