Quanta vita in una vita breve
12 Settembre 2021
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Quanta vita in una vita breve

Il 16 agosto abbiamo festeggiato a Bonefro i 125 anni dalla nascita di Tina Modotti. Un evento completo con una mostra fotografica, una presentazione teatrale-musicale ed un bicchiere di spumante per brindare a Tina, viva, ancora oggi, nelle sue fotografie ed in una dozzina di biografie scritte in diverse lingue. Come organizzatrice dell’evento mi sono sentita contenta, realizzata, constatando che le persone che si danno completamente all’arte o alla lotta sociale non muoiono mai.

Solo a cena, già molto tardi, ho capito che non sempre è cosi, che non sempre i nomi e le vite di persone che hanno vissuto e lottato per gli altri rimangono nella memoria collettiva. Quella sera, grazie ad una giovane amica venuta da Bologna, ho saputo di una donna, mia coetanea, una donna che, con un po’ di fortuna, avrei potuto conoscere nella mia gioventù, nel mio paese… Si chiamava Rita ed era nata il 21 giugno 1946 a Cochabamba, Bolivia. Ha due anni quando la famiglia va a vivere in Venezuela, in una città di provincia, dove Rita trascorre un’infanzia felice in una famiglia grande, una famiglia tipica dell’America latina: un padre severo e dominante, una madre dolce ed affettuosa. Quando Rita ha 16 anni, scopre l’arte plastica e la poesia e comincia a far parte di un circolo di giovani che dipingono, scrivono poesia e si fanno delle domande sulla società dove vivono e sulla società che sognano. Rita si trasferisce a Caracas e decide che vuole dedicare la vita all’arte, ma scopre anche che deve scappare, scappare soprattutto dal padre che controlla tutto e tutti. Grazie alla sua militanza nella Gioventù Comunista può raggiungere il mio paese, la DDR, e studiare storia dell’arte nella città di Leipzig. Naturalmente segue attentamente quello che succede nella sua patria, in Bolivia, dove i guerrileros sotto la guida di Ernesto Che Guevara cercano di aprire la strada verso una società più giusta, in primo luogo per i contadini poveri, i minatori, gli indios.

Per Rita cambia tutto quando, dopo la morte in combattimento del Che, qualcuno – e non si sa chi sia stato – la recluta per l’ELN, l’Esercito di Liberazione Nazionale, che vuole continuare la lotta iniziata dal Che. Verso la fine del 1967 Rita va a Cuba e riceve addestramento militare, anche se il suo compito in Bolivia sarà quello di organizzare la logistica. Nel 1968 si trova già nella sua città di nascita, a Cochabamba, a organizzare case di sicurezza per i compagni e supervisionare le azioni dell’ELN nella sua regione. Nello stesso anno, Inti Peredo, boliviano, nato come Rita a Cochabamba ed uno dei pochissimi sopravissuti della guerriglia del Che, la nomina ‘comandante’, il più alto grado militare nella guerriglia, e lei sceglie Maya come nome, in ricordo della sua migliore amica negli anni vissuti a Leipzig.

La notte del 13 agosto 1969 è prevista una riunione in una casa di sicurezza. Quando Rita, incinta da poco, arriva insieme al suo compagno al luogo dell’incontro, la casa è circondata dai militari e comincia una sparatoria che dura ore. Alla fine un soldato spara direttamente a Rita, colpendola gravemente. La breve vita di Rita, di Maya, finisce nelle prime ore del 14 agosto 1969. Per due anni la famiglia lotta per avere, almeno, i suoi resti mortali e poterle dare una degna sepoltura.

Di quei ventitre anni di vita di Rita rimangono le sue poesie e qualche lettera in cui, fra l’altro, parla del padre da cui è fuggita anche per sfuggire agli abusi; rimangono due o tre fotografie, e rimangono i ricordi delle amiche e degli amici. La fotografa Marina Briz, compagna di Rita in un collettivo culturale venezuelano, piange quando cerca di descrivere la vita di Rita: “La vedo come una che accende il fiammifero della propria vita. Il fiammifero rimane dritto finché si brucia totalmente”.

Per fortuna, c’è ancora chi ci può raccontare la storia di Rita, come ha fatto la notte del  16 agosto scorso, a Bonefro, sua nipote venuta da Bologna, sua nipote Maya.☺

 

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